La salvaguardia delle lingue
regionali o minoritarie è da molto tempo una delle preoccupazioni del Consiglio
d’Europa e trova il suo fondamento nell’articolo 14 della Convenzione europea
dei Diritti dell’Uomo fino dal 1950.
Le differenze e le diversità
culturali e linguistiche rappresentano una ricchezza e in quanto tali vanno
preservate e promosse per contrastare il rischio di globalizzazione e perdita
di identità e per apprezzare ancora di più l’ideale di integrazione in
un’Europa che va sempre più allargandosi.
Si devono una serie di misure per
agevolare l’uso delle lingue regionali o di minoranza nella vita pubblica e,
considerando che per restare vive le lingue devono essere usate, tali misure
coprono i campi dell’insegnamento, della giustizia, delle autorità
amministrative e dei servizi pubblici, dei media, delle attività e delle
strutture culturali, della vita economica e sociale.
La lingua materna in cui siamo
nati e abbiamo imparato a orientarci nel mondo, non è un guanto, uno strumento
usa e getta. Essa innerva dalle prime ore di vita (oggi sappiamo) la nostra
vita psicologica, i nostri ricordi, associazioni, schemi mentali. Essa apre le
vie al consentire con gli altri e le altre che la parlano ed è dunque la trama
della nostra vita sociale e di relazione, la trama, invisibile e forte,
dell’identità di gruppo.
È ben legittimo considerare su
piani diversi lingue che ci si presentano senza tradizione scritta e parlate da
poche migliaia di parlanti e lingue che permeano di sé, spesso da secoli, la
vita e la memoria storica di milioni di persone. Consideriamo un secondo
criterio: il dato della scrittura. Come si sa, sono circa seimilaottocento le
lingue oggi vive nel mondo. Di queste, fino a trent’anni fa, solo 750 circa
avevano una tradizione. Sono diventate 2400. Si tratta in gran parte dei casi
di traduzioni del Vangelo e dell’Antico
Testamento promosse dalle
confessioni cristiane, specie dalla Chiesa cattolica. Il dato è interessante da
almeno due punti di vista: quasi due terzi delle lingue sono ancorate solo alla
trasmissione parlata, e già perciò a rischio di essere travolte dal divenire
storico e sociale. D’altra parte in trent’anni è cresciuto a dismisura, si è
più che triplicato il numero di lingue per le quali si è sentito il bisogno di
rafforzarne l’identità ancorandole alla scrittura. Emerge così un primo aspetto
delle dinamiche in atto: da un lato rischio di scomparsa nel mondo
globalizzato, dall’altro volontà di rafforzamento identitario.
La diversità linguistica e culturale in Italia
A) ARBËRESH/ALBANESI: attualmente sono presenti in 7 Regioni:
Abruzzo, Molise, Campania,
Calabria, Basilicata, Puglia e
Sicilia.
B) CATALANI: Alghero
C) CROATI: oggi circa tremila persone vivono nei comuni di
Acquaviva Collecroce, Montemitro e San Felice del Molise e parlano ancora
l’antica lingua madre.
D) ELLENOFONI: In Calabria ed in Puglia esistono delle comunità
greche (in quest’ultima Regione viene identificata come grika).
E) FRANCOFONI, FRANCO-PROVENZALI ED OCCITANI: nella Valle d’Aosta e
in diverse vallate piemontesi in provincia di Torino, tutte contigue al
territorio vallesano (Svizzera) e savoiardo (Francia), vivono i franco-provenzali
che parlano il patois.
F) FRIULANI: friulano dalla popolazione dell gruppo celtico, i Carni
G) GERMANOFONI: CARINZIANI, CIMBRI, MOCHENI, TEDESCHI E WALSER in
Friuli-Venezia Giulia, in provincia di Udine, nelle piccole isole linguistiche
di Sauris e Timau; al confine con l’Austria e la Slovenia nella Val Canal: in
Veneto, nel comune di Sappada (Belluno),
CARINZIANI: in
Friuli-Venezia Giulia, in provincia di Udine, nelle piccole isole linguistiche
di Sauris e Timau; al confine con l’Austria e la Slovenia nella Val Canal: in
Veneto, nel comune di Sappada (Belluno),
CIMBRI: Attualmente sono
presenti in Trentino, nei paesi di Folgaria, Lavarone e Luserna, nei cosiddetti
Sette Comuni dell’altopiano di Asiago e in 13 Comuni della Lessinia, in
provincia di Verona,
MOCHENI: piccola comunità
tedescofona
insediatasi nella valle del
torrente Fèrsina (Trentino-Alto Adige), affluente di destra dell’Adige, detta
anche valle dei Mòcheni, per l’idioma particolare dei suoi abitanti.,
TEDESCHI: Il
Trentino-Alto Adige/Sud Tirol,
WALSER: La minoranza è
presente in alcuni comuni della Valle d’Aosta ed in Piemonte, nelle province di
Verbania e Vercelli,
H) LADINI: I ladini delle Dolomiti, che formano il gruppo centrale
dei locatori nelle Alpi; i ladini svizzeri (i romanci), i Grigioni ed i ladini
friulani del Friuli. In Italia i ladinofoni vivono nelle regioni Trentino-Alto
Adige e Veneto, nelle province di Trento, Bolzano e Belluno,
I) SARDI: Una storia a sé ha la Sardegna che parla una lingua di
origine neolatina. L’isolamento non solo geografico ed il sentimento di
individualità e di autonomia hanno suscitato un vivace movimento di opinione
teso a riconoscere alle parlate sarde lo status di lingua di minoranza da
tutelare,
L) SLOVENI: Lo sloveno in Italia è parlato in 36 comuni del
Friuli-Venezia Giulia, nella Val Canale, nella Valle di Resia, nelle valli del
Natisone in provincia di Udine, a Gorizia, in varie località in provincia di
Trieste.
CONCLUSIONI
Se pensiamo che il pluralismo
linguistico e culturale, che è una caratteristica strutturale di pressoché
tutte le società umane, debba essere mantenuto e sviluppato e che vada
combattuta la tendenza alla semplificazione e all’omologazione per il tramite
di un’educazione plurilingue e interculturale, è verso le giovani generazioni
che ogni nostro sforzo va indirizzato: di genitori, di intellettuali, di
insegnanti, di responsabili istituzionali, di cittadini.
Un plurilinguismo deve essere
concepito non soltanto per fini pratici, utilitaristici e pragmatici, ma nella
prospettiva di permettere a umani sempre più consistenti la possibilità di
capire e di usare una pluralità di lingue per il proprio arricchimento
culturale e per una crescita intellettuale e sociale. In questa prospettiva, la
realtà e la potenzialità presenti in molte famiglie, nei tanti borghi, nei
tanti paesi e in tutte le regioni di questa Italia delle Italie sono un campo
ideale e produttivo per avviare in maniera corretta ed effettiva il processo di
educazione in diverse lingue. Ed è questa la prospettiva che pone le lingue
meno diffuse oltre le nozioni di tutela, di salvaguardia e di valorizzazione di
un patrimonio prezioso, ma le mette al centro di un processo formativo di
conoscenze e di competenze che investono tutti i cittadini e soprattutto i
cittadini di domani.
(…) occorre, ha scritto De Mauro
(1987), che la politica culturale possa e sappia partire dalle realtà e
potenzialità ambientali, sappia far leva sulle concrete, reali, divergenti
esigenze vitali esistenti negli individui nel territorio, nelle società
regionali e locali, non per irrigidire tali realtà e potenzialità, ma per
metterle a contatto e confronto, aprendole dunque alla possibilità di nuove
acquisizioni, di più complesse articolazioni.
fonte: ANNALI DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
fonte: ANNALI DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE
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