Credo che questa opportunità, che la tecnologia ci offre, possa rappresentare un valido e costruttivo mezzo di comunicazione sia all'interno della classe che con il mondo esterno. Utilizzerò questo blog perlopiù come diario di bordo per raccontare, mostrare e condividere ciò che si "vive" all'interno delle nostre classi nel rispetto delle norme sulla privacy. Inoltre può essere considerato e visto come una risorsa per la didattica. BUONA VISIONE!
Cerca nel blog
lunedì 30 gennaio 2012
Calameo
Costruire learning object
XeLearning è un potente strumento opensource per costruire, scambiare e modificare LO (oggetti didattici) personalizzati: dal frame degli iDevice, è infatti possibile selezionare dei modelli per costruire (per fare qualche esempio):
testi liberi;
quiz;
cloze;
gallerie di immagini;
quiz a scelta multipla;
letture;
inclusione di flash;
inclusione di video;
letture;
ecc.
testi liberi;
quiz;
cloze;
gallerie di immagini;
quiz a scelta multipla;
letture;
inclusione di flash;
inclusione di video;
letture;
ecc.
venerdì 27 gennaio 2012
Calendario prove INVALSI
Durante l'incontro tra sindacati e MIUR sono state fornite le scadenze legate allo svolgimento delle prova INVALSI. Iniziano le classi II delle superiori.
Il calendario delle prove:
8 maggio 2012:
Classe II SECONDARIA DI SECONDO GRADO: prova di Italiano, di Matematica e questionario studente.
9 maggio 2012:
Classe II PRIMARIA: prova preliminare di lettura (prova scritta a tempo della durata di pochi minuti per testare la capacità di lettura/decodifica raggiunta da ciascun allievo) e prova di Italiano;
Classe V PRIMARIA: prova di Italiano.
10 maggio 2012:
Classe I SECONDARIA DI PRIMO GRADO: prova di Italiano, di Matematica e questionario studente.
11 maggio 2012:
Classe II PRIMARIA: prova di Matematica;
Classe V PRIMARIA: prova di Matematica e questionario studente.
mercoledì 25 gennaio 2012
Filmografia sulla Shoah
Alcune volte ci domandiamo quali siano i film adatti sulla Shoah da proporre ai bambini; quella che segue è una filmografia orientativa.
I titoli segnalati sono di facile reperibilità e, secondo il parere degli operatori che da anni portano nelle scuole la didattica della Shoah, sono strumenti validi. Si ritiene comunque opportuno suggerire a maestre e maestri, professoresse e professori di vedere i film prima di proporli alle classi. Le indicazioni per fasce d’età sono orientative.
LE LETTERE P, M e S, indicano rispettivamente i titoli suggeriti per le scuole primarie, medie e superiori.
ALAN E NAOMI
(Alan and Naomi)
Regia: Sterling Vanwagenen
Interpreti: Lukas Haas, Vanessa Zaoui, Michael Grass, Amy Aquino
Produzione: USA
Anno: 1992
Durata: 100’ (col)
Naomi, bambina ebrea, ha perso il padre durante la guerra in Francia. Da allora è rimasta in stato catatonico. Solo l’aiuto di Alan potrà salvarla. Nella New York del ’44, gli orrori della Shoah visti attraverso lo sguardo di due bambini
M, S
AMEN
(Amen)
Regia: Costantin Costa-Gravas
Interpreti: Ulrich Tukur, Mathieu Kassovitz, Ulrich Muehe
Produzione: Francia
Anno: 2002
Durata: 130’ (col)
Ispirandosi all’opera teatrale di Rolf Hochhuth, "Il Vicario", Costa-Gravas racconta il tentativo di due personaggi "atipici", Kurt Gerstein, ufficiale delle SS, e Ricardo Fontana, giovane gesuita, di interrompere il meccanismo di sterminio degli ebrei d’Europa messo in atto dai nazisti nei campi della morte istituiti in Polonia
S
L'AMICO RITROVATO
(Reunion)
Regia: Jerry Schatzberg
Produzione: Gran Bretagna/Francia/Germania
Interpreti: Jason Robards, Christian Anholt, Sam West, Françoise Fabian.
Anno: 1989
Durata: 110' (col)
Liberamente tratto dall'omonimo libro di Fred Uhlman (pubblicato in Italia dalla casa editrice Feltrinelli). Germania, anni ’30. Due adolescenti, uno figlio di uno stimato medico ebreo, l’altro rampollo di una famiglia aristocratica, gli Hohenfelds, frequentano lo stesso prestigioso ginnasio di Stoccarda. L’appassionata amicizia che nasce tra i due verrà stroncata dalla dilagante piaga dell’antisemitismo nazista.
M, S
ARRIVEDERCI RAGAZZI
(Au revoir les enfants)
Regia: Louis Malle
Interpreti: Gaspard Manesse, Raphael Fejto, Francine Racette, Philippe Morier-Genoud, François Berléand.
Produzione: Francia
Anno: 1987
Durata: 103' (col)
E’ un ricordo di scuola dello stesso Malle. Francia, Collegio del Bambin Gesù di Fontainebleau, gennaio
del ’44. Tra il ragazzo Louis Malle (Gaspard Manesse) e Jean Bonet (Raphael Fejto ), ebreo nascosto sotto falso nome, si stabilisce un delicato rapporto di amicizia che viene, però, stroncato sul nascere dalla deportazione del Padre rettore del Collegio insieme ai piccoli ebrei che aveva nascosto.
L’ arrivederci straziante si rivelerà un irrimediabile addio.
(Leone d'Oro alla Mostra di Venezia)
M, S
ASSISI UNDERGROUND
(Assisi Underground)
Regia: Alexander Ramati
Interpreti: Ben Cross, Maximilian Schell, James Mason, Irene Papas
Produzione: USA/Italia
Anno: 1984
Durata: 116' (col)
Ad Assisi, dal 1943 al 1944, un coraggioso frate francescano (Ben Cross) salvò la vita a numerosi ebrei, nascondendoli in un convento fino all’arrivo degli alleati
M, S
BALLATA PER UN CONDANNATO
(Playing for time)
Regia: Daniel Mann
Produzione: USA
Interpreti: Vanessa Redgrave, Jane Alexander.
Anno: 1980
Durata: 180' (col)
Dalla straordinaria testimonianza di Fania Fanelon, "Surcis pour l’orchestre". Fania (Vanessa Redgrave), ebrea resistente francese, è deportata ad Auschwitz-Birkenau, dove viene inserita nell’orchestra, voluta dal comandante Rudolf Hoess, formata dalle stesse deportate e diretta da Alma Rosé, nipote del compositore Gustav Mahler. La "Kleine Saengerin" (piccola cantante) sarà una delle poche a sopravvivere.
S
LA BARCA E' PIENA
(Das Boot ist voll)
Regia: Markus Imhoof
Produzione: Svizzera
Interpreti: Tina Engel, Hans Diehl, Martin Waltz, Curt Bois.
Anno: 1980
Durata: 100' (col)
Durante l’occupazione nazista dell’Europa, molti ebrei credettero di potersi salvare fuggendo in Svizzera. Ma, anche qui, leggi restrittive ributtarono i più verso il loro tragico destino.
M, S
IL CIELO CADE
Regia: Andrea e Antonio Frazzi
Interpreti: Isabella Rossellini, Lara Campoli, Veronica Niccolai, Jeroen Krabbé, Barbara Enrichi, Gianna Giachetti, Luciano Virgilio.
Produzione: Italia
Anno: 2000
Durata: 101' (col)
Una storia liberamente tratta dalla vicenda vera di Alfred Einstein (cugino del grande fisico) e dei suoi, vittime delle SS in ritirata dopo aver rifiutato di fuggire "per rispetto della propria dignità" nei giorni successivi al 25 luglio 1943.
P , M, S
CONCORRENZA SLEALE
Regia: Ettore Scola
Interpreti: Diego Abatantuono, Sergio Castellitto, Gérard Depardieu.
Produzione: Italia
Anno: 2001
Durata: 118’. (col)
Le leggi antiebraiche italiane e l'indifferenza con cui furono accolte in un film che rievoca l'Italia della fine degli anni '30.
M, S
IL DIARIO DI ANNA FRANK
(The Diary of Anna Frank)
Regia: George Stevens
Interpreti: Millie Perkins, Joseph Schildkraut, Shelly Winters, Richard Beymer, Lou Jacobi, Diane Baker.
Produzione: USA
Anno: 1959
Durata: 156' (b/n)
Tratto dal celebre Diario pubblicato in Italia dalla casa editrice Einaudi, narra la storia di Anna Frank, la ragazzina ebrea che, per sfuggire alle deportazioni, si nascose, purtroppo invano, con la famiglia in una soffitta di alcuni amici ad Amsterdam.
Il film ha vinto 3 Premi Oscar.
M, S
DOTTOR KORCZAK
(Korczak)
Regia: Andrzej Wajda
Interpreti: Wojciech Pszoniak, Ewa Dalkowska, Piotr Kozlowski.
Produzione: Polonia/Germania/Francia
Anno: 1990
Durata: 113' (b/n)
La tragedia di un gruppo di 200 orfani ebrei nel Ghetto di Varsavia, affidati alle cure del Dottor Korczak, fino alla loro deportazione, nell’agosto del 1942, nel campo di sterminio di Treblinka.
S
EUROPA EUROPA
(Europa Europa)
Regia: Agnieszka Holland
Interpreti: Marco Hofschneider, Julie Delpy, Delphine Forest, Hanns Zichler
Produzione: Germania/Francia
Anno: 1991
Durata: 110' (col)
Storia incredibile ma vera di Salomon Perel, ebreo tedesco, adolescente nella Germania nazista. Fuggito a Est, viene sedotto dall’ideologia comunista in un orfanotrofio in cui trova rifugio. Catturato nel corso dell’invasione nazista della Russia , riesce a spacciarsi per "ariano" e, suo malgrado, a diventare un eroe della Wermacht. Inserito addirittura nella Hitlerjugend, spinto dall’istinto di sopravvivenza, continuerà a rinnegare la sua origine e a identificarsi nel modello del perfetto tedesco, finché non sarà costretto a confrontarsi con la verità
S
IL GIARDINO DEI FINZI CONTINI
Regia: Vittorio De Sica
Produzione: Italia
Interpreti: Lino Capolicchio, Dominique Sanda, Helmut Berger, Fabio Testi, Romolo Valli, Raffaele Curi.
Anno: 1970
Durata: 93' (col)
Liberamente tratto dall'omonimo romanzo di Giorgio Bassani (pubblicato dalla casa editrice Einaudi). Attraverso l’amicizia tra Giorgio (Lino Capolicchio), figlio di un commerciante, e Micol (Dominique Sanda), giovane appartenente all’altolocata famiglia dei Finzi-Contini, vengono ripercorse le tragiche vicende della Comunità Ebraica di Ferrara, tra il 1937 e il 1943.
S
GIULIA
(Julia)
Regia: Fred Zinnemann
Interpreti: Jane Fonda, Vanessa Redgrave, Jason Robards, Maximiliam Schell, Meryl Streep, Dora Doll, John Glover.
Produzione: USA
Anno: 1977
Durata: 118' (col)
Due amiche impegnate nella resistenza antinazista nella Vienna degli anni dell'Annessione al Terzo Reich.
Il film ha vinto 3 Premi Oscar.
S
IL GRANDE DITTATORE
(The Great Dictator)
Regia : Charlie Chaplin
Produzione: USA
Interpreti: Charlie Chaplin, Paulette Goddard, Jack Oakie, Reginald Gardiner, Grace Hale.
Anno 1940
Durata 126 ‘ (b/n)
Un grandissimo Charlie Chapiln nel doppio ruolo del dittatore Hynkel (Hitler) e di un barbiere ebreo che lotta contro le persecuzioni antisemite e che, camuffato da nazista, viene scambiato per il primo e in questa veste pronuncia un grande discorso umanitario. Fu quasi l’unico film americano ad attaccare il nazismo prima di Pearl Harbor. Coraggiose le analogie, mai camuffate (Hering/Goering, Napoleone/Mussolini), così come le sequenze realistiche del Ghetto. A Chicago, città che contava una forte comunità tedesca, fu censurato.
P, M, S
IN NOME DEI MIEI
(Au nom de tous les miens)
Regia: Robert Enrico
Produzione: Francia/Canada
Interpreti: Michael York, Brigitte Fossey, Jacques Penot
Anno 1983
Durata: 140’ (col)
Tanneron, Francia Meridionale, 3 ottobre 1970. In un terribile incendio, periscono la moglie e i quattro figli di Martin Gray, ebreo nato a Varsavia nel 1926. L’ "uomo dai mille dolori" ripercorre le tappe della sua incredibile vita. E’ una testimonianza sconvolgente: il Ghetto di Varsavia, il campo di sterminio di Treblinka, l’incredibile fuga e il successivo ritorno in Ghetto per partecipare alla rivolta, l’entrata nelle file dell’Armata Rossa, la partecipazione alla "Battaglia per Berlino", il definitivo passaggio in Occidente.
S
L’ISOLA IN VIA DEGLI UCCELLI
(The Island in Bird Street)
Regia: Soren Kragh-Jacobsen
Produzione: Danimarca, Gran Bretagna, Germania
Interpreti: Jordan Kiziuk, Patrick Bergin, Jack Warden, James Bolam, Simon Gregor.
Anno 1997
Durata: 107’ (col)
1944, nell’ultima retata nel Ghetto di Varsavia, Alex, un ragazzo di 11 anni, riesce a sfuggire ai nazisti. Completamente solo riesce a sopravvivere nel ghetto deserto, finché il padre farà ritorno e, insieme torneranno a sopravvivere.
P, M, S
JAKOB IL BUGIARDO
(Jakob the Liar)
Regia: Peter Kassovitz
Produzione: USA
Interpreti: Robin Williams, Alan Arkin, Mathieu Kassovitz
Anno: 1999
Durata: 114' (col)
Tratto dal romanzo di Jurek Becker , è una fiaba sul tema tragico della ghettizazione degli ebrei dell’Europa orientale ad opera dei nazisti. In un ghetto polacco, Jakob, nell’ufficio della Gestapo, ascolta per caso alla radio la notizia dell’avanzata dell’Armata Rossa. Quando comunica il fatto ai suoi conoscenti, tutti credono che egli abbia una radio nascosta. Nel tentativo di far nascere la speranza nel ghetto egli decide di dare via via delle notizie completamente inventate sull’esito positivo della guerra.
M, S
JONA CHE VISSE NELLA BALENA
Regia: Roberto Faenza
Produzione: Italia
Interpreti: Jean-Hugues Anglade, Juliet Aubrey, Luke Petterson, Jenner Del Vecchio, Francesca De Sapio, Djoko Rosic.
Anno: 1993
Durata: 110 ' (col)
Commovente trasposizione cinematografica del libro Anni d'infanzia di Jona Oberski (edito dalla casa editrice la Giuntina, Firenze). Amsterdam, 1942: Jona, bambino ebreo di quattro anni, dopo aver subito l’umiliante degradazione delle leggi antiebraiche, viene deportato con i genitori al campo di transito di Westerbork e, da lì, a Bergen-Belsen. Sarà il solo a sopravvivere al "ventre della balena".
P, M, S
KAPO'
Regia: Gillo Pontecorvo
Produzione: Francia/Italia
Interpreti: Susan Strasberg, Laurent Terzieff, Emmanuelle Riva, Didi Perego, Gianni Garko.
Anno: 1960
Durata: 116' (b/n)
Durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale, Edith, una giovane ebrea francese, viene deportata in un campo di sterminio. Dopo aver assistito all’uccisione dei genitori, decide di sopravvivere diventando la responsabile di una baracca. L’amore per un prigioniero russo le farà ricordare i valori dimenticati nella battaglia quotidiana per la vita.
S
MARTA ED IO
(Martha und Ich)
Regia: Jiri Weiss
Produzione: RFT/Francia
Interpreti: Marianne Saegebrecht, Michel Piccoli
Anno: 1990
Durata: 107' (col)
Rivisitazione autobiografica degli anni tragici delle persecuzioni antisemite. Emil, il ragazzo che narra con voce di adulto la storia, è lo stesso regista adolescente nella cittadina cecoslovacca di Most. Preso in custodia dallo zio Ernst, brillante ginecologo ebreo, assiste al discusso matrimonio di questi con la corpulenta cameriera tedesca Martha, proveniente dai Sudeti. I nazisti, che non vengono mai mostrati se non attraverso le svastiche e le scritte antisemite, occupano, però, la Cecoslovacchia ed Emil, grazie al volere dell’assennata Martha, verrà mandato negli Stati Uniti. Sarà il solo a salvarsi (Weiss, in effetti, emigrò nel 1939 in Inghilterra). Due straordinarie presenze: Michel Piccoli e Marianne Saegebrecht, personalità femminile di sommessa, gigantesca statura.
S
MONSIEUR BATIGNOLE
Produzione: Francia
Anno: 2001
Durata: 100' (colore)
Regia: Gérard Jugnot
Interpreti: Gérard Jugnot, Jean-Paul Rouve, Jules Sitruk, Michèle Garcia, Alexia Portal, Violette Blanckaert, Daphné Baiwir
Produzione Francia
Anno 2001
Durata: (col)
Monsieur Batignole, un macellaio parigino, nella Francia occupata dai tedeschi incontra l¹orrore della deportazione antisemita, e trova la sua personale via verso il riscatto e la dignità.
M, S
MUSIC BOX - PROVA D’ACCUSA
(Music Box)
Regia: Costantin Costa-Gravas
Produzione: USA
Interpreti: Jessica Lange, Armin Mueller-Sthal, Frederic Forrest
Anno: 1989
Durata: 126' (col)
Perfetto caso di mimetizzazione e integrazione di un criminale di guerra ungherese (Armin Mueller-Sthal) nella società americana. La vicenda assume toni drammatici quando è proprio la figlia - avvocato (Jessica Lange)- a scoprire le prove inconfutabili dei crimini del padre.
S
NEGOZIO AL CORSO
(Obchod na korze)
Regia: Jan Kadar/Elmar Klos
Produzione: Cecoslovacchia
Interpreti: Jozef Kroner, Ida Kaminska, Hana Slivkovà
Anno: 1965
Durata: 128' (b/n)
In una cittadina slovacca del 1942, Tono Britko (Josef Kroner), un modesto falegname, viene designato "tutore ariano" del negozio di una vecchia donna ebrea, Rosalie Lautmann (Ida Kaminska). Fra i due si instaura un rapporto paradossale, che avrà una tragica conclusione nel momento della deportazione di tutti gli ebrei della zona. Splendido film, in cui giganteggia la figura dell’indimenticabile Ida Kaminska.
S
OLOCAUSTO
Regia: Marvin Chomsky
Produzione: USA
Interpreti: Meryl Streep, James Woods, Ian Holm, Michael Moriarty
Anno: 1978
Durata: 425' (col)
Famosissima trasposizione cinematografica dell’omonimo romanzo di Gerald Green. E’ la storia della Shoah narrata attraverso le vicende di una famiglia di ebrei berlinesi, i Weiss: le prime persecuzioni in Germania, il trasferimento nei ghetti in Polonia, il massacro ad Auschwitz, l’eroica resistenza ebraica, la fine della guerra, la partenza per il nascente Israele. Nonostante abbia suscitato numerose reazioni negative il film ha, tuttavia, il merito di aver fatto conoscere il tema al grande pubblico: è stato visto da 220 milioni di spettatori, 15 dei quali tedeschi dell’Ovest.
S
OLTRE LA VITTORIA
Regia: Robert M. Young
Produzione: USA
Interpreti: William Dafoe, Wendy Gazelle, Robert Loggia
Anno: 1990
Durata: 116' (col)
Storia vera del giovane pugile ebreo di Salonicco Salamo Arouch, campione baltico dei pesi medi, deportato nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau con tutta la sua famiglia e quella della sua fidanzata. Riuscirà a sopravvivere solo mettendo in gioco innumerevoli volte la vita combattendo sul ring, allestito nel campo per il puro piacere delle SS. Scrupolosa, dal punto di vista storico, la ricostruzione del processo di sterminio di Birkenau.
S
L'ORO DI ROMA
Regia: Carlo Lizzani
Produzione: Italia
Interpreti: Anna Maria Ferrero, Jean Sorel, Gérard Blain, Andrea Checchi, Paola Borboni.
Anno: 1961
Durata: 102' (b/n)
Sono narrate le vicende della Comunità Ebraica di Roma durante il 1943, l’anno più tragico della sua bimillenaria storia: la faticosa raccolta dei 50 kg. d’oro pretesi da Kappler, la vergognosa razzia del ghetto, il 16 ottobre, la deportazione finale.
M, S
IL PIANISTA
Produzione: Francia / Gran Bretagna
Anno: 2002
Durata: 148'' (colore)
Regia: Roman Polanski
Interpreti Adrien Brody, Daniel Caltagirone, Thomas Kretschmann, Frank Finlay, Maureen Lipman
Durata 148'
Nel corso della Seconda guerra mondiale, Wladyslaw Szpilman - un pianista ebreo polacco durante la seconda guerra mondiale, si ritrova nel ghetto di Varsavia, dove si trova a vivere sofferenze e atti di eroismo degli abitanti del ghetto. Qui trova un ufficiale nazista amante della musica che lo aiuta.
M, S
IL PREZZO DELLA VITTORIA
(The Shadow of Victory)
Regia: Ate De Jong
Produzione: NL
Interpreti: Jeroen Krabbe, Edwin De Vries, Linda Van Dyck
Anno: 1986
Durata: 100' (col)
Nell’Olanda occupata dai nazisti, due uomini combattono una differente battaglia contro gli invasori: Peter Vaijk, eroe della resistenza, lotta con la violenza in nome della libertà; Blumberg, fine intellettuale ebreo, è costretto a utilizzare le armi del sotterfugio e della menzogna perché si è prefisso il disperato compito di salvare il maggior numero di correligionari dalla deportazione nei campi di sterminio.
S
LA RAGAZZA TERRIBILE
(Das schreckliche Maedchen)
Regia: Michael Verhoeven
Produzione: RFT
Interpreti: Lena Stolz, Monika Baumgartener
Anno: 1989
Durata: 93' (col)
Tratto da un fatto realmente accaduto in Baviera, il film narra la vicenda di una studentessa di provincia che scopre, attraverso una travagliata indagine, l’ambiguo passato di molti suoi concittadini durante il periodo nazista.
S
SCHINDLER'S LIST
Regia: Steven Spielberg
Produzione: USA
Interpreti: Liam Neeson, Ben Kingsley, Ralph Fiennes, Caroline Goodall.
Anno: 1993
Durata: 195' (b/n e col)
Capolavoro di Spielberg premiato a Hollywood con 7 Oscar nel 1994, tratto dal libro di Thomas Keneally (pubblicato in Italia dalla casa editrice Frassinelli), narra la storia di Oskar Schindler, industriale nazista che, salvando 1100 ebrei dalla morte, divenne un "giusto ".
La ricostruzione del ghetto di Cracovia e della sua selvaggia liquidazione resterà nella storia del cinema come una delle rappresentazione visive più impressionanti e nello stesso tempo più rigorose che siano mai state realizzate sulla Shoah.
S
SWING KIDS - GIOVANI RIBELLI
(Swing Kids)
Regia: Thomas Carter)
Produzione: USA
Interpreti: Robert Sean Leonard, Christian Bale, Frank Whaley, Kenneth Branagh, Barbara Hershey
Anno: 1993
Durata: 114' (col)
Ci si può opporre al nazismo ballando? E’ successo a un gruppo di giovani legati da una forte amicizia e dalla comune passione per il Swing, la musica americana che venne proibita perché degenerata. Il film offre una convincente descrizione della condizione dei giovani, di fronte al tentativo di nazificazione della società tedesca, nella Germania degli anni ’30.
M, S
TORNARE PER RIVIVERE
(Partir revenir)
Regia: Claude Lelouch
Produzione: Francia
Interpreti: Annie Girardot, Jean-Louis Trintignant, Michel Piccoli
Anno: 1985
Durata: 117' (col)
A causa di una lettera anonima, Salomè Zerner, una giovane ebrea francese, viene deportata ad Auschwitz con tutta la famiglia. Sola a essere tornata, corrosa nel corpo e nell’anima, suo unico desiderio è rivivere gli ultimi momenti con i suoi cari e scoprire la verità sulle cause della loro tragica fine.
S
LA TREGUA
Regia: Francesco Rosi
Produzione: Italia/Francia/Svizzera/Germania
Interpreti: John Turturro, Massimo Ghini, Rade Serbedzija, Teco Celio, Roberto Citran, Claudio Bisio, Andy Luotto, Stefano Dionisi, Agnieszka Wagner, Lorenza Indovina.
Anno: 1997
Durata: 123' (col)
Tratto dall'omonimo libro di Primo Levi (pubblicato dalla casa editrice Einaudi)
S
TRAIN DE VIE - Un treno per vivere
Train de vie)
Produzione Romania / Ungheria / Francia
Anno1998
Durata 100'
Regia Radu Mihaileanu
Interpreti Johan Leysen, Michel Muller, Clement Harari, Rufus, Lionel Abelanski
La shoah vista come una favola: mentre i nazisti che rastrellano i villaggi ebraici della Romania, un gruppo di ebrei, guidati dallo scemo del paese, costruiscono un treno, ci appiccicano le svastiche e poi si travestono: chi da aguzzino delle SS chi da prigioniero. Destinazione (falsa) Auschwitz...
P, M, S
L’ULTIMO METRO’
(Le Dernier métro)
Regia: François Truffaut)
Produzione: Francia
Interpreti: Catherine Deneuve, Gérard Depardieu, Heinz Bennet
Anno: 1980
Durata: 130' (col)
Film dedicato ad Andrè Bazin. Parigi, 1942: a causa del coprifuoco, l’ultimo metrò parte alle 20,30, ma il teatro, nonostante la paura, è frequentatissimo. Il proprietario e direttore del Teatro Montmartre (Heinz Bennet) è costretto, in quanto ebreo, a vivere nascosto nella cantina del suo teatro, da dove continua a lavorare e a dirigere all’insaputa degli stessi attori. Per tutti, a dirigere l’impresa è la moglie Marion (Catherine Deneuve), che, in realtà, svolge solo il ruolo di segreta controfigura del marito.
S
L'UOMO DEL BANCO DEI PEGNI
(The Pawnbroker)
Regia: Sidney Lumet
Produzione: USA
Interpreti: Rod Steiger, Geraldine Fitzgerald, Brock Peters
Anno: 1965
Durata: 116' (b/n)
Sol Nazerman (Rod Steiger), un ebreo polacco sopravvissuto allo sterminio nazista, vive in America gestendo un Banco dei Pegni. Ossessionato dal ricordo, vive chiuso in se stesso. Un evento traumatico scuoterà la sua apparente incapacità di soffrire e di amare. il film è ritenuto una delle poche produzioni holliwoodiane che abbiano affrontato il tema della Shoah con rigore, sia tematico che formale.
S
IL VIAGGIO DEI DANNATI
(Voyage of the Damned)
Regia: Stuart Rosemberg
Produzione: Gran Bretagna
Interpreti: Faye Dunaway, Max Von Sydow, Orson Welles, James Mason, Ben Gazzara
Anno: 1976
Durata: 180' (col)
Film sull’indifferenza internazionale di fronte alla disperata situazione di 937 ebrei che ottennero il permesso di lasciare Amburgo nel maggio 1939 e il cui sbarco fu vietato sia da Cuba sia dagli Stati Uniti. La nave, La St-Louis, fu costretta così a far ritorno in Europa, dove il comandante ottenne l’autorizzazione di far sbarcare i passeggeri ad Anversa. Più di 600 di essi avrebbero trovato la morte nei campi di sterminio. Uno staff imponente.
S
LA VITA E' BELLA
Regia: Roberto Benigni
Produzione: Italia
Interpreti: Roberto Benigni, Giorgio Cantarini, Nicoletta Braschi, Giustino Durano, Giuliana Lojodice.
Anno: 1997
Durata: 111' (col)
Osannato e pluripremiato film di Benigni, è il tentativo di rivivere il dramma della deportazione ebraica raccontato con "leggerezza" ed utilizzando un tono evocativo, senza mai cadere nella farsa o nella mancanza di rispetto nei confronto delle vittime.
P, M, S
VITE SOSPESE
(Shining Through)
Regia: David Seltzer
Produzione: USA
Interpreti: Melanie Griffith, Michael Douglas, Liam Neeson
Anno: 1992
Durata: 132' (col)
All’alba della Seconda Guerra Mondiale: un agente segreto e la sua segretaria ebrea scoprono di essere profondamente innamorati. Saranno coinvolti in un ‘avventura avvincente nel cuore della Germania nazista.
M,S
martedì 24 gennaio 2012
LA SHOAH E LA MEMORIA
VITA SCIUPATA
Vita sciupata
Che infamia
Che i giorni scorrano senza alcun senso
Che anziché il riso — io conosca soltanto lacrime
Sono avvilita, sono angosciata
Per aver perduto ogni speranza da così tanto tempo
Come accettare la grettezza umana?
Come pensare alla morte — quando il mondo mi sta chiamando!
Non ho ancora vent’anni
Sono giovane!
Giovane,
GIOVANE!
Vita sciupata, che infamia…
Halina Nelken, Auschwitz, 1944
domenica 22 gennaio 2012
La Shoah 27 gennaio: il Giorno della Memoria. Per sapere, per non dimenticare e per scegliere la giustizia, la tolleranza e la pace.
"Shoah" è un termine ebraico che significa "annientamento", "sterminio".
Esso si riferisce ad una delle più vergognose vicende della storia umana, quando i regimi dittatoriali nazi-fascisti, poco più di sessant'anni fa, stabilirono, attraverso leggi razziali, di far arrestare tutti gli Ebrei e di rinchiuderli nei campi di lavoro forzato e di sterminio, per eliminare del tutto la loro "razza", ritenuta inferiore.
La stessa sorte toccò agli zingari, agli slavi, agli handicappati, ai neri, e a tutti coloro che, secondo i nazisti e i fascisti, non appartenevano alla razza bianca ariana, considerata superiore e pura.
Oggi a noi può sembrare impossibile e incredibile che possano essere successi quei fatti e che donne, uomini e bambini di un intero popolo siano stati perseguitati, torturati e uccisi nei campi di concentramento e nelle camere a gas: ma è tutto tragicamente vero e ogni uomo appena ragionevole si vergogna ancora oggi di quello che successe.
E non dobbiamo pensare che i nazisti e i fascisti fossero tutti dei pazzi: sarebbe troppo facile liquidare lo sterminio accusando uno o due pazzi responsabili. I loro capi erano persone istruite e di normale intelligenza: sapevano quello che avevano deciso di fare. Lo sapeva Hitler e chi stava al suo fianco, lo sapeva Mussolini e il re d'Italia che firmarono le leggi razziali per perseguitare gli Ebrei italiani. Lo sapevano tutti coloro che obbedirono a quelle leggi sbagliate e crudeli.
Il "GIORNO DELLA MEMORIA" che viene celebrato ogni 27 gennaio, nella nazione e nelle scuole, serve proprio a non dimenticare le sofferenze di allora, per saper scegliere di evitare nuove sofferenze oggi, ad altri popoli e ad altre persone, in qualsiasi parte del mondo.
Ma la strada verso la giustizia e la pace è ancora lunga: basta guardare a quante guerre e persecuzioni sono ancora in atto in ogni continente del mondo.Occorre proprio l'impegno di tutti noi.
Disse Primo Levi a proposito di Anna Frank:
"Una singola Anne Frank detta più commozione delle miriadi che soffrirono come lei, la cui immagine è rimasta nell’ombra. Forse è necessario che sia così; se dovessimo e potessimo soffrire le sofferenze di tutti, non potremmo vivere".
Esso si riferisce ad una delle più vergognose vicende della storia umana, quando i regimi dittatoriali nazi-fascisti, poco più di sessant'anni fa, stabilirono, attraverso leggi razziali, di far arrestare tutti gli Ebrei e di rinchiuderli nei campi di lavoro forzato e di sterminio, per eliminare del tutto la loro "razza", ritenuta inferiore.
La stessa sorte toccò agli zingari, agli slavi, agli handicappati, ai neri, e a tutti coloro che, secondo i nazisti e i fascisti, non appartenevano alla razza bianca ariana, considerata superiore e pura.
Oggi a noi può sembrare impossibile e incredibile che possano essere successi quei fatti e che donne, uomini e bambini di un intero popolo siano stati perseguitati, torturati e uccisi nei campi di concentramento e nelle camere a gas: ma è tutto tragicamente vero e ogni uomo appena ragionevole si vergogna ancora oggi di quello che successe.
E non dobbiamo pensare che i nazisti e i fascisti fossero tutti dei pazzi: sarebbe troppo facile liquidare lo sterminio accusando uno o due pazzi responsabili. I loro capi erano persone istruite e di normale intelligenza: sapevano quello che avevano deciso di fare. Lo sapeva Hitler e chi stava al suo fianco, lo sapeva Mussolini e il re d'Italia che firmarono le leggi razziali per perseguitare gli Ebrei italiani. Lo sapevano tutti coloro che obbedirono a quelle leggi sbagliate e crudeli.
Il "GIORNO DELLA MEMORIA" che viene celebrato ogni 27 gennaio, nella nazione e nelle scuole, serve proprio a non dimenticare le sofferenze di allora, per saper scegliere di evitare nuove sofferenze oggi, ad altri popoli e ad altre persone, in qualsiasi parte del mondo.
Ma la strada verso la giustizia e la pace è ancora lunga: basta guardare a quante guerre e persecuzioni sono ancora in atto in ogni continente del mondo.Occorre proprio l'impegno di tutti noi.
Disse Primo Levi a proposito di Anna Frank:
"Una singola Anne Frank detta più commozione delle miriadi che soffrirono come lei, la cui immagine è rimasta nell’ombra. Forse è necessario che sia così; se dovessimo e potessimo soffrire le sofferenze di tutti, non potremmo vivere".
I libri pop up
I libri pop-up (così chiamati dall'editore Blue Ribbon Press negli anni Trenta) fecero la loro prima comparsa come strumenti didattici per la spiegazione di teorie e ricerche in campo scientifico, quindi destinati agli adulti.
Se ne rintraccia addirittura testimonianza nei "libri anatomici" del XIV secolo E' solo verso la fine del '700 che si cominciarono a pubblicare i primi libri destinati "a passare il tempo" in modo "dilettevole".
Sicuramente un impulso a questa produzione derivò dalla confezione dei giocattoli ottici. La lanterna magica, gli specchi curvi, le macchine ottiche (strumenti di origine scientifica) riconvertirono la propria destinazione, diventando molto popolari per la loro spettacolarità, così preparando i tempi della stampa dei libri animati per l'infanzia di metà Ottocento.
Quando la Dean & Son, per prima, ne avviò la produzione, pubblicando Dame Wonders Transformation.
Con questa secolare tradizione alle spalle, i libri pop-up sono un fenomeno commerciale di successo recente; va fatto risalire a non molti anni fa il boom di questa produzione.
C'è da sottolineare che la loro progettazione ingegnosa e complessa è appannaggio pressoché esclusivo di paesi quali l'America e l'Inghilterra. Anche se in Italia possiamo contare, da qualche anno a questa parte, su Massimo Missiroli che, già famoso come collezionista, ora si fa apprezzare come paper engineer a livello mondiale. Suoi i pop-up Pinocchio, su disegno di Lucia Salemi, e La mucca Moka e Fred Lingualunga su disegno di AgostinoTraini, pubblicati da Emme Edizioni.
Per chi vuole cimentarsi a costruirli in classe ecco alcuni utili spunti,
In rete
http://www.pop-ups.net/makepopups/makepopups.htm
sito interamente dedicato ai libri pop up, dove si trovano anche istruzioni per realizzare semplici
pop up, con immagini (in inglese)
http://www.popupbooks.com/
altro sito dedicato al mondo dei libri pop up (in inglese)
http://chio2.interfree.it/bacheca/biblioteca/sole/costruirelibro.htm
contiene semplicissime istruzioni per costruire un libro, con immagini
www.italbooks.com/images/media/kyber_computer.pdf
è un pdf scaricabile che illustra le componenti di base di un libro, con alcune utili istruzioni per che
vuole costruirne uno
In rete si trovano anche numerosi siti di scuole che hanno realizzato laboratori di costruzione di
libri; segnalo il seguente, dell’ Istituto comprensivo Bazzano Monteveglio (BO), dove si trovano
immagini di libri pop up realizzati da classi di scuola primaria, con qualche semplice istruzione:
http://www.icbazzano.it/prodotti/elementaremv/popup/popup.html
sabato 21 gennaio 2012
Piccole grandi idee: Il cinema di animazione a scuola
Documentazione didattica sulla produzione di film di animazione con la tecnica dello stop motion, a cura di Adriana Sartore, referente del progetto multimedialità della Direzione Didattica di Cassola (VI).
Pubblicato da scuoladibase in data 28/ott/2011
Sintesi vocale per i DSA
Intervista a Giacomo Stella professore Straordinario di Psicologia Clinica presso la Facoltà di scienze della Formazione dell’Università di Modena e Reggio Emilia e Direttore scientifico di I.RI.DE. (Istituto di Ricerca Dislessia Evolutiva), nonché Con-Direttore della rivista Dislessia Giornale italiano di ricerca clinica e applicativa.
Altri video del professor Stella nel blog di maestro Roberto
Altri video del professor Stella nel blog di maestro Roberto
Risorse free
I sistemi di sintesi vocale noti anche come sistemi text-to-speech (TTS) offrono la possibilità di convertire i formati di testo in file audio. In questa categoria raccoglieremo i software gratuiti e le web application che consentono di far ciò gratuitamente.Voki
Voki è un originale servizio che consente, previa registrazione di un account gratuito, di realizzare direttamente online animazioni personalizzate. Le animazioni consistono in figure umane personalizzabili fino nei dettagli. E' addirittura possibile dar loro la nostra voce, avviando una registrazione utilizzando un microfono, oppure selezionare l'audio digitando il testo delle frasi e selezionando la lingua (tra cui l'italiano), il tutto attraverso un'interfaccia realizzata in flash. Voki permette di salvare la nostra animazione generando a scelta diversi codici ''Embed'' tra cui il Codice javascript per l'inserimento del widget prodotto direttamente nelle proprie pagine o nei nostri account MySpace, Xanga, Blogger, ed altri. Ogni realizzazione può essere inoltre salvata pubblicata e condivisa come avatar 50x50 nella galleria del sito. Ben fatto, divertente, gratuito. Da provare.
Audiotweet
Audiotweet
Audiotweet è un curioso servizio che permette di trasformare i vostri testi in audio. Una applicazione Text to Speech che permette di 'dare voce' ai vostri scritti in maniera gratuita. E' sufficiente inserire nel campo preposto il vostro testo selezionando la lingua (il servizio ne supporta molte tra cui l'italiano), da un menù a discesa ed infine cliccare un pulsante per generare una url da condividere, presso la quale sarà possibile ascoltare una voce che pronuncerà il testo. Da testare.
Balabolka
Balabolka
Il programma Balabolka converte testi in audio. Il programma legge ad alta voce il contenuto degli appunti, visualizza il testo in formato CHM, DjVu, DOC, EPUB, FB2, HTML, ODT, PDF e RTF, cambia le impostazioni del carattere e colore, controlla l’ortografia, gestisce il processo di lettura dal system tray (l’area dei programmi attivi) o tramite l’uso di combinazioni di tasti, pronuncia il testo digitato, divide il file di testo in alcuni file di dimensioni più piccole, cerca degli omografi. Il Balabolka permette di cancellare dal testo tutti i punti di sillabazione per migliorare la lettura. Balabolka. Puoi salvare testi come file audio in formato WAV, MP3, MP4, OGG e WMA. Balabolka è un programma freeware disponibile anche in italiano per sistemi Windows.
Oddcast
Oddcast
Si tratta di un sintetizzatore vocale capace di riprodurre con ottimi risultati brevi frasi impostate online dall'utente. Oddcast si presenta con un interfaccia grafica rappresentata da una animazione in flash nella quale compare una signorina impegnata a seguire con lo sguardo il puntatore del vostro mouse. Il servizio, liberamente utilizzabile, consente di selezionare la lingua (italiano, inglese, spagnolo, tedesco, fino ad arrivare al cinese, giapponese, coreano), scegliere uno tra alcuni differenti personaggi che riproducono diverse voci, cadenze ed accenti, ed impostare una qualsiasi frase da riprodurre. Un progetto originale, utile per un corretto approccio alla pronuncia. Da visitare.
Text to Voice è un addons per Firefox in grado di trasformare un testo scritto in voce formato MP3. E' possibile scariare ed installare il plugin direttamente dalle pagine ufficiali di Mozilla.org.
Unirender
ReadSpeaker webReader è un prodotto che consente di trasformare gratuitamente il proprio sito o blog in un cosiddetto 'sito parlante' mediante la conversione del testo presente sulle pagine web in audio mp3 di altissima qualità. Il servizio, utilissimo anche per chi ha problemi visivi o di dislessia, è completamente gratuito per i siti e i blog che rispondano alla doppia caratteristica di essere a carattere personale e non a scopo di lucro.
Read The Words
Read The Words
Read The Words è un sintetizzatore vocale online che ti permettere convertire pagine Web, file word e PDF in file formato MP3. Previa registrazione gratuita al servizio è possibile caricare files di testo o digitarne uno e generarne il relativo l'mp3. Read The Words, che supporta le lingue Inglese, Spagnolo e Francese, permette di controllare anche la velocità di lettura. Il sito mette a disposizione di tutti i navigatori un tool demo da utilizzare online solo per la lingua inglese, con l'opzione di scegliere un avatar con voce maschile o femminile.
Robovoice
Robovoice
Robovoice è un sintetizzatore vocale che consente di ascoltare, mediante un apposita voce robotica, tutti i testi i nostro interesse sfruttando l’apposito bookmarklet da 'trascinare' direttamente nella barra dei segnalibri del browser ed attivare per ascoltare la letture dei testi contenute nella pagina web che stiamo navigando semplicemente cliccando sul bookmarklet, selezionando il testo, ed infine cliccando il pulsante 'Listen!'. E' possibile più semplicemente eseguire la medesima operazione direttamente dal sito. Supporto della lingua italiana, necessita di Microsoft Silverlight.
Speech
Speech
Si tratta di un vero e proprio sintetizzatore vocale che consente di trasformare i testi in audio. Un semplice campo di testo dove digitare parole di cui verrà fornità la ripetizione vocale in tempo reale. Il servizio, che è più una dimostrazione, rimane fine a se stesso.
Text2speech
Text2speech
Text2speech è un software open source di sintesi vocale. La sintesi vocale (in inglese speech synthesis) è la tecnica per la riproduzione artificiale della voce umana. Text2speech offre la possibilità di trasformare parole di testo in audio parlato.
Text to Voice
Text to Voice
Text to Voice è un addons per Firefox in grado di trasformare un testo scritto in voce formato MP3. E' possibile scariare ed installare il plugin direttamente dalle pagine ufficiali di Mozilla.org.
Unirender
Software italiano che permette il riconoscimento vocale delle parole dando la possibilità di abbinare, attraverso un interfaccia grafica, i comandi di qualsiasi videogame a dei numeri compresi da 0 a 9 (ad es. abbinare il comando vocale 1 o 2 al tasto X) permettendo in questo modo di eseguire comandi, che magari hanno una combinazione di tasti non sempre facile da ricordare, in modo immediato attraverso il solo uso della voce e di un buon microfono. E' disponibile FREE sul questo sito.
Vozme
Vozme
Originale questa web application che offre la possibilità di convertire un formato di testo in un file mp3, che riproduce appunto le parole scritte. Semplicissimo l'utilizzo: basta copiare ed incollare il testo nell'apposito campo (purtroppo il servizio funziona solo con testi in inglese e spagnolo) e premere il bottone ''create mp3''. Vozme, questo il nome del servizio, restituirà il file .mp3 audio pronto per essere ascoltato e salvato. Interessante.
Yakitome
Yakitome
Yakitome si propone come servizio per la conversione di documenti e testi scritti in audio mp3 utilizzando un software proprietario 'text to speech'. Registrazione gratuita, da testare e valutare.
martedì 17 gennaio 2012
PROGETTO "SU SCRITORI" L.R. n. 26/15 ottobre 1997 Provincia del Medio Campidano
Nell'anno scolastico 2010/ 2011 gli alunni della 5^ A del plesso di Via Sicilia di Serramanna hanno partecipato al Progetto "Su scritori".
Il progetto è nato dall’esigenza di portare nelle scuole alcuni scrittori
dei cinque paesi dell’Unione dei Comuni Terre del Campidano (Serramanna, San
Gavino Monreale, Sardara, Serrenti, Samassi). Il punto di partenza è stato l’individuazione del ruolo che lo scrittore locale assume nella propria
comunità di appartenenza, grazie anche alla lingua sarda campidanese con cui si
esprime nelle sue opere, specchio di una cultura che non può essere persa o
dimenticata.
Grazie all’opera dello scrittore locale, la lingua sarda e i saperi a essa
connessi trovano così un indispensabile veicolo di trasmissione nei confronti delle
nuove generazioni.
Nel percorso didattico del progetto, le varianti linguistiche locali sono
state affrontate in riferimento all'orizzonte unitario della lingua sarda di
cui le stesse varianti sono elemento costitutivo.
domenica 15 gennaio 2012
Progetto interregionale "ALLA SCOPERTA DI AMBIENTI E ANIMALI DEI PAESI NOSTRI"
Molto bello il lavoro collaborativo sviluppato nell'ambito del progetto interregionale
"ALLA SCOPERTA DI AMBIENTI E ANIMALI DEI PAESI NOSTRI"
dagli alunni di maestra Elisa di Villacidro, maestra Patrizia di Treviso, maestra Leila di Mantova, maestra Nicoletta di Grosseto, maestra Wanda di Napoli e maestra Cristina di Roma che portano avanti un percorso condiviso grazie alle ITC che promuove la motivazione al lavoro e all'apprendere.
Il gemellaggio permette alle classi di collaborare e sviluppare progetti condivisi a distanza grazie alla didattica assistita dalle nuove tecnologie.
Nuvole di tag
Wordle, generatore di nuvole di tag artistiche
Wordle permette di creare e condividere con chi vogliamo delle Tag Cloud artistiche dal forte impatto visivo.
Crearle è molto semplice. Intanto si caricano le parole che dovranno comporre la nuvoletta manualmente, da un file di testo oppure direttamente dai tag di Del.icio.us.
Fatta questa procedura, passiamo alla fase successiva e impostiamo alcune variabili grafiche per rendere la nuvoletta più vicina alle nostre esigenze “artistiche”.
Quando abbiamo terminato il lavoro di personalizzazione grafica, salviamo il progetto e passiamo alla condivisione direttamente su Wordle oppure alla pubblicazione sul nostro blog o sito web.
Link a Wordle, via feedmyapp
Wordle permette di creare e condividere con chi vogliamo delle Tag Cloud artistiche dal forte impatto visivo.
Crearle è molto semplice. Intanto si caricano le parole che dovranno comporre la nuvoletta manualmente, da un file di testo oppure direttamente dai tag di Del.icio.us.
Fatta questa procedura, passiamo alla fase successiva e impostiamo alcune variabili grafiche per rendere la nuvoletta più vicina alle nostre esigenze “artistiche”.
Quando abbiamo terminato il lavoro di personalizzazione grafica, salviamo il progetto e passiamo alla condivisione direttamente su Wordle oppure alla pubblicazione sul nostro blog o sito web.
Link a Wordle, via feedmyapp
sabato 14 gennaio 2012
Cos'è un weblog?
Nati in USA da poco tempo e
subito diventati di moda, i weblogs (termine di origine anglosassone e di
ambito informatico, derivato da web+log) sono oggi presenti in numero crescente
anche in Italia.
Si tratta di un fenomeno
piuttosto interessante, che attualmente occupa le copertine di molte riviste
informatiche.
Un weblog è in realtà un sito
piuttosto semplice e di facile orientamento, costruito su un'unica pagina che
raccoglie notizie (post) inviate dall'autore del blog ed aperte ai commenti dei
lettori.
Un weblog tende quindi a
configurarsi come una comunità, centrata sull'autore del sito e sui suoi
interessi condivisi da un certo numero di visitatori.
La natura del weblog è varia
ed esistono già motori di ricerca appositamente pensati per questo universo.
Generalmente troviamo weblogs "intimistici" o "diaristici",
centrati cioè sulle riflessioni, più o meno private, sui pensieri a voce alta e
sugli appunti esistenziali di singoli.
Questo genere di weblog ha un
forte interesse sociologico, ma spesso è fine a se stesso e tendenzialmente crepuscolare.
Molto più interessanti i
weblogs che fanno "giornalismo" dal basso, dando voce a realtà, anche
individuali, di particolare importanza: dal mondo della società civile a quello
dell'economia, o dell'informatica, o del libero pensiero, ecc..
Qui ci troviamo davanti ad un
network di idee, libero e spontaneo, animato da privati cittadini, che tende a
saldarsi verso il basso, capace di offrire terreno fertile di informazione e
crescita per una vasta comunità di utenti.
Infine abbiamo i weblogs
legati ad associazioni, a movimenti o gruppi associati, che danno conto di
realtà quotidiane diffuse ma spesso senza possibilità di espressione sui canali
ufficiali di comunicazione.
A questo livello, i weblogs costituiscono
sicuramente un fenomeno molto interessante, che merita di crescere ed
incontrare il favore dei naviganti di Internet alla ricerca di informazione non
manipolata o controllata da stampa e tv.
mercoledì 11 gennaio 2012
Quali sono le competenze cognitive fondamentali per poter abitare il mondo nell’era digitale?
“Ci sono molte evidenze scientifiche che indicano come molti di noi stiano utilizzando la tecnologia
in modi che ci rendono più intelligenti…” alcuni autori infatti parlano di iNFOTENTION
Siamo in un momento di transizione, la nostra cultura sta imparando a usare nuovi strumenti e nuove piattaforme di microblogging e socialnetwork Twitter in primis, occorre sviluppare nuove competenze …
«È una nuova civiltà. C’è proprio una divisione generazionale assoluta tra chi è digitale e chi non lo è. In effetti, quelli che io chiamo i “senzatetto digitali” sono molto intelligenti, molto bravi, di solito sono persone benestanti di 40 anni o più, ma hanno un problema: sono giunti su questo pianeta troppo presto.Queste persone imparano dai loro figli» (N.Negroponte ).
Sul web l'informazione lascia la forma testuale, si parla infatti di press divide, a favore dell'immagine e del video, youtube insegna, trasformandosi in infotaiment e subisce un drastico ridimensionamento/durata temporale, ciò spiega il progressivo spostamento della blogosefra (blogging) sull'twittersfera (microblogging IM instant message) sul web ,sui blog, sulla posta elettronica dura solo 24 ore, sui social network qualche ora su strumenti di microblogging come Twitter pochi minuti (Mentelab)
L'informazione evolve in Ip Information diventando sempre più multitasking,multimediale, interattiva,nomadica.
Questa cultura è effettivamente a rischio e la literacy tradizionale può essere in pericolo, l’educazione è profondamente conservatrice, e tende a resistere ai cambiamenti che hanno un impatto altrove …
La Scuola, arcaica struttura ottocentesca che sopravvive galleggiando come un dinosauro preistorico, occorre ” immaginare in modo diverso l’istruzione per il XXI secolo …”, per alcuni ad un Medioevo Digitale
il 2020 sarà la fine della scuola per la generazione 2000+ o nascerà una "TwitterSchool" ?
martedì 10 gennaio 2012
Elezioni RSU 2012
Le votazioni per rinnovare le Rappresentanze Sindacali Unitarie nei settori pubblici e della conoscenza si svolgeranno dal 5 al 7 marzo 2012.
Il 14 dicembre 2011 è stato sottoscritto presso la sede dell'ARAN un "Protocollo per la definizione del calendario delle votazioni per il rinnovo delle rappresentanze unitarie del personale dei comparti pubblici" che integra quello dell'11 aprile 2011.
Le elezioni per il rinnovo delle RSU nei settori pubblici e della conoscenza (scuola, università, ricerca e alta formazione artistica e musicale) si svolgeranno nei giorni dal 5 al 7 marzo 2012.
Il calendario delle procedure elettorali
Il 14 dicembre 2011 è stato sottoscritto presso la sede dell'ARAN un "Protocollo per la definizione del calendario delle votazioni per il rinnovo delle rappresentanze unitarie del personale dei comparti pubblici" che integra quello dell'11 aprile 2011.
Le elezioni per il rinnovo delle RSU nei settori pubblici e della conoscenza (scuola, università, ricerca e alta formazione artistica e musicale) si svolgeranno nei giorni dal 5 al 7 marzo 2012.
Il calendario delle procedure elettorali
- 16 gennaio 2012: termine entro il quale vengono definiti ed individuati tutti i luoghi di lavoro che saranno sede di votazione.
- 19 gennaio 2012: si annunciano le elezioni e inizia la procedura elettorale.
- 20 gennaio 2012: le amministrazioni mettono a disposizione l'elenco generale alfabetico degli elettori. Inizia la raccolta delle firme per la presentazione delle liste.
- 30 gennaio 2012: termine per l'insediamento della commissione elettorale.
- 3 febbraio 2012: termine per la costituzione formale della commissione elettorale.
- 8 febbraio 2012: termine per la presentazione delle liste elettorali.
- 24 febbraio 2012: affissione delle liste elettorali all'albo dell'amministrazione.
- 5-7 marzo 2012: votazioni.
- 8 marzo 2012: scrutinio.
- 8-15 marzo 2012: affissione risultati elettorali all'albo dell'amministrazione.
- 16-21 marzo 2012: invio, da parte dell'amministrazione, del verbale elettorale finale all'Aran.
Alla scoperta della letteratura sarda
Oggi ho avuto modo di verificare durante il corso FILS che anche in Sardegna è sviluppata una letteratura così come in tutte le altre regioni d'Europa, non credevo esistesse una letteratura "in limba" così ricca.
Così spigolando qua e là ho raccolto un po' di materiale...
Breve storia della letteratura sarda
(fonte www.filologiasarda.it)
Fino all’Ottocento la storia delle
lettere non si configura come parte di una civiltà complessivamente in
movimento, ma piuttosto come un pezzo della storia dei privilegiati. Le lettere
e i letterati, fino al XIX secolo, sono marginali rispetto all’unica tragica
dialettica che caratterizzò a lungo l’Isola: quella tra povertà diffusa e
privilegio sempre più arroccato e esclusivo.
Fino a questo periodo, dunque, non si può assumere la letteratura come paradigma unitario della storia sarda.
Rimane, tuttavia, la necessità di superare l’immagine della Sardegna come isola inaccessibile, che spesso prevale nelle analisi e negli studi che riguardano la regione. Questa immagine tende a ignorare, tra le altre cose, il campo delle attività culturali.
Data la sua posizione decentrata e la sua peculiare storia, segnata dall’incontro con diverse culture, è molto difficile integrare la Sardegna in un discorso di storia letteraria rigorosamente italiana.
D’altra parte è impossibile concepire una storia dei sardi e della loro letteratura al di fuori del contesto europeo, per l’indiscutibile intreccio di atti diplomatici e di governo, di guerre e di accordi di pace, di correnti di idee, di generi letterari e di moduli stilistici che ha legato e lega la Sardegna all’Italia, alla Spagna, al bacino del Mediterraneo, all’intera Europa, a dispetto dei luoghi comuni sull’isolamento.
Fino a questo periodo, dunque, non si può assumere la letteratura come paradigma unitario della storia sarda.
Rimane, tuttavia, la necessità di superare l’immagine della Sardegna come isola inaccessibile, che spesso prevale nelle analisi e negli studi che riguardano la regione. Questa immagine tende a ignorare, tra le altre cose, il campo delle attività culturali.
Data la sua posizione decentrata e la sua peculiare storia, segnata dall’incontro con diverse culture, è molto difficile integrare la Sardegna in un discorso di storia letteraria rigorosamente italiana.
D’altra parte è impossibile concepire una storia dei sardi e della loro letteratura al di fuori del contesto europeo, per l’indiscutibile intreccio di atti diplomatici e di governo, di guerre e di accordi di pace, di correnti di idee, di generi letterari e di moduli stilistici che ha legato e lega la Sardegna all’Italia, alla Spagna, al bacino del Mediterraneo, all’intera Europa, a dispetto dei luoghi comuni sull’isolamento.
Le
lingue utilizzate
In Sardegna si sono sempre parlate molte lingue.
Prima della romanizzazione:
- greco
- cartaginese
- altre
lingue (berbere,
mediterranee, di ceppo caucasico)
Dal 234 a.C.:
- il latino
dei romani
- il sardo
L’utilizzo del sardo è un problema da tenere presente per
comprendere la complessità del discorso sulla letteratura in Sardegna. Questa
lingua antichissima, infatti, in apparenza così poco funzionale e poco presente
nella tradizione scritta è però sostenuta dal fecondo rapporto di scambio che
in Sardegna si è realizzato tra oralità e scrittura e dall’abitudine al
confronto con lingue maggiormente diffuse ed espressione di culture dominanti.
Le
lingue utilizzate
Queste le linque utilizzate nell’isola:
- Volgare
sardo – soprattutto nelle
cancellerie giudicali
- Italiano – dei pisani e dei genovesi
- Catalano – seguito dal castigliano
- Italiano e francese – come lingue di cultura
- Italiano – importato dai piemontesi
- Latino – lingua scritta
Dal latino comune, ossia dal latino parlato e non da quello
letterario, noto come latino volgare, derivano il sardo, l’italiano e le
altre lingue neolatine o romanze: il portoghese, il castigliano, il catalano,
il francese, il provenzale, il franco-provenzale, il ladino e il rumeno.
Queste lingue si formano in Europa nei regni cosiddetti
romano-barbarici nel periodo di tempo compreso tra il 476 d.C., data della
caduta dell’Impero Romano d’Occidente, e l’VIII-IX secolo, quando cominciano ad
apparire le prime attestazioni scritte dei volgari neolatini.
- È
difficile stabilire il grado di penetrazione della cultura bizantina, la
diffusione del greco parlato e l’eventuale presenza e diffusione di un
bilinguismo.
- È certo
che in Sardegna si parla il greco, che si ‘sovrappone’ al latino,
senza soppiantarlo.
- I
documenti scritti dell’XI secolo sono in sardo, lingua neolatina.
- Tuttavia
il greco, come lingua del potere lascia le sue tracce: una carta,
conservata a Marsiglia, è scritta in sardo ma con caratteri greci.
Eventi
storici
- Divisione
dell’Impero Romano
- 456-534:
breve dominio dei Vandali
- 534-815:
dominio bizantino - scorrerie saracene la Sardegna è una delle province
dell’Impero Bizantino nel quale si parlava il greco.
Intorno alla fine dell'VIII secolo Bisanzio abbandonò
progressivamente la Sardegna.
Nel periodo tra il X e l’XI secolo l’isola fu divisa in zone che, nel tempo, divennero autonome rispetto al potere centrale bizantino e si diedero istituzioni amministrative e politiche proprie: nascevano così i quattro Giudicati di Cagliari, Torres, Arborea e Gallura, indipendenti e con una lingua propria.
Nel periodo tra il X e l’XI secolo l’isola fu divisa in zone che, nel tempo, divennero autonome rispetto al potere centrale bizantino e si diedero istituzioni amministrative e politiche proprie: nascevano così i quattro Giudicati di Cagliari, Torres, Arborea e Gallura, indipendenti e con una lingua propria.
Caratteristiche dei Giudicati
- Si
presentano come dei piccoli regni indipendenti, fondati su una modesta
economia agraria e commerciale, simili a tante altre realtà istituzionali
diffuse nell’Europa del tempo.
- Mostrano
un notevole dinamismo sia nelle relazioni interne, sia in quelle esterne.
- Sono in
grado di assicurare una vita civile e ordinata alle popolazioni che
crebbero di numero e tesero all’inurbamento, convergendo verso quelle
città nelle quali si svolgevano i maggiori traffici.
- Hanno una
lingua propria.
A partire dall’XI secolo ha inizio l’interesse di Genova
(soprattutto a Cagliari e in Gallura) e di Pisa (nel Logudoro e nell’Arborea)
per l’isola.
Anche la Santa Sede si interessa della Sardegna.
Molteplici i contatti e le influenze esterne: famiglie liguri e toscane, viaggiatori, commercianti, ordini religiosi.
Anche la Santa Sede si interessa della Sardegna.
Molteplici i contatti e le influenze esterne: famiglie liguri e toscane, viaggiatori, commercianti, ordini religiosi.
I
primi documenti in sardo
In ambiente laico le cancellerie
giudicali sono le uniche depositarie della scrittura.
Anche le cancellerie, però, si avvalgono dell’operato degli ecclesiastici.
Risalgono all’XI secolo i primi documenti scritti in sardo (o in latino) e redatti in Sardegna. Provengono dalle cancellerie dei Giudicati o dai conventi.
Le caratteristiche dei primi documenti in sardo sono:
Anche le cancellerie, però, si avvalgono dell’operato degli ecclesiastici.
Risalgono all’XI secolo i primi documenti scritti in sardo (o in latino) e redatti in Sardegna. Provengono dalle cancellerie dei Giudicati o dai conventi.
Le caratteristiche dei primi documenti in sardo sono:
- la
precocità e copiosità rispetto alle altre regioni italiane
- la
diffusione generalizzata in tutte le zone dell’isola
- la
complessità e la maturità linguistica e stilistica
- l’alternanza
con il latino (utilizzato in particolare per l’esterno)
Molto singolare l’assenza di un’attività poetica che, molto probabilmente, fu indirizzata in prevalenza verso la trasmissione orale.
Difficile stabilire se, e in che misura, esistesse una consapevolezza della diversità tra il latino e il volgare.
Le
legendae e gli officia
Il perdurare di una vitalità della tradizione latina (e della
cultura medioevale scritta) in epoca bizantina è testimoniata dalle legendae
e dagli officia (vita e tradizione liturgica) dei santi e dei martiri
sardi, databili a partire dall’XI secolo. I più importanti tra questi sono:
- Sant’Efisio
- San
Lussorio
- Sant’Antioco
- San
Giorgio di Suelli
- Gavino,
Proto e Gianuario, martiri turritani
In Sardegna le prime testimonianze in sardo o in latino risalgono
al periodo che va dall’ultimo quarto del secolo XII all’inizio del XII e
provengono o dalle cancellerie dei Giudicati o da monasteri e basiliche.
Nella lingua scritta il volgare sardo e il latino continuano ad alternarsi, mentre esistono testimonianze di una produzione agiografica autoctona intorno ai monasteri.
Questo repertorio documentario in lingua sarda è copioso e precoce, rispetto a quello di altre regioni italiane, e generalizzato, ossia non limitato ad una particolare area dell’Isola.
Sono testi su cui spesso i filologi e i paleografi si sono divisi. In realtà sono autentici, ma complessi.
Le grafie sono anacronistiche rispetto alla data della redazione e sono spesso una sintesi originale, ma inconsapevole, di diversi stili di scrittura (carolina, gotica, onciale e semionciale).
La lingua, invece, è prevalentemente sarda, nelle sue diverse varietà dialettali (logudorese, arborense e campidanese).
Il problema che essi pongono è l’accertamento di quale consapevolezza avessero gli scrivani di produrre in una lingua diversa dal latino e quindi di quale conoscenza avessero del latino. La coscienza di tale diversità sta alla base dell’uso consapevole del volgare rispetto al latino.
Nella lingua scritta il volgare sardo e il latino continuano ad alternarsi, mentre esistono testimonianze di una produzione agiografica autoctona intorno ai monasteri.
Questo repertorio documentario in lingua sarda è copioso e precoce, rispetto a quello di altre regioni italiane, e generalizzato, ossia non limitato ad una particolare area dell’Isola.
Sono testi su cui spesso i filologi e i paleografi si sono divisi. In realtà sono autentici, ma complessi.
Le grafie sono anacronistiche rispetto alla data della redazione e sono spesso una sintesi originale, ma inconsapevole, di diversi stili di scrittura (carolina, gotica, onciale e semionciale).
La lingua, invece, è prevalentemente sarda, nelle sue diverse varietà dialettali (logudorese, arborense e campidanese).
Il problema che essi pongono è l’accertamento di quale consapevolezza avessero gli scrivani di produrre in una lingua diversa dal latino e quindi di quale conoscenza avessero del latino. La coscienza di tale diversità sta alla base dell’uso consapevole del volgare rispetto al latino.
Agiografia
e cronaca
Umberto Cardia ha definito la Sardegna giudicale come "il più complesso
sforzo che i sardi abbiano prodotto, nella loro storia millenaria, per
organizzarsi secondo il proprio genio, secondo consuetudini e leggi proprie".
Fra gli influssi culturali destinati a incidere sul mondo giudicale, particolarmente significativi sono quelli con Pisa e Genova, le città marinare con le quali, dal 1016, era stato avviato un rapporto destinato a durare nel tempo.
Importanti anche quelli derivanti dalla presenza di ordini religiosi quali i Vittorini (di Marsiglia) o i Camaldolesi, che esercitarono non trascurabili effetti anche sulla circolazione dei libri.
Le poche opere di quel tempo giunte fino a noi, a cominciare da quelle di carattere agiografico, confermano l’impressione che l’ambiente in cui vennero composte condividesse le conoscenze letterarie proprie del tempo.
Una certa capacità di elaborazione narrativa traspare anche in opere di carattere cronachistico, quale il Libellus Judicum Turritanorum.
Si tratta di una breve cronaca del XIII secolo dedicata ai Giudici di Torres che narra degli eventi politici e familiari dei diversi regoli succedutisi sul trono turritano dal 1065 circa al 1259, anno in cui morì Adelasia, moglie di Enzo di Hohenstaufen figlio dell’imperatore Federico II.
Ci è pervenuta attraverso una copia del XVII secolo conservata nell’Archivio di Stato di Torino.
L’autore, anonimo, era probabilmente un monaco. Sebbene risulti
evidente il punto di vista filo-papale, la cronaca è preziosa per la
ricostruzione delle genealogie medievali sarde, per la comprensione del clima
politico del tempo e per la ricostruzione del profilo psicologico di alcune figure
rilevanti, come Gonario II de Lacon-Gunale che regnò dal 1124-27 al 1154,
quando si ritirò a Clairvaux dove morì e dove ancora è venerato come beato.
È scritto in sardo logudorese, con una patina linguistica
castigliana dovuta al lavoro del copista seicentesco. Presenta un’apprezzabile
regolarità sintattica.
Eusebio
e Lucifero
Pur non avendo scritto versi né
prose, i due vescovi sardi Eusebio e Lucifero possono essere collocati alle
origini della letteratura sarda.
Vissuti entrambi nel IV secolo dopo Cristo, viaggiarono a lungo, soprattutto nel vicino Oriente. Combatterono l’eresia ariana e patirono l’esilio per questioni religiose. Morirono nello stesso anno, il 371: Lucifero nella sede cagliaritana; Eusebio, a Vercelli, città della quale era vescovo, per mano degli ariani che lo lapidarono.
Si ricorda Eusebio per le Epistole (d’argomento religioso) composte con passione evangelica.
A lui viene attribuito anche un Trattato sulla Trinità (secondo alcuni composto da san Atanasio) e un Evangelario latino, conservato nella cattedrale di Vercelli.
Lucifero anch’egli autore di Epistole, ha lasciato numerose opere scritte in latino, in difesa dell’ortodossia e in forte polemica con l’imperatore Costanzo.
Di lui disse Francesco Alziator: "La prosa di Lucifero non si fa mai arte, ma vibra di tanta passione, forza ed umanità da rappresentare nella storia letteraria, e non solo, dell’Isola, il più notevole esempio di fede nelle proprie idee".
Lucifero traduce in vantaggio quello che potrebbe essere un non piccolo svantaggio: il suo essere pene barbarus lo pone nella condizione di precorrere i tempi, di antivedere ciò che ancora deve arrivare, di non averne paura. Egli si trova all’origine della tradizione letteraria sarda non solo per ragioni cronologiche ma anche perché si è fatto iniziatore di un modus scrittorio che ha accompagnato gli autori sardi fino all’età contemporanea.
Vissuti entrambi nel IV secolo dopo Cristo, viaggiarono a lungo, soprattutto nel vicino Oriente. Combatterono l’eresia ariana e patirono l’esilio per questioni religiose. Morirono nello stesso anno, il 371: Lucifero nella sede cagliaritana; Eusebio, a Vercelli, città della quale era vescovo, per mano degli ariani che lo lapidarono.
Si ricorda Eusebio per le Epistole (d’argomento religioso) composte con passione evangelica.
A lui viene attribuito anche un Trattato sulla Trinità (secondo alcuni composto da san Atanasio) e un Evangelario latino, conservato nella cattedrale di Vercelli.
Lucifero anch’egli autore di Epistole, ha lasciato numerose opere scritte in latino, in difesa dell’ortodossia e in forte polemica con l’imperatore Costanzo.
Di lui disse Francesco Alziator: "La prosa di Lucifero non si fa mai arte, ma vibra di tanta passione, forza ed umanità da rappresentare nella storia letteraria, e non solo, dell’Isola, il più notevole esempio di fede nelle proprie idee".
Lucifero traduce in vantaggio quello che potrebbe essere un non piccolo svantaggio: il suo essere pene barbarus lo pone nella condizione di precorrere i tempi, di antivedere ciò che ancora deve arrivare, di non averne paura. Egli si trova all’origine della tradizione letteraria sarda non solo per ragioni cronologiche ma anche perché si è fatto iniziatore di un modus scrittorio che ha accompagnato gli autori sardi fino all’età contemporanea.
I
Condaghi
Sebbene non esista una letteratura medioevale in lingua sarda, se
si esclude il Libellus iudicum turritanorum, esiste una copiosa produzione
documentaria.
La Sardegna ha sempre mantenuto il senso pragmatico della
scrittura, quello orientato alla tutela dei patrimoni. Sembrano semmai i monaci
nuovi venuti ad adeguarsi alla lingua di questo sistema di testi scritti che
riusciva a disciplinare in modo efficace i rapporti di scambio e di proprietà.
I Condaghi sono registri patrimoniali originariamente (in età
bizantina) costituiti da singole schede cucite le une alle altre e arrotolate
intorno ad un bastone (chiamato in greco comtacion da cui appunto il
termine 'condaghe').
In età medievale, alla struttura a rotolo si sostituisce quella a libro che è giunta fino ai nostri giorni.
In età medievale, alla struttura a rotolo si sostituisce quella a libro che è giunta fino ai nostri giorni.
Tra i Condaghi giunti fino a noi:
- Il
Condaghe di S. Pietro di Silki
- I
Condaghi di San Nicola di Trullas
- Il
Condaghe di S. Maria di Bonarcado
- Il
Condaghe di S. Michele di Salvennor
- Il
Condaghe di S. Pietro di Sorres
La
Sardegna e i trovatori
La Sardegna del periodo giudicale presenta uno scenario politico
non dissimile da quello del resto d’Italia. Le famiglie più illustri di Pisa
(Donoratico, Visconti) e Genova (Doria) si erano imparentate con le famiglie
regnanti sarde, le quali a loro volta, avevano attivato un’intensa politica
matrimoniale con altre casate, non solo italiane, ma anche catalane. Tutto
questo contribuì a trasformare il panorama geo-politico e linguistico isolano,
rendendolo più articolato, non solo limitato alle corti giudicali, ma animato
anche da piccole corti signorili.
I trovatori, che percorrevano la penisola italiana andando di corte in corte, registrarono la novità.
I trovatori, che percorrevano la penisola italiana andando di corte in corte, registrarono la novità.
Peire de la Cavarana indirizza il sirventese D’un sirventes faire a un sardo
designato con il senhal Malgrat de toz, identificabile con il giudice
Barisone d’Arborea (1131-1184) che venne incoronato re di Sardegna a Pavia da
Federico I Barbarossa il 10 agosto 1164 dietro compenso di quattromila marchi
d’argento anticipati da Genova.
Peire Vidal dedica il sirventese Pos ubert ai mon ric tezaur a un
Marques de Sardenha/ Q’ab joi viu ab sen regna (al Marchese di Sardegna/
che vive con gioia e con senno regna) che non può che essere Guglielmo I
Salusio IV, giudice di Cagliari e Marchese di Massa (m.1214) del quale un altro
trovatore Elias Cairel dice, con intenti tutt’altro che laudativi, que sa
valors sembla febre (che il suo valore sembra febbre).
Albertet de Sisteron, verso il 1221, annovera Adelasia di Torres, figlia di Agnese di
Massa, nipote del marchese Guglielmo, moglie prima di Ubaldo Visconti e poi di
Enzo di Hoensthaufen, tra le donne più celebri e belle citate in En amor
trob tanz de mal seignoratges.
Da notare che i trovatori non scrivevano per se stessi, ma
affidavano i testi ai giullari perché li divulgassero.
Il sirventese era il genere proprio della propaganda politica, per cui vien difficile pensare che il pubblico signorile sardo non apprezzasse la tradizione trobadorica, né che il pubblico italiano non si sentisse coinvolto nelle vicende isolane.
Il sirventese era il genere proprio della propaganda politica, per cui vien difficile pensare che il pubblico signorile sardo non apprezzasse la tradizione trobadorica, né che il pubblico italiano non si sentisse coinvolto nelle vicende isolane.
Sotto il profilo linguistico è questo il periodo in cui l’italiano
penetra in profondità in alcune zone dell’Isola. Una buona esemplificazione di
quale italiano venisse parlato alla corte dei Doria ci è data da una lettera di
Brancaleone Doria ai nobili siciliani in rivolta contro i
catalano-aragonesi.
I trovatori ebbero dunque rapporti con le piccole corti sarde e
con i loro signori, così come li ebbero con altre corti signorili d’Italia.
Di tutto questo sistema di rapporti e di relazioni non resta nulla a livello dei testi scritti della cosiddetta cultura alta.
Di tutto questo sistema di rapporti e di relazioni non resta nulla a livello dei testi scritti della cosiddetta cultura alta.
La
poesia popolare
La poesia popolare isolana del periodo si caratterizza per il
numero, per la straordinaria complessità dei generi e per la terminologia
tecnica che ne designa le forme e i metri.
Dietro questo patrimonio si nota l’impronta della tradizione provenzale e una discendenza dalla letteratura trobadorica.
Dietro questo patrimonio si nota l’impronta della tradizione provenzale e una discendenza dalla letteratura trobadorica.
Infine va rilevato che, unitamente a quanto attesterebbero le
forme e i nomi della poesia popolare sarda, una fonte quattro-cinquecentesca,
la Memoria de las cosas que han acontecido en algunas partes del Reyno de
Cerdeña, recentemente rivisitata, attesta inequivocabilmente che nell’Isola
è esistita una tradizione, se si vuole para-letteraria, che aveva come
argomento le origini delle casate giudicali, le fondazioni di chiese e di città
nonché alcuni episodi della storia medievale isolana. Verità e mito si fondono
in questo testo né più né meno di come si amalgamano in analoghi testi europei.
. NOTA .
La pressoché totale indisponibilità di testi ci impedisce di apprezzare come e se le diverse lingue utilizzate in Sardegna (sardo, latino, italiano, catalano) siano state utilizzate nella pratica letteraria.
Questa assenza si spiega in parte con la triste regola che ogni vincitore impone ai vinti: la perdita dei beni e della memoria, che comporta la marginalizzazione e la folklorizzazione di tutto ciò che prima era ufficiale.
La guerra secolare non ha soltanto distrutto le strutture di una società, ma ha anche determinato, col suo esito, cosa far sopravvivere del passato e cosa no, cosa affidare alla cultura alta e cosa far precipitare nel mare magnum dell’oralità.
La pressoché totale indisponibilità di testi ci impedisce di apprezzare come e se le diverse lingue utilizzate in Sardegna (sardo, latino, italiano, catalano) siano state utilizzate nella pratica letteraria.
Questa assenza si spiega in parte con la triste regola che ogni vincitore impone ai vinti: la perdita dei beni e della memoria, che comporta la marginalizzazione e la folklorizzazione di tutto ciò che prima era ufficiale.
La guerra secolare non ha soltanto distrutto le strutture di una società, ma ha anche determinato, col suo esito, cosa far sopravvivere del passato e cosa no, cosa affidare alla cultura alta e cosa far precipitare nel mare magnum dell’oralità.
La
Carta de Logu
Durante il giudicato d’Arborea, tanto sotto il giudice Ugone II
(1321-1335) quanto sotto Mariano IV (1347-1376), è documentato l’impiego delle
lingue che accompagnano il volgare sardo: il latino e il catalano, in primo
luogo, ma anche l’italiano e il francese.
In questo contesto Mariano IV emana, dopo il 1353, un Codice
rurale che successivamente diviene il Codice di leggi civili e criminali
(o penali) ripreso e promulgato da Eleonora, probabilmente nel 1392, nella
formulazione nota come Carta de Logu.
La Carta de logu riveste un’importanza fondamentale nella storia
sociale e linguistica della Sardegna. Estesa dal 1421 all’intero territorio
isolano, fuorché alle città con statuto proprio, superando secolari e non
lineari vicende storiche, rimane in vigore fino al 1827, quando fu sostituita
dal Codice feliciano.
La storia della Carta de logu contiene ulteriori motivi di
interesse che risiedono nella lingua in cui fu scritta e nel ruolo che svolse
all’interno della società sarda.
La lingua in cui è redatta la carta è definita da Antonio Sanna "una varietà arborense". È una lingua di confine che mantiene al suo interno i due tipi dialettali logudorese e campidanese.
La lingua in cui è redatta la carta è definita da Antonio Sanna "una varietà arborense". È una lingua di confine che mantiene al suo interno i due tipi dialettali logudorese e campidanese.
Accanto alla sua funzione giuridica importantissima, la
Carta assolse a due compiti di grande rilievo:
- ricordò
in ogni momento ai sardi che, pur nella miriade di distinzioni
interne e nella subalternità politica verso un dominatore esterno,
appartenevano a un ethnos e che, anche sotto il profilo
linguistico, potevano specchiarsi in un tratto comune, in quella
"omogeneità primitiva" sulla quale si fondava la lingua della
legge
- abituò i
sardi a considerare come evento normale il fatto che quel supremo
documento fosse scritto non in una lingua aulica e distante dall’uso ma
nel "tipo dialettale di un’area di confine"
Antonio
Cano
Ad Antonio Cano si deve il primo poemetto in
volgare, Sa Vitta et sa Morte et Passione de sanctu Gavinu, Prothu et
Januariu.
Le notizie sulla sua vita sono scarse, si sa che è nato a Sassari alla fine del XIV secolo. Dopo essere stato rettore della villa di Giave, fu eletto abate di Saccargia e poi ordinato vescovo di Bisarcio prima di diventare arcivescovo di Sassari. Sa Vitta et sa Morte et Passione de sanctu Gavinu, Prothu et Januariu è la più antica opera letteraria in lingua sarda fino ad oggi conosciuta.
È un poemetto di argomento agiografico che ripropone, attingendo da fonti narrative medievali, il modello martiriale.
Le notizie sulla sua vita sono scarse, si sa che è nato a Sassari alla fine del XIV secolo. Dopo essere stato rettore della villa di Giave, fu eletto abate di Saccargia e poi ordinato vescovo di Bisarcio prima di diventare arcivescovo di Sassari. Sa Vitta et sa Morte et Passione de sanctu Gavinu, Prothu et Januariu è la più antica opera letteraria in lingua sarda fino ad oggi conosciuta.
È un poemetto di argomento agiografico che ripropone, attingendo da fonti narrative medievali, il modello martiriale.
Gavino, Proto e Gianuario, martiri turritani, vengono riproposti
come modelli esemplari di coerenza contro i falsi miti e i falsi valori, in una
Sardegna che, a distanza di tredici secoli dal martirio, intende fondare sulla
tradizione cristiana e sulla lingua e la cultura sarda, la propria identità di
popolo che prende coscienza della propria condizione in un clima di accese
speranze di riforma morale.
Le scelte retoriche, la spiccata tendenza alla drammatizzazione, la forza espressiva e l’arditezza del dettato rimandano ad una intertestualità ampia e ad una tradizione che, a partire dalle origini dell’Europa cristiana, si muove nell’alveo della ricca e multiforme letteratura di argomento religioso.
Le scelte retoriche, la spiccata tendenza alla drammatizzazione, la forza espressiva e l’arditezza del dettato rimandano ad una intertestualità ampia e ad una tradizione che, a partire dalle origini dell’Europa cristiana, si muove nell’alveo della ricca e multiforme letteratura di argomento religioso.
Il Laudario lirico
Altro testo di rilievo del periodo è il Laudario lirico ritrovato da Damiano Filia a Borutta, che documenta anche per la Sardegna la presenza di tradizioni francescane paraliturgiche nutrite di musiche e canti.
Altro testo di rilievo del periodo è il Laudario lirico ritrovato da Damiano Filia a Borutta, che documenta anche per la Sardegna la presenza di tradizioni francescane paraliturgiche nutrite di musiche e canti.
L’Alziator ritiene che nelle laudi dalle quali è composto sia
evidente "la derivazione dalla poesia italiana dei secoli
precedenti". Dello stesso Laudario fanno parte anche la Laude de
Nostra Signora de sa Rosa e le Laudes de sa Santa Rughe, in volgare
sardo, che ricalcano lo schema e l’andatura dei tradizionali gosos
sardi.
. NOTA .
I gosos sono le laudi per i santi locali, composte per lo più da ecclesiastici.
I gosos sono le laudi per i santi locali, composte per lo più da ecclesiastici.
Letteratura
e lingue
È significativo che nella Sardegna della fine del XV secolo, dove
già cominciava a brillare il prestigio del castigliano, lo stesso destino della
tradizione isolana colpisce la letteratura in catalano.
Ci rimangono infatti solo tre testi:
Ci rimangono infatti solo tre testi:
- il Cant de la Sibilla,
- la Vida
y miracles del benaventurat sant’Anthiogo, entrambi di ambito
paraliturgico nel quale si iscrive anche la tradizione popolare di goigs,
- e le Cobles
de la conquista des francesos, che celebrano il fallimento
dell’invasione di Alghero da parte del Visconte Guglielmo di Narbona,
nemico del re d’Aragona in quanto erede del titolo e dei beni dei Giudici
di Arborea.
La stabilità politica acquisita alla fine del Quattrocento, che
iscrisse definitivamente la Sardegna nel sistema iberico, non si tradusse
immediatamente in un’egemonia culturale e linguistica castigliana.
La storia linguistica della Sardegna dal Trecento ai primi
del Cinquecento può essere così schematizzata:
- il sardo,
in posizione subalterna dopo la caduta dell’ultimo Giudicato, resistette
alla riduzione a puro e semplice dialetto grazie alle disposizioni della Carta
de Logu, che ne legittimarono l’uso notarile e giuridico, e all’azione
di alcuni centri religiosi e culturali quali quelli francescani;
- il
catalano penetrò lentamente, specie nel secolo che va dal 1450 al 1550,
anche in ambiti sociali non elevati e nelle zone dell’Isola da cui era
rimasto in precedenza escluso;
- il
castigliano si affermò inizialmente per il prestigio di cui godeva, poi
per un’azione autoritaria realizzata specialmente dalle strutture
ecclesiastiche;
- la
tradizione italiana perdura fortemente fino al XVI secolo, dopo si
indebolisce fortemente.
Il Cinquecento
Note
introduttive
Nel 1566 Nicolò Canelles fonda a Cagliari la prima stamperia, che
comincia a stampare con regolarità testi per lo più d’argomento religioso,
anche se non mancano i titoli degli autori classici. A questa attività, a
partire dal 1571, Canelles affianca quella della diffusione di libri pubblicati
altrove.
Il confronto con la cultura del tempo si mantiente nonostante le gravi difficoltà dell’isola quali:
Il confronto con la cultura del tempo si mantiente nonostante le gravi difficoltà dell’isola quali:
- pestilenze
- scorrerie
barbaresche
- calo
demografico
- effetti
devastanti della guerra franco spagnola
- basso
livello dell’istruzione pubblica.
La vivacità culturale del periodo è provata anche dal numero dei
libri posseduti da alcuni illustri personaggi dell’epoca.
Permane il pluralismo linguistico:
- Il catalano
è prevalentemente la lingua delle attività giuridiche e amministrative, a
Cagliari in particolare. Nel periodo dal 1450 al 1550 penetra anche in
ambiti sociali non elevati e nelle zone dell’isola da cui in precedenza
era escluso.
- Il sardo,
pur in posizione subalterna, è vivo in tutte le parti dell’isola,
soprattutto negli ambienti popolari. Il suo utilizzo in campo giuridico e
notarile resistette grazie alle disposizioni della Carta de Logu e
all’azione di alcuni centri religiosi.
- L’italiano
è marginale e diffuso soprattutto negli ambienti del commercio
genovese.
Il castigliano comincia a diffondersi, non senza
difficoltà.
Il Cinquecento
La
scelta della lingua
Il pluralismo linguistico si riflette anche nelle scelte
linguistiche degli autori sardi.
- L’algherese Antonio Lo Frasso (seconda metà del XVI secolo) scrive in
castigliano e solo marginalmente in catalano e in sardo;
- il
canonico Gerolamo Araolla (1545 - fine del sec. XVI) scrive in
castigliano, italiano e sardo;
- il nobile
bosano Pietro Delitala (1550 - 1592 circa) in italiano;
- l’umanista
Gian Francesco Fara scrive in latino;
- Sigismondo Arquer in latino, italiano e castigliano.
- Un
cenacolo di studiosi sassaresi vive ed opera fra Sassari e le università
di Pisa e di Bologna, scrivendo, dato l’ambito accademico in cui agiscono,
prevalentemente in latino.
In questo quadro va intesa la caratteristica principale del Cinquecento
isolano:
- per la
prima volta la Sardegna diviene oggetto di studio
- il sardo
viene utilizzato nella poesia amorosa e in quella celebrativa e
encomiastica.
È da rimarcare, tuttavia, che gli autori non sono mossi da un
forte sentimento di appartenenza, da un’identità sarda avvertita come
culturalmente rilevante. Essi non scrivono di Sardegna o in sardo per
inserirsi in un sistema isolano, ma per iscrivere la Sardegna e la sua lingua
in un sistema europeo, per farla conoscere, dipingendola secondo le forme e i
codici della cultura europea.
Il Cinquecento
La
letteratura celebrativa ed encomiastica
Elevare la Sardegna ad una dignità culturale pari a quella di
altri paesi europei significava anche elevare ed integrare nel sistema europeo
i sardi, e in particolare i sardi colti, che si sentivano privi di radici e di
appartenenza nel sistema culturale continentale.
Anche quando scrissero in sardo (come fece l’Araolla), anziché in
latino o in italiano, lo fecero sì per esigenze di comunicazione interna -
forse è il caso di ricordare che non pochi di essi erano sacerdoti e dunque con
una naturale inclinazione per i generi e i toni didascalico-moraleggianti - ma
soprattutto per dotare la Sardegna di quella tradizione letteraria, e quindi di
quel lustro e di quella nobiltà che, mancando, la rendeva negletta.
In pieno ‘700 neoclassico il gesuita Matteo Madao tentò un’analoga operazione con una
maggiore disponibilità a sostituire con l’invenzione ciò che la storia non
forniva.
Nell’Ottocento, il canonico Giovanni Spano trovò che anche la lingua dovesse
essere nobilitata e resa più illustre con l’inserimento di tanto lessico
italiano, latino e ebraico.
È,
insomma, una costante di alcuni autori sardi tentare una costruzione
artificiale della lingua letteraria. I processi di imitazione ingenua delle
lingue letterarie affermate svelano con chiarezza la debolezza del sistema
letterario interno, dovuto a carenza di lettori, di istituzioni educative e
culturali, alla reale natura sovrastrutturale dell’attività letteraria nel
contesto di povertà e di privilegio.
Il Cinquecento
Il
trilinguismo
I maggiori scrittori del Cinquecento utilizzano con intenti
letterari più di una delle quattro lingue usate comunemente.
Il sardo è la lingua che serve per raggiungere un pubblico che parla il sardo attraverso l’intermediazione di un lettore che con questo pubblico ha un rapporto strettissimo, di solito il clero.
Lo spagnolo e l’italiano si rivolgono ad un ambito culturale più ampio e servono per comunicare con le istituzioni e con il potere.
Il sardo è la lingua che serve per raggiungere un pubblico che parla il sardo attraverso l’intermediazione di un lettore che con questo pubblico ha un rapporto strettissimo, di solito il clero.
Lo spagnolo e l’italiano si rivolgono ad un ambito culturale più ampio e servono per comunicare con le istituzioni e con il potere.
Tra gli scrittori plurilingue meritano un rilievo particolare:
Antonio
Lo Frasso
L’opera di Lo Frasso merita rilievo per il doppio e contemporaneo
riferimento alle letterature italiana e spagnola e il gusto per la mescolanza
dei generi e delle lingue. Egli scrisse prevalentemente in castigliano e,
marginalmente, in sardo e in catalano.
Poeta e militare, originario di Alghero, Lo Frasso lasciò l'isola per trasferirsi in Spagna, dove compose in lingua spagnola tre operette intitolate:
Poeta e militare, originario di Alghero, Lo Frasso lasciò l'isola per trasferirsi in Spagna, dove compose in lingua spagnola tre operette intitolate:
- Los mil y dozientos consejios y avisos
discretos, che contiene consigli e ammonimenti rivolti, in versi, ai figli
rimasti ad Alghero;
- El
verdadero discurso de la gloriosa victoria, cronaca in ottave della battaglia di
Lepanto;
- Los diez libros de la fortuna d'amor. A quest’ultima, pubblicata nel 1573, deve
l’attenzione di Cervantes, che lo menziona nel Don Chisciotte. Il suo successo
fu dovuto proprio al giudizio di Cervantes, che conosce Lo Frasso, ne ha
letto l’opera e può parlarne ai lettori del Don Chisciotte con tono
ironico e ammiccante. Los diez libros è un romanzo pastorale con
spunti autobiografici, articolato in una serie di vicende ad intreccio, a
metà strada tra il mitologico e l'avventuroso. Egli si rivolge qui ad un
pubblico urbano, mondano e un po’ frivolo.
Se da un lato città come Alghero e Cagliari erano forse gli
ambienti più aperti dell’Isola verso la cultura iberica e verso l’apertura
europea, da un altro però, essendo prive di una solida tradizione culturale
locale, si autointerpretavano secondo uno spirito coloniale, nell’eterno
confronto con il centro lontano del potere, egemone, ammirato, imitato, temuto,
da dover replicare per sentirsi nella storia. Non a caso, Lo Frasso, seppure
per ragioni meramente giudiziarie, si trasferì da Alghero a Barcellona.
Egli comunque inserisce ne Los diez libros due sonetti in
sardo logudorese, uno di argomento amoroso Cando si det finire custu ardente
fogu e l’altro dedicato a San Leonardo Supremu gloriosu excelsadu,
ed una lunga composizione in ottave intitolata Glossa sarda.
L’inserimento di questi testi è giustificato con il lettore ora con banali
motivi mimetici (San Leonardo è sardo, quindi occorre rivolgersi a lui in
sardo), ora dalla curiosità salottiera delle dame barcellonesi verso
l’inconsueta e poco nota lingua montana della patria di origine del
protagonista Frexano.
Resta il fatto che, pur con i limiti critici di questo recupero
del sardo per esotismi da salotto, Cando si det finire custu ardente fogu
è la prima lirica d’amore della letteratura sarda, e che il logudorese di Lo
Frasso è, come quello di Araolla, di buona qualità e fortemente influenzato
dall’italiano. Se a ciò si aggiunge che Lo Frasso dedica un sonetto in
castigliano a Gerolamo Vidini di cui parla anche Araolla nel suo Capidulu de
una visione, non si può non nutrire il sospetto che anche il poeta
algherese sia stato influenzato dal cenacolo dei sassaresi e dal loro programma
sardo-centrico.
Gerolamo
Araolla
Gerolamo Araolla (1545 - fine del XVI secolo) è
l’autore che meglio di altri illumina tanto il clima del Cinquecento sardo,
quanto l’eredità ricevuta dal XV secolo.
La sua prima opera è Sa vida su martiru et morte dessos
gloriosos martires Gavinu, Brothu e Gianuari (1582), argomento
(l’epopea dei santi, abbastanza innocua politicamente e culturalmente)
sopravvissuto alla catastrofe della guerra e già trattato, come si è visto, dal
vescovo di Sassari Antonio Cano.
Il suo scopo era duplice:
Il suo scopo era duplice:
- dare
dignità letteraria al logudorese
- affrontare
e recuperare un tema nazional-religioso molto noto e diffuso, e quindi
vocato ad assumere funzioni edificanti.
Nel 1597 Araolla pubblica la raccolta di poesie in diversi metri
intitolata Rimas
diversas spirituales, nella quale include testi in sardo,
in castigliano e in italiano. Il suo programma è cambiato: non più un orizzonte
tutto interno di nobilitazione del sardo e della Sardegna, ma un inserimento di
quell’obiettivo nel contesto culturale dell’Italia e della Spagna.
Araolla conosce la grande letteratura italiana, anche quella contemporanea; ha studiato, analizzato e riflettuto, riuscendo ed elaborare un programma acuto e moderno; a lui si deve la stesura del bando della nuova letteratura sarda.
Come la maggior parte degli autori sardi, anche Araolla confronta
le proprie esigenze espressive con le opere realizzate da sos eccellentes et
famosos Poetas Italianos et Spagnolos.
Sigismondo
Arquer
La figura di Sigismondo Arquer (1530-1571) si presenta rispetto
all’intero sistema sardo come dotata di requisiti di eccellenza e di
originalità. Non tanto per la tragicità della sua esistenza, ma anche e
soprattutto per l’originalità dei punti di vista e l’eleganza della lingua che
caratterizzarono l’unica sua opera relativa alla Sardegna, la Sardiniae brevis historia et descriptio.
Avvocato, teologo e studioso cagliaritano, frequentò ambienti
religiosi legati al luteranesimo. Nel 1563 venne accusato di eresia
dall’Inquisizione, rinchiuso nel carcere di Toledo e sottoposto a giudizio.
Condannato, morì sul rogo il 4 giugno 1571.
Nel 1549 collaborò a Basilea con Sebastian Münster alla stesura della Cosmographia Universalis, realizzando una monografia sulla Sardegna, Sardiniae brevis historia et descriptio, cui era allegata una carta dell'isola e una veduta di Cagliari (Tabula corographica insulae ac metropolis illustrata).
Nel 1549 collaborò a Basilea con Sebastian Münster alla stesura della Cosmographia Universalis, realizzando una monografia sulla Sardegna, Sardiniae brevis historia et descriptio, cui era allegata una carta dell'isola e una veduta di Cagliari (Tabula corographica insulae ac metropolis illustrata).
Nella sua Sardiniae brevis historia et descriptio Arquer
assume la sua fede come fondamento dell’interpretazione della storia. Il suo
rapporto diretto e personale con la Scrittura era animato da una notevole
autonomia dottrinaria.
Anche il rapporto con i classici è caratterizzato da pari autonomia. Questi, anzi, vengono puntualmente smentiti attraverso argomentazioni fondate sull’esperienza personale. Il giudizio sulla società del suo tempo è netto: è una società malata perché priva di sani principi, non perché mal governata o ribelle.
Tuttavia questi giudizi che investono la sfera morale e dipingono l’Isola come un covo di ignoranti, si ritrovano concentrati nel capitolo intitolato De civitatibus. Il luogo dell’immoralità è la città, e specialmente l’unica vera città, cioè Cagliari, non a caso sede di quel potere locale che più di ogni altro odiò Arquer.
Egli fu l’unico intellettuale sardo a non essere ossessionato dall’ansia di integrazione e di riconoscimento da parte della cultura europea. Usava un latino di rara raffinatezza, chiaro, semplice ed elegante.
Anche il rapporto con i classici è caratterizzato da pari autonomia. Questi, anzi, vengono puntualmente smentiti attraverso argomentazioni fondate sull’esperienza personale. Il giudizio sulla società del suo tempo è netto: è una società malata perché priva di sani principi, non perché mal governata o ribelle.
Tuttavia questi giudizi che investono la sfera morale e dipingono l’Isola come un covo di ignoranti, si ritrovano concentrati nel capitolo intitolato De civitatibus. Il luogo dell’immoralità è la città, e specialmente l’unica vera città, cioè Cagliari, non a caso sede di quel potere locale che più di ogni altro odiò Arquer.
Egli fu l’unico intellettuale sardo a non essere ossessionato dall’ansia di integrazione e di riconoscimento da parte della cultura europea. Usava un latino di rara raffinatezza, chiaro, semplice ed elegante.
Arquer conosceva bene, oltre che il latino, il sardo, il
castigliano e l’italiano, come dimostrano le sue lettere a Gaspar Centelles e
le Coplas a l’imagen del Crucifixo, composte durante la prigionia a cui
fu sottoposto durante il lunghissimo processo per eresia.
La qualità intrinseca dell’opera, unita al prestigio della
collocazione nella quale apparve, fanno della Sardiniae brevis historia et
descriptio una pietra miliare nel panorama delle lettere isolane. È
l’archetipo di una serie di scritti del genere letterario storico-descrittivo,
destinato ad affermarsi con i secoli nella cultura isolana.
La personalità dell’Arquer si staglia nel panorama sardo,
emblematica per la grandezza, contraddittoria col quadro generale e, nel
contempo, del tutto coerente con le aspirazioni e le qualità migliori che quel
contesto era in grado di produrre. La sua vicenda, poi, è come un sigillo che
si è impresso nella coscienza di non pochi intellettuali sardi e ha determinato
un’impronta, come un mito che non ha perso vitalità nel corso del tempo.
Dottrina, dirittura morale, coraggio, libertà di pensiero, spirito critico,
imparzialità, amore per la propria terra: tali le caratteristiche che, anche
nel Novecento, vengono attribuite all’autore cinquecentesco da
un’intellettualità colta e sardista per la quale la figura dell’Arquer
ha rappresentato un modello ideale.
Storici
ed eruditi
Oltre a Sigismondo Arquer il contesto culturale isolano dell’epoca
può vantare autori di opere storiche, esperti di diritto e raccoglitori di
leggi, scienziati, teologi.
Tra questi Giovanni Francesco Fara, Giovanni Arca e Antioco Brondo, Francesco Bellit e Pietro Giovanni Arquer, Gavino Sambigucci e Gian Tommaso Porcell. Scrivono di storia, di geografia e di diritto, di filosofia, di medicina e, talora, verseggiano, utilizzando il latino e lo spagnolo.
Tra questi Giovanni Francesco Fara, Giovanni Arca e Antioco Brondo, Francesco Bellit e Pietro Giovanni Arquer, Gavino Sambigucci e Gian Tommaso Porcell. Scrivono di storia, di geografia e di diritto, di filosofia, di medicina e, talora, verseggiano, utilizzando il latino e lo spagnolo.
Tratti caratteristici:
- appartengono
ai più diversi settori della vita civile: sacerdoti, giuristi, professori
dell’Università, studiosi non inseriti in una struttura accademica, medici
e filosofi;
- mostrano
un notevole dinamismo culturale (viaggiano, tengono conferenze, scambiano
lettere, leggono opere letterarie, fanno circolare le proprie);
rappresentano una notevole varietà di interessi, che si rivela nella
qualità delle opere prodotte;
- mostrano
una doppia attenzione verso la cultura italiana e quella spagnola, la
frequenza delle università italiane e di quelle iberiche la scelta
dell’una o dell’altra lingua, in alcuni casi di entrambe, per accompagnare
le scritture in latino.
Giovanni
Francesco Fara
Giovanni Francesco Fara è considerato il padre della
storiografia sarda, l’Erodoto di Sardegna.
Storico, geografo ed ecclesiastico, nacque a Sassari nel 1543 da
una delle più illustri casate della città.
Nel 1567 pubblicò a Firenze il trattato De essentia infantis, unica opera della sua produzione giuridica giunta fino a noi.
La sua fama letteraria è legata soprattutto a due opere del genere erudito-storiografico tardo cinquecentesco:
Nel 1567 pubblicò a Firenze il trattato De essentia infantis, unica opera della sua produzione giuridica giunta fino a noi.
La sua fama letteraria è legata soprattutto a due opere del genere erudito-storiografico tardo cinquecentesco:
1.
De Rebus Sardois, opera annalistica in quattro libri, di cui il primo fu
pubblicato nel 1580, gli altri nel 1835. Scritta in un latino che riprende i
modi degli storici classici, costituisce un importante punto di riferimento per
gli storici posteriori.
2.
De chorographia Sardiniae, rimasta inedita sino al 1835, unisce all’informazione storica la
descrizione geografica, secondo un modulo destinato a ritornare nel corso del
tempo.
Nel De
corographia Sardiniae egli segue il canovaccio dell’opera di Sigismondo Arquer,
inserendone anche alcuni passi senza citare l’autore, e censurando dell’Arquer
l’impostazione ideologico-religiosa.
Fara condivise
con Araolla il progetto di fondare una tradizione di studi sardi da realizzare
secondo una prospettiva che ne garantisse l’inserimento nei più vasti circuiti
italiani e spagnoli.
Si laureò a Pisa nel 1567; il 6
dicembre del 1568 il vescovo di Sassari lo nominò arciprete. Il Capitolo
turritano contestò la nomina ed egli dovette recarsi a Roma per perorare e difendere la sua
causa. Qui risiedette probabilmente dal 1570 al 1578. Fu forse in questo
periodo che ebbe modo di leggere un numero consistente di documenti custoditi
negli archivi e nelle biblioteche vaticane. Fu lì che conobbe una Sardegna che
gli era ignota e che entrò in contatto con la storiografia erudita e curiale
romana che molto influì sulle sue scelte metodologiche.
Il suo De rebus sardois - di cui riuscì a pubblicare solo
il primo libro, essendo morto nel 1591 poco dopo essere stato nominato vescovo
di Bosa - costituisce un corpus di citazioni e di notizie che tentano di
restituire ai contemporanei il senso della memoria storica della Sardegna.
L’opera
dei gesuiti
Fanno eccezione, rispetto a queste dinamiche di integrazione e
legittimazione, i gesuiti del XVI secolo. Con una serie di missioni nei piccoli
villaggi dell’interno inaugurarono un’opera di rievangelizzazione e di acculturazione
che, per un brevissimo periodo - fino a quando non venne vietato dal re -
prevedette anche l’insegnamento in sardo, secondo la pedagogia missionaria
gesuitica che i padri ebbero modo di sperimentare anche in Sudamerica. Si
intende cioè dire che, a differenza degli intellettuali sardi, l’interesse dei
Gesuiti per la Sardegna, per quanto fosse in primo luogo pastorale, era più
incardinato sull’urgenza di capire i processi isolani che non sulla necessità
di ingentilirli o sublimarli per ottenere, attraverso questa finzione,
l’integrazione non della Sardegna, ma dei suoi ceti egemoni, in un sistema più
ampio.
Ciò spiega perché si debba alla penna di un ex gesuita, il bittese
Giovanni Arca (1562/63 ca - 1599), il De
barbaricinorum libelli, che è un vero testo di fondazione di un mito e di
un'ideologia.
Arca ripropone per i Barbaricini appunto, le origini mitiche derivate da Iolao, compagno di Ercole, eponimo degli Ilienses, nome con cui venivano designate in diverse fonti antiche alcune popolazioni dell'interno dell'Isola.
Arca ripropone per i Barbaricini appunto, le origini mitiche derivate da Iolao, compagno di Ercole, eponimo degli Ilienses, nome con cui venivano designate in diverse fonti antiche alcune popolazioni dell'interno dell'Isola.
Il mito della Barbagia - e con essa di ogni roccaforte
montana della Sardegna - come luogo incontaminato di un'antichità leggendaria,
sede di fiere popolazioni resistenti agli invasori, luogo insomma della più
schietta identità isolana, nobilitata nel Cinquecento con il richiamo alle
origini classiche e nell'Ottocento romantico con i toni e i colori del
primitivo, del fiero e del feroce, ha avuto un pendant ideologico non
irrilevante che dura fino ai nostri giorni.
La narrazione è intessuta su un fitto reticolo di fonti che l'autore non esita a piegare pur di raggiungere l’obbiettivo di creare una vera e propria epopea dei Barbaricini.
L’opera di Arca attesta che il localismo in Sardegna si radica, almeno nel suo riflesso letterario, contestualmente all’affermarsi di un’integrazione sovraregionale e pertanto è il segno di uno squilibrio interno, non di una chiusura verso l’esterno.
La narrazione è intessuta su un fitto reticolo di fonti che l'autore non esita a piegare pur di raggiungere l’obbiettivo di creare una vera e propria epopea dei Barbaricini.
L’opera di Arca attesta che il localismo in Sardegna si radica, almeno nel suo riflesso letterario, contestualmente all’affermarsi di un’integrazione sovraregionale e pertanto è il segno di uno squilibrio interno, non di una chiusura verso l’esterno.
Pietro
Delitala
Nato a Bosa, Delitala, durante il suo lungo esilio in Italia,
entra in contatto con gli ambienti letterari e, probabilmente, anche col Tasso,
la cui opera, comunque, conosce e considera quale indispensabile punto di
riferimento.
È autore di un canzoniere in lingua italiana, Rime diverse, di chiara ispirazione petrarchesca, pubblicato a Cagliari nel 1596.
Nell’opera Delitala si dimostra inserito negli sviluppi manieristici della tradizione lirica italiana, la materia delle poesie è ricca di interessanti riferimenti autobiografici e alla realtà sarda.
È autore di un canzoniere in lingua italiana, Rime diverse, di chiara ispirazione petrarchesca, pubblicato a Cagliari nel 1596.
Nell’opera Delitala si dimostra inserito negli sviluppi manieristici della tradizione lirica italiana, la materia delle poesie è ricca di interessanti riferimenti autobiografici e alla realtà sarda.
È stata messa in dubbio la conoscenza personale del Tasso da parte
del Delitala, ma il sonetto indirizzato all’autore della Gerusalemme
liberata, sembra confermare questo rapporto.
Nell’introduzione alla sua raccolta si scusa per avere scelto l’italiano al posto dello spagnolo o del sardo e chiede "clementia" per la sua prova poetica. La sua opera rappresenta al meglio la tendenza, da parte degli intellettuali sardi, a mantenere i tre filoni della sua tradizione letteraria: quello italiano, quello spagnolo e quello sardo.
Nell’introduzione alla sua raccolta si scusa per avere scelto l’italiano al posto dello spagnolo o del sardo e chiede "clementia" per la sua prova poetica. La sua opera rappresenta al meglio la tendenza, da parte degli intellettuali sardi, a mantenere i tre filoni della sua tradizione letteraria: quello italiano, quello spagnolo e quello sardo.
Il Seicento
Note
introduttive
Durante il Seicento, tutti i testi in castigliano sono opera di
esponenti del ceto feudale o della burocrazia del Regno; quelli in sardo sono
opera di sacerdoti di periferia, parroci di piccoli paesi o religiosi di alcuni
conventi dell’interno che praticano generi minori o si dedicano alla traduzione
a fini didascalici della tradizione agiografica.
La coesistenza dei due sistemi linguistici nei testi non marca
solo un confine sociale, tra istruiti e ricchi da un lato, e incolti e poveri
dall’altro, ma anche geografico, tra la città e la periferia.
È emblematico in tal senso il contrasto tra il cittadino e il
pastore nell’Alabanças de San George obispo Suelense Calaritano di Juan Francisco Carmona (giurato di Cagliari nel 1623),
dove, oltre alla contrapposizione dei codici e degli stili (da una parte
l’elaborato castigliano del cittadino, dall’altro il sardo elementare del
pastore) si ha anche il topos del mondo rurale ignorante e credulone, esposto
alla facile e compassionevole ironia del mondo della città e della sua cultura.
Nel Seicento la Sardegna passa dall’integrazione subita a quella voluta.
Nel Seicento la Sardegna passa dall’integrazione subita a quella voluta.
Il Seicento
Eventi
storici
Il secolo XVII si apre per l’isola con la convocazione del
Parlamento che stabilisce misure in favore dell’agricoltura, del riordino delle
strade e dell’erezione di nuove torri per la difesa costiera.
Su richiesta degli Stamenti sono istituite le Università a Cagliari (1626) e a Sassari (1632).
Nel corso del secolo la situazione dell’isola si fa via via più difficile con la fiscalità in progressivo aumento per contribuire alle spese militari della corona spagnola e, soprattutto, con la terribile pestilenza che dal 1652 al 1657 flagellò l’isola decimando la popolazione.
Su richiesta degli Stamenti sono istituite le Università a Cagliari (1626) e a Sassari (1632).
Nel corso del secolo la situazione dell’isola si fa via via più difficile con la fiscalità in progressivo aumento per contribuire alle spese militari della corona spagnola e, soprattutto, con la terribile pestilenza che dal 1652 al 1657 flagellò l’isola decimando la popolazione.
Si nota un quadro strutturale molto difficile, nel quale si
innestano gli avvenimenti storici contingenti:
- gli
aumenti dei donativi
- la
recrudescenza delle incursioni barbaresche
- la guerra
dei Trent’anni
- la
travagliata vita politica, che culmina negli assassinii di don Agostino
Castelvì, marchese di Laconi, e del viceré, marchese di Camarassa.
Il Seicento
Romanzieri
e poeti
Nel Seicento lo spagnolo è adottato dagli intellettuali sardi come
lingua letteraria, di cultura.
La cultura sarda entra a far parte dell’universo della cultura barocca.
Ogni scrittore sceglie i propri modelli e alla fine produce un’opera originale, oppure una ricombinazione, un pastiche, destinato a rendere complesso il lavoro dei critici che vogliano descriverne le ascendenze letterarie.
La cultura sarda entra a far parte dell’universo della cultura barocca.
Ogni scrittore sceglie i propri modelli e alla fine produce un’opera originale, oppure una ricombinazione, un pastiche, destinato a rendere complesso il lavoro dei critici che vogliano descriverne le ascendenze letterarie.
Jacinto Arnal de Bolea è autore di un romanzo in stile
culterano intitolato El Forastero.
Il forestiero Carlo giunge a turbare la tranquilla esistenza di alcune nobili fanciulle, tra cui quella di Laura, moglie del suo persecutore, il duca Felisardo. Nell’intricatissima vicenda non mancano matrimoni e figli illegittimi, non ultimo quello avuto da Carlo e Laura. Il lieto fine compone ogni tensione: vengono riscoperte le origini nobili del protagonista e i due amanti, dopo la morte di Felisardo, possono finalmente sposarsi. Arnal de Bolea aveva già pubblicato nel 1627 gli Encomios al torneo, poema in ottave in cui descrive il torneo cavalleresco che si svolgeva ogni anno a Cagliari in occasione della festa di San Saturnino ed elogia alcuni nobili sardi.
Il forestiero Carlo giunge a turbare la tranquilla esistenza di alcune nobili fanciulle, tra cui quella di Laura, moglie del suo persecutore, il duca Felisardo. Nell’intricatissima vicenda non mancano matrimoni e figli illegittimi, non ultimo quello avuto da Carlo e Laura. Il lieto fine compone ogni tensione: vengono riscoperte le origini nobili del protagonista e i due amanti, dopo la morte di Felisardo, possono finalmente sposarsi. Arnal de Bolea aveva già pubblicato nel 1627 gli Encomios al torneo, poema in ottave in cui descrive il torneo cavalleresco che si svolgeva ogni anno a Cagliari in occasione della festa di San Saturnino ed elogia alcuni nobili sardi.
El forastero è scritto in un castigliano ricco di latinismi, italianismi,
sardismi e francesismi e, mentre da un lato documenta il forte legame del de
Bolea con la Sardegna e in particolare con Cagliari, "madre de
forasteros", dall’altro mostra chiaramente i rapporti che legano l’autore
alla letteratura spagnola.
Nel caso dell’opera del cagliaritano Giuseppe Zatrillas Vico, i pareri sono discordi sia sulla
valutazione degli aspetti propriamente letterari, sia per quanto concerne il
giudizio riguardante l’opera posta in relazione con la società e la cultura del
suo tempo.
Cagliaritano, di famiglia nobile, oltre che coltivare le lettere, Giuseppe Zatrillas svolse importanti incarichi politici. Nello svolgimento di questi fu accusato di tradimento, esiliato e imprigionato a Tolone. Il suo romanzo Engaños y desengaños del profano amor (1687-1688), che ebbe molta fortuna all'epoca, è incentrato sulla relazione amorosa tra il duca Don Federigo e Donna Elvira Peralta.
La trama è fortemente intricata e appesantita dalla magniloquenza tipica dello stile barocco, mentre abbondano le sentenze morali (las moralidades) volte a scoraggiare i peccaminosi amori adulterini, secondo un gusto controriformistico che tanto favore incontrava nella cultura spagnola del tempo.
Cagliaritano, di famiglia nobile, oltre che coltivare le lettere, Giuseppe Zatrillas svolse importanti incarichi politici. Nello svolgimento di questi fu accusato di tradimento, esiliato e imprigionato a Tolone. Il suo romanzo Engaños y desengaños del profano amor (1687-1688), che ebbe molta fortuna all'epoca, è incentrato sulla relazione amorosa tra il duca Don Federigo e Donna Elvira Peralta.
La trama è fortemente intricata e appesantita dalla magniloquenza tipica dello stile barocco, mentre abbondano le sentenze morali (las moralidades) volte a scoraggiare i peccaminosi amori adulterini, secondo un gusto controriformistico che tanto favore incontrava nella cultura spagnola del tempo.
Il Seicento
Storici
ed eruditi. Vico, Vidal e Aleo
Il Seicento è ricchissimo di storici.
Il motivo di questa ricchezza si ritrova nel contesto politico. Il confronto
tra Sassari e Cagliari, confronto di puro potere, si ammantò di cultura e di
letteratura con la difesa, l’esaltazione e la riscoperta, per ognuna delle
città, di una legione di martiri, esibiti come prove del primato del nord sul
sud dell’isola e viceversa.
Spesso questo localismo sfociò in opere storiografiche di intento
propagandistico, ma con dei risvolti e delle motivazioni diverse rispetto a
quelle che avevano caratterizzato il secolo precendente.
Il localismo del XVII secolo è propaganda politica,
assolutamente inutile rispetto all’integrazione della Sardegna nel mondo
ispanico, ma rilevante come strumento della lotta tra diverse élites politiche
per la conquista o il rafforzamento del poco potere interno e dei suoi processi
di derivazione dalla corona spagnola.
La produzione di un’estetica del localismo come supporto
propagandistico dell’azione di un ceto politico aristocratico cittadino, o
cantonale o territoriale, è una costante della contiguità tra intellettuali e
potere che ha prodotto, fino ai nostri giorni, non poche deformazioni del
sistema culturale isolano e dei suoi rapporti con il sistema europeo.
Rientra in questo quadro l’Historia general de la Isla y Reyno de Cerdeña dello storico sassarese Francisco de Vico, primo magistrato sardo eletto al Consiglio d’Aragona, il quale riprende la tradizione storiografica sarda e la usa come strumento di lotta politica.
Rientra in questo quadro l’Historia general de la Isla y Reyno de Cerdeña dello storico sassarese Francisco de Vico, primo magistrato sardo eletto al Consiglio d’Aragona, il quale riprende la tradizione storiografica sarda e la usa come strumento di lotta politica.
Si inseriscono in questo contesto anche le opere del grande rivale
cagliaritano del De Vico, il cappuccino Salvatore Vidal (il cui vero nome era Giovanni Andrea Contini) che scrisse
di storia profana e religiosa, di letteratura e poesia, utilizzando il latino,
lo spagnolo e il sardo. La difesa che egli fa del sardo nella sua Urania
Sulcitana (1638) va compresa all’interno di questi scontri campanilistici,
e quindi non contraddice, e anzi conferma, il quadro di subordinazione del
sardo.
È invece parzialmente diverso il caso di Jorge Aleo (1620 circa - 1684 ca) cappuccino,
coinvolto nella lotta politica cagliaritana. La sua Historia cronológica y
verdadera de todos los sucesos y casos particulares sucedidos en la Isla y
Reyno de Serdeña del año 1637 al año 1672 è sì un’opera storica, ma
soprattutto un’autodifesa.
La sua opera manifesta il tentativo delle della classe intellettuale sarda di portare avanti le istanze autonomistiche.
La sua opera manifesta il tentativo delle della classe intellettuale sarda di portare avanti le istanze autonomistiche.
Il Seicento
Il
teatro
A differenza del carattere elitario, ideologico e artistico, del
Rinascimento, il Barocco, com’è noto, recupera molti aspetti della cultura
popolare e medievale: il gusto per il macabro, per lo spettacolare, per le
grandi manifestazioni collettive di dolore o di gioia e per il carpe diem
carnevalesco.
In un’area di confine tra la liturgia e la devozione popolare si
collocano le sacre rappresentazioni, spesso veicolo di evangelizzazione
e di educazione del popolo - secondo la regola dell’insegnare dilettando -
spesso, specie quando non sono opera di ecclesiastici, luoghi di un sincretismo
tra cultura alta e cultura popolare, tra cultura scritta e cultura orale, che
lascia trasparire realtà più complesse di quelle ricavabili dalla lettera dei
testi. È il pubblico a cui questi testi erano destinati che ci consente di
comprendere e ben interpretare l’uso del sardo che vi troviamo largamente
attestato.
Nel Seicento dunque assume un’importanza notevole il teatro, e soprattutto la rappresentazione drammatica. L’attività teatrale, che costituisce un elemento importante dell’educazione religiosa e letteraria, impiega molteplici lingue: il catalano, che comincia ad avere una presenza meno marcata, il castigliano, che invece si espande, il sardo e, in qualche caso, il latino.
L’ispanizzazione determinava un gusto per lo spettacolo e la festa barocca che in Sardegna trovava alimento negli aspetti drammatici della situazione sociale ed economica e nella tensione religiosa. Rientrano in questo quadro il genere drammatico delle sacre rappresentazioni e quello paralitugico dei gosos.
Nel Seicento dunque assume un’importanza notevole il teatro, e soprattutto la rappresentazione drammatica. L’attività teatrale, che costituisce un elemento importante dell’educazione religiosa e letteraria, impiega molteplici lingue: il catalano, che comincia ad avere una presenza meno marcata, il castigliano, che invece si espande, il sardo e, in qualche caso, il latino.
L’ispanizzazione determinava un gusto per lo spettacolo e la festa barocca che in Sardegna trovava alimento negli aspetti drammatici della situazione sociale ed economica e nella tensione religiosa. Rientrano in questo quadro il genere drammatico delle sacre rappresentazioni e quello paralitugico dei gosos.
Gli autori di testi teatrali vivono nel Seicento l’esperienza di
chi si trova in bilico fra universi culturali diversi, percepisce il fascino
della propria, tradizione, ancorché modesta, raccoglie le suggestioni
provenienti dalla grande cultura iberica e, contemporaneamente, non dimentica
gli stimoli della cultura e della letteratura italiana.
Vanno citate a questo proposito quindi le opere di Juan Francisco Carmona, Alabanças de San George obispo
Suelense Calaritano, e la Passión de Christo Nuestro Señor che
descrivono le manifestazioni per il ritrovamento del corpo dei santi e
contengono gosos in lingua catalana e castigliana.
Meritano di essere menzionati anche gli scritti di Antonio
Maria de Esterzili, cappuccino (1644-1727), Comedia de la passion de
Nuestro Señor Jesu Christo, Conçueta del nacimiento de Christo, Rapresentacion
del desenclaimento de la cruz de Jesu Christo Nuestro Señor.
Un discorso a parte meritano le opere settecentesche di Giovanni Delogu Ibba, rettore di Villanova Monteleone, Tragedia
in su isclavamentu de su sacrosantu corpus de nostru Sennore Iesu Christu,
opera che occupa il settimo libro del suo Index libri vitae, zibaldone
di versi in latino e in sardo di cui sono particolarmente interessanti i gosos
del sesto libro; le opere del sarto di San Vero Milis Maurizio Carrus,
Sa passione et morte de nostru Segnore Jesu Christu segundu sos battor
evangelistas, e del bororese Gian Pietro Chessa Cappay, Historia
de la vida y hechos de San Luxorio, dove interviene anche il personaggio
comico, che parla in sardo, Barrilotu, mentre san Lussorio parla in
castigliano.
Il testo drammatico più rilevante del periodo è una
commedia in lingua castigliana intitolata El saco imaginado del gesuita
algherese Antioco del Arca, rappresentata per la prima volta
nel 1622, quando vennero riportati a Porto Torres i resti dei santi Gavino,
Proto e Gianuario. L’autore si rivolge qui ad un pubblico non popolare e più
esigente sotto il profilo estetico.
Si sviluppano in ambito sardo i gosos (goccius) che riprendono un modulo della poesia religiosa catalana finendo col divenire un’espressione tipica di una poesia sarda fortemente legata alle forme dell’oralità e della recitazione pubblica.
Si sviluppano in ambito sardo i gosos (goccius) che riprendono un modulo della poesia religiosa catalana finendo col divenire un’espressione tipica di una poesia sarda fortemente legata alle forme dell’oralità e della recitazione pubblica.
«Lo sviluppo del teatro nel Seicento sardo nasce dall’incontro di
tre fattori: l’intensa vita religiosa locale; la preesistente tradizione
teatrale a livello popolare e, infine, l’innesto sulle tradizioni indigene
della cultura spagnola e italiana»
Sergio Bullegas
Degna di rilievo, per originalità e livello culturale, è la
proposta per un uso letterario del sardo, presente nell’Introduzione al Legendariu
de santas virgines de Jesu Christu (traduzione in sardo di una serie di
vite di sante celebri datata 1627) di Gian Matteo Garipa. Il sacerdote orgolese, parroco di
Baunei e Triei, sostiene la necessità dell’insegnamento del sardo nelle scuole
come prerequisito per il corretto apprendimento, da parte degli studenti, anche
delle altre lingue.
Sembrerebbe la difesa di una lingua sentita come propria, apprezzata per le sue qualità intrinseche e per il valore didattico che potrebbe assumere, eppure definita "limba latina sarda". Consapevole di aver ricevuto quella lingua in eredità dal peggiore dei dominatori, Garipa mostra la serena consapevolezza di chi sa di appartenere a un corpo sociale fortificato da secoli di traversie, reso capace di metabolizzare qualunque elemento estraneo e di trasformarlo in nutrimento per la propria identità.
Egli ebbe da una parte la consapevolezza, di tipo linguistico, del carattere conservativo del sardo e dunque della sua maggiore prossimità al latino; dall’altra fu convinto dell’urgenza di dotare la Sardegna di una tradizione letteraria «nazionale», ossia, come si direbbe oggi, di una lingua letteraria uniformemente usata in tutto il territorio dell’isola e sorretta da un repertorio di testi in grado di competere con quelli dell e altre lingue europee.
Sembrerebbe la difesa di una lingua sentita come propria, apprezzata per le sue qualità intrinseche e per il valore didattico che potrebbe assumere, eppure definita "limba latina sarda". Consapevole di aver ricevuto quella lingua in eredità dal peggiore dei dominatori, Garipa mostra la serena consapevolezza di chi sa di appartenere a un corpo sociale fortificato da secoli di traversie, reso capace di metabolizzare qualunque elemento estraneo e di trasformarlo in nutrimento per la propria identità.
Egli ebbe da una parte la consapevolezza, di tipo linguistico, del carattere conservativo del sardo e dunque della sua maggiore prossimità al latino; dall’altra fu convinto dell’urgenza di dotare la Sardegna di una tradizione letteraria «nazionale», ossia, come si direbbe oggi, di una lingua letteraria uniformemente usata in tutto il territorio dell’isola e sorretta da un repertorio di testi in grado di competere con quelli dell e altre lingue europee.
Il Settecento
I
cambiamenti
Nel 1720 l’isola è assegnata al Piemonte, che avrebbe preferito
mantenere la Sicilia. Termina così la dominazione spagnola cominciata nel 1323.
La situazione dell’isola è grave per ragioni di diversa natura:
La situazione dell’isola è grave per ragioni di diversa natura:
- calo
demografico
- estrema
miseria
- agricoltura
ridotta a un puro livello di sussistenza
- difficoltà
dei trasporti e commercio praticamente inesistente
- condizioni
igieniche e sanitarie assolutamente deficitarie
- ignoranza
diffusa
- ordine
pubblico precario: banditismo e scorrerie barbaresche.
Il Settecento è dunque per i sardi un
secolo di importanti mutamenti.
Dopo aver gravitato per secoli nell’orbita culturale del mondo ispanico, l’Isola fu ricondotta nell’area della cultura italiana.
La dinastia dei Savoia, per crearsi una base di consenso allargata, si preoccupò di formare una classe dirigente che rispondesse meglio alle esigenze di una società civile improntata a modelli, se non proprio illuministici, almeno più moderni.
Per contrastare l’uso del castigliano, che continuò ancora a lungo ad essere la lingua ufficiale del Regno, i Piemontesi, nonostante si fossero impegnati col trattato di Londra a non modificare lo stato di cose esistente, e cioè l’arretrata articolazione feudale del Regnum Sardiniae, promossero lo studio dell’italiano, istituendo nuove cattedre di grammatica e di eloquenza italiana che dovevano italianizzare le professioni.
Dopo aver gravitato per secoli nell’orbita culturale del mondo ispanico, l’Isola fu ricondotta nell’area della cultura italiana.
La dinastia dei Savoia, per crearsi una base di consenso allargata, si preoccupò di formare una classe dirigente che rispondesse meglio alle esigenze di una società civile improntata a modelli, se non proprio illuministici, almeno più moderni.
Per contrastare l’uso del castigliano, che continuò ancora a lungo ad essere la lingua ufficiale del Regno, i Piemontesi, nonostante si fossero impegnati col trattato di Londra a non modificare lo stato di cose esistente, e cioè l’arretrata articolazione feudale del Regnum Sardiniae, promossero lo studio dell’italiano, istituendo nuove cattedre di grammatica e di eloquenza italiana che dovevano italianizzare le professioni.
D’altra parte, per trovare consenso nel popolo e per
decastiglianizzare la Sardegna più in fretta, promossero anche l’uso della
lingua sarda. Questo programma di doppio binario linguistico, rivolto a
rimuovere le tracce del vecchio potere feudale spagnolo e a consolidare il
nuovo ordine, continua per tutto il Settecento, e comincia a dare i suoi frutti,
per quel che riguarda la comunicazione letteraria, alla fine del secolo con una
larga produzione di versi scritti in sardo che merita già attenta
considerazione, ma anche con buone opere di divulgazione
"scientifica".
Il Settecento
Le
riforme sabaude
L’economia sarda è arretrata: permangono strutture feudali
superate e un sistema di sfruttamento della terra inefficace.
Le riforme sabaude, inizialmente molto lente, sono dettate dalla volontà di riordinare il possesso e razionalizzarne lo sfruttamento.
Il processo riformistico, che coinvolgerà anche le università di Sassari e Cagliari toglierà gli intellettuali sardi dalla sfera di immobilismo culturale nella quale erano caduti.
Con il passaggio dell’Isola sotto casa Savoia (1720), dunque, il sistema sardo-ispanico progressivamente si sfalda.
Le riforme sabaude, inizialmente molto lente, sono dettate dalla volontà di riordinare il possesso e razionalizzarne lo sfruttamento.
Il processo riformistico, che coinvolgerà anche le università di Sassari e Cagliari toglierà gli intellettuali sardi dalla sfera di immobilismo culturale nella quale erano caduti.
Con il passaggio dell’Isola sotto casa Savoia (1720), dunque, il sistema sardo-ispanico progressivamente si sfalda.
Il castigliano sopravvive per altri quarant’anni come una lingua
alla deriva, come una lingua ormai priva di ciò che le conferiva prestigio;
l’aristocrazia sarda, dopo una fase di sbandamento, è la più interessata ad
omologarsi rapidamente agli usi linguistici e culturali della nuova Casa
regnante, ma deve passare attraverso un rapido apprendistato linguistico e
culturale che darà i suoi frutti ovviamente solo con le nuove generazioni.
Senza voler fare delle valutazioni sull’operato dei Savoia, si può
comunque sostenere che la riforma delle università e della scuola in genere
(1760-65), promossa dal paternalismo illuminato del conte Bogino, ebbe come
esito positivo la nascita di un autentico ceto professionale di intellettuali
che si fecero interpreti in Sardegna delle idee e dei metodi dell’Illuminismo
prima e del Romanticismo poi.
Dal punto di vista linguistico, nonostante l’iniziale
atteggiamento cauto dei piemontesi, il passaggio imposto da un’influenza
linguistica all’altra non è indolore.
Lo spagnolo continua ad essere parlato come prima: il primi atti
del nuovo sovrano sono in quella lingua, essendo sconosciuto ai nuovi sudditi
il francese che nel Piemonte veniva impiegato nella vita pubblica e poco noto
l’italiano che, per altro, anche a Torino non doveva essere adoperato con molta
proprietà.
Con il tempo il sardo riacquista spazio e l’italiano viene nuovamente impiegato dal ceto dirigente.
Con il tempo il sardo riacquista spazio e l’italiano viene nuovamente impiegato dal ceto dirigente.
La riforma sabauda ha tra i suoi principali propositi quello
di sostituire la lingua spagnola con quella italiana.
- Nel 1726
viene commissionato al gesuita Antonio Faletti lo studio di un piano per
l’adozione della nuova lingua.
- Nel 1760
viene varato un nuovo ordinamento degli studi inferiori che precede di
qualche anno la riforma delle università di Cagliari e di Sassari avviata
nel biennio 1764-65.
Si determina, in tal modo, un innalzamento della qualità degli
studi e la formazione di un giovane ceto intellettuale destinato a operare
tanto nel campo della cultura quanto in quello della pubblica amministrazione e
dell’imprenditoria, attento allo sviluppo e alla circolazione delle idee la cui
diffusione stava trasformando il volto dell’Europa e, sia pure con qualche
ritardo, anche quello dell’Italia. Da queste riforme prende un percorso che
porterà alla riscoperta della storia sarda che condurrà ad una vasta produzione
di romanzi storici nella seconda metà dell’Ottocento.
Il Settecento
La
poesia
Il pluralismo linguistico che caratterizza la produzione
didascalica e quella drammaturgica si ritrova anche nell’attività poetica del
Settecento, che si orienta prevalentemente verso la scelta dell’italiano o del
sardo (anche se non mancano versi in castigliano e in latino) a seconda delle
scelte culturali, degli orientamenti letterari o politici, dell’appartenenza a
questo o a quell’altro ambito sociale, a un contesto urbano oppure a quello del
paese, alla vicinanza rispetto alla corte e, quindi, al potere politico, delle
personali visioni del mondo e delle concezioni relative alle tematiche
nazionali sarde.
I processi di italianizzazione incentivati dal governo sabaudo raccolgono il consenso dei letterati gravitanti nell’ambito dell’Arcadia e, più ampiamente, di coloro che partecipavano agli avvenimenti di corte, ai compleanni regali, alle nascite e alle morti, alle monacazioni e ai matrimoni, con un commento poetico.
I processi di italianizzazione incentivati dal governo sabaudo raccolgono il consenso dei letterati gravitanti nell’ambito dell’Arcadia e, più ampiamente, di coloro che partecipavano agli avvenimenti di corte, ai compleanni regali, alle nascite e alle morti, alle monacazioni e ai matrimoni, con un commento poetico.
Nell’ambito della letteratura encomiastica sono da segnalare
l’opera di Luigi Soffi, autore di orazioni sacre e di versi
raccolti sotto il titolo di Poesie (1784), e quella del teologo Giovanni Maria Dettori che si dedicò alla composizione di
poesie d’occasione, tradusse in italiano il poemetto Il trionfo della
Sardegna di Raimondo Congiu e il salmo 79.
La figura di maggior spicco è certamente quella di Antonio Marcello (1730-1799) che rompendo la
tradizione drammaturgica derivante dall’influsso ispanico, prese a modello il
teatro italiano e, in particolare, il melodramma metastasiano componendo cinque
drammi per musica, tre dei quali sono giunti fino a noi:
- Il
Marcello (1784)
- La morte
del giovane Marcello
- Olimpia
ovvero l’estinzione della stirpe di Alessandro il Grande (1785)
La sua produzione testimonia un’indipendenza di spirito che si
manifesta anche nella scelta di premettere ai drammi scritti in italiano alcuni
versi castigliani che documentano il persistere del fascino esercitato dalla
cultura spagnola.
Il Settecento
La
poesia. Berlendis e Carboni
Come detto, sul versante letterario, l’iscrizione della Sardegna
nel sistema culturale italiano avviene sotto il segno iniziale dell’Arcadia e
del Neoclassicismo. Un ruolo attivo svolgono, in questa operazione di
costruzione di una nuova classe dirigente e di diffusione di una nuova
estetica, i gesuiti.
Si pensi al vicentino Angelo Francesco Berlendis (1735-1794), professore di eloquenza italiana prima all’Università di Sassari e poi di Cagliari, autore di sonetti, madrigali, epigrammi, nei quali si rifece prevalentemente al Frugoni – nonché di due tragedie la Sardi liberata e il San Saturnino.
Si pensi al vicentino Angelo Francesco Berlendis (1735-1794), professore di eloquenza italiana prima all’Università di Sassari e poi di Cagliari, autore di sonetti, madrigali, epigrammi, nei quali si rifece prevalentemente al Frugoni – nonché di due tragedie la Sardi liberata e il San Saturnino.
Nel 1764 entrò a far parte della Compagnia di Gesù anche Francesco Carboni (1746-1817), il maggiore poeta
didascalico sardo che scrisse anche in latino, in italiano (Poesie italiane e
latine (1774), Sonetti anacreontici (1774), Carmina nunc primum
(edita nel 1776) ecc.) e in sardo (De corde Jesu. Sonetti in
sardo logudorese sull’Eucarestia, (1842). Tra i suoi titoli tipicamente
didascalici ricordiamo il De sardoa intemperie (1772), La sanità dei
letterati (1774), La coltivazione della rosa (1776), De corallis
(1779).
Carboni è il capostipite di una serie di poeti che si occuparono
di agricoltura, di pesca, di allevamento del baco da seta, rispondendo così da
una parte a una sincera esigenza di partecipazione alla modernizzazione
dell’Isola, e dall’altra indulgendo al paternalismo dei Savoia che voleva
l’Isola più ricca ma lasciava volutamente irrisolti diversi problemi inerenti
la libertà dei sardi.
Egli padroneggiò la lingua letteraria latina e, al di là dei riecheggiamenti dei classici e degli umanisti, riuscì a lasciar trasparire costantemente l’amore per la bellezza ed i valori della propria terra senza per questo farsene lodatore entusiasta, anzi guardandola con occhio critico, attento piuttosto alla soluzione dei problemi che la affliggevano. In questo seguiva i dettami di una poetica illuministica che lo induceva a vestire di favole argomenti di carattere civile che valessero ad indicare le vie del progresso dell’Isola secondo una linea di sviluppo economico basata sulle risorse naturali. Certo la scelta della lingua limitava il suo pubblico, ma lo metteva anche al riparo da censure.
Egli padroneggiò la lingua letteraria latina e, al di là dei riecheggiamenti dei classici e degli umanisti, riuscì a lasciar trasparire costantemente l’amore per la bellezza ed i valori della propria terra senza per questo farsene lodatore entusiasta, anzi guardandola con occhio critico, attento piuttosto alla soluzione dei problemi che la affliggevano. In questo seguiva i dettami di una poetica illuministica che lo induceva a vestire di favole argomenti di carattere civile che valessero ad indicare le vie del progresso dell’Isola secondo una linea di sviluppo economico basata sulle risorse naturali. Certo la scelta della lingua limitava il suo pubblico, ma lo metteva anche al riparo da censure.
Il Settecento
Antonio
Purqueddu
Anche Antonio Purqueddu è un significativo rappresentante
della intellettualità sarda aperta alla cultura contemporanea.
Egli ben rappresenta l’orizzonte culturale e morale di questo gruppo di scrittori, prevalentemente ecclesiastici che aderirono sinceramente alla cultura dei Lumi ma mai fino ad abbracciarne gli aspetti politicamente più innovativi ed eversivi.
Egli ben rappresenta l’orizzonte culturale e morale di questo gruppo di scrittori, prevalentemente ecclesiastici che aderirono sinceramente alla cultura dei Lumi ma mai fino ad abbracciarne gli aspetti politicamente più innovativi ed eversivi.
Il suo Tesoro della Sardegna nel coltivo dei bachi e
gelsi fu pubblicato nel 1779 in una pregevole edizione della
Reale Stamperia di Cagliari.
Il poema, composto da 199 ottave divise in tre canti e scritto in sardo meridionale (con traduzione italiana) propone anche un ampio apparato di annotazioni esplicative che contengono molteplici informazioni riguardanti gli usi, i costumi, le tradizioni popolari, i proverbi, la lingua, la fauna della Sardegna.
Il poema, composto da 199 ottave divise in tre canti e scritto in sardo meridionale (con traduzione italiana) propone anche un ampio apparato di annotazioni esplicative che contengono molteplici informazioni riguardanti gli usi, i costumi, le tradizioni popolari, i proverbi, la lingua, la fauna della Sardegna.
Significativa anche la concezione della lingua, per la quale fa
una scelta che potrebbe essere definita antipurista: ponendosi in una
posizione di assoluta indipendenza, egli ricorre di volta in volta agli apporti
linguistici che appaiono funzionali rispetto al suo scopo.
È dello stesso periodo l’opera di Matteo Madau che introduce l’ipotesi di
ripulimento della lingua sarda.
Purqueddu compie una scelta opposta a quella di Madau. Nel suo Tesoro si ritrovano sullo stesso piano lingue e dialetti diversi (sardo, prevalentemente ma non esclusivamente campidanese).
Madau si propone di sviluppare una riflessione sulla lingua sarda, giungendo a un’ipotesi di tipo puristico. Compone versi e numerose opere, sia storiche, sia, soprattutto, linguistiche in cui la questione della lingua sembra comprendere e rappresentare altre e più celate questioni, aspirazioni politiche, idealità riguardanti la Sardegna.
Nel Saggio d’un’opera intitolata «il ripulimento della lingua sarda» lavorato sopra la sua analogia colle due matrici lingue la greca e la latina (1782), la sua ipotesi di ripulimento, che dovrebbe portare il logudorese quanto più possibile vicino alla “matrice lingua” latina, pur con tutti i suoi limiti, ha come obiettivo quello di dare al sardo maggiore dignità, come merita una lingua nazionale.
Purqueddu compie una scelta opposta a quella di Madau. Nel suo Tesoro si ritrovano sullo stesso piano lingue e dialetti diversi (sardo, prevalentemente ma non esclusivamente campidanese).
Madau si propone di sviluppare una riflessione sulla lingua sarda, giungendo a un’ipotesi di tipo puristico. Compone versi e numerose opere, sia storiche, sia, soprattutto, linguistiche in cui la questione della lingua sembra comprendere e rappresentare altre e più celate questioni, aspirazioni politiche, idealità riguardanti la Sardegna.
Nel Saggio d’un’opera intitolata «il ripulimento della lingua sarda» lavorato sopra la sua analogia colle due matrici lingue la greca e la latina (1782), la sua ipotesi di ripulimento, che dovrebbe portare il logudorese quanto più possibile vicino alla “matrice lingua” latina, pur con tutti i suoi limiti, ha come obiettivo quello di dare al sardo maggiore dignità, come merita una lingua nazionale.
Il Settecento
La
poesia in sardo
Nel Settecento ebbe una notevole diffusione la poesia in sardo,
soprattutto legata al mondo tradizionale delle poesia orale che veniva affidata
alla memoria degli ascoltatori.
Pietro Pisurzi (1724-1799), di umili origini,
compiuti fra notevoli difficoltà economiche gli studi fino a divenire sacerdote
e poi parroco di Tissi, elaborò un’ampia produzione poetica andata per lo più
perduta.
Ciò che è giunto fino a noi è però sufficiente a farci apprezzare le qualità di un autore capace di mettere in relazione nei suoi versi le ascendenze letterarie con la freschezza derivante dal riferimento a un mondo della realtà dal quale era possibile attingere non solo tematiche ma anche modalità stilistiche e linguistiche.
Godono di vasta notorietà due sue canzoni, S’abe e S’anzone, favole nelle quali le massime morali e i contenuti allegorici sono espressi con levità poetica.
Ciò che è giunto fino a noi è però sufficiente a farci apprezzare le qualità di un autore capace di mettere in relazione nei suoi versi le ascendenze letterarie con la freschezza derivante dal riferimento a un mondo della realtà dal quale era possibile attingere non solo tematiche ma anche modalità stilistiche e linguistiche.
Godono di vasta notorietà due sue canzoni, S’abe e S’anzone, favole nelle quali le massime morali e i contenuti allegorici sono espressi con levità poetica.
Giovan Pietro Cubeddu (1748-1829), noto come Padre Luca,
sacerdote scolopio, abbandonò l’ordine a causa di una malattia e si ritirò a
vivere nelle campagne fra Buddusò e Bitti prima, e poi, come servo pastore
capraro, in quelle fra Dorgali e la spiaggia di Cala Luna.
In questi anni, molto probabilmente, compose i versi migliori: canzoni di vario metro in dialetto logudorese, dove è rappresentato l'idilliaco mondo pastorale, secondo i gusti dominanti nella cultura letteraria italiana del Settecento.
Tra i componimenti del Cubeddu non incentrati sulla tematica amorosa o pastorale, emerge la favola Su leone e s'ainu. La sua poesia è ricca di echi della poesia moraleggiante classica e della tradizione cristiana degli exempla.
In questi anni, molto probabilmente, compose i versi migliori: canzoni di vario metro in dialetto logudorese, dove è rappresentato l'idilliaco mondo pastorale, secondo i gusti dominanti nella cultura letteraria italiana del Settecento.
Tra i componimenti del Cubeddu non incentrati sulla tematica amorosa o pastorale, emerge la favola Su leone e s'ainu. La sua poesia è ricca di echi della poesia moraleggiante classica e della tradizione cristiana degli exempla.
Anche Gavino
Pes, di Tempio, apparteneva all’ordine
degli Scolopi, ma ciò non gli impedì d’essere, un poeta principalmente attratto
dalla tematica amorosa.
La sua opera manifesta una notevole abilità letteraria, peraltro riconosciuta dai suoi conterranei presso i quali godette di chiara fama. Significativo lo stretto rapporto fra il poeta e la società gallurese: Pes è considerato il capostipite della poesia colta in dialetto gallurese.
La sua lingua poetica è sorretta da una vasta cultura letteraria che spazia dai classici latini e greci ai classici della lirica italiana fino ai contemporanei Meli, Rolli, Zappi e Frugoni. Attraverso il magistero dell’Arcadia, la lingua poetica sarda, che allora andava rifondandosi per ciò che attiene al logudorese, ma che aveva solo una tradizione autenticamente popolare per quel che riguarda il gallurese, riuscì ad acquisire profondità di analisi e di capacità evocative, sia sul versante emozionale che su quello morale, certamente inedite.
La sua opera manifesta una notevole abilità letteraria, peraltro riconosciuta dai suoi conterranei presso i quali godette di chiara fama. Significativo lo stretto rapporto fra il poeta e la società gallurese: Pes è considerato il capostipite della poesia colta in dialetto gallurese.
La sua lingua poetica è sorretta da una vasta cultura letteraria che spazia dai classici latini e greci ai classici della lirica italiana fino ai contemporanei Meli, Rolli, Zappi e Frugoni. Attraverso il magistero dell’Arcadia, la lingua poetica sarda, che allora andava rifondandosi per ciò che attiene al logudorese, ma che aveva solo una tradizione autenticamente popolare per quel che riguarda il gallurese, riuscì ad acquisire profondità di analisi e di capacità evocative, sia sul versante emozionale che su quello morale, certamente inedite.
Cagliaritano era Efisio Pintor Sirigu, avvocato e autore di
componimenti in sardo campidanese che lo presentano come poeta satirico. La sua
poesia in sardo campidanese (scrisse anche versi in italiano, in latino ) è un
esercizio aristocratico, giocato sul versante di un umorismo caustico spesso a
sfondo sessuale, svolto da un ricco professionista, quale egli era, in forme
linguisticamente e tematicamente popolareggianti.
Sul valore letterario dei componimenti di Pintor Sirigu concordano praticamente tutti i critici.
Meno benevolo il giudizio sull’uomo, sul quale si stende un’ombra che riguarda il suo comportamento rispetto a Angioy, di cui fu prima seguace e poi nemico, incaricato della terribile repressione di Bono.
Sul valore letterario dei componimenti di Pintor Sirigu concordano praticamente tutti i critici.
Meno benevolo il giudizio sull’uomo, sul quale si stende un’ombra che riguarda il suo comportamento rispetto a Angioy, di cui fu prima seguace e poi nemico, incaricato della terribile repressione di Bono.
Il Settecento
Francesco
Ignazio Mannu
L’azione dei didascalici sardi, la loro riflessione e le opere che
composero rappresentano il fecondo avvio di una prospettiva di scrittura, in
italiano e in sardo, che racchiude speranze politiche e si alimenta nell’amore
per la patria sarda.
La loro opera rappresenta lo sforzo compiuto per dare alla
Sardegna l’opportunità di liberarsi dall’arretratezza e dall’isolamento
culturale e commerciale.
L’inno Su patriotu sardu a sos feudatarios di Francesco Ignazio Mannu si colloca fra quegli scritti di
propaganda autonomistica e antifeudale che ebbero diffusione in Sardegna sul
finire del secolo e particolarmente nel triennio rivoluzionario 1793-96.
L’inno fu pubblicato in Corsica nel 1794 e da lì si diffuse in Sardegna interpretando un sentimento che riuniva in una comune speranza le diverse classi sociali sarde.
Scritto in logudorese, l’inno si compone di 47 strofe formate da otto versi ottonari, e, sotto il profilo linguistico, si articola su due livelli, uno alto e uno popolare.
Variamente giudicato per le qualità stilistiche, Su patriottu sardu, che è stato chiamato la Marsigliese sarda, appartiene a quel vasto genere innografico ispirato dall’amore per la giustizia e il riscatto degli umili e degli oppressi che si nutre di ideali illuminati e umanitari.
Qui l’inno ha il ritmo di un canto popolare efficace e coinvolgente, la forza di una poesia popolare capace di attraversare il tempo e di rappresentare, nell’Ottocento, le aspirazioni di coloro che sognavano una patria sarda o, nel Novecento, le speranze di quanti combattevano battaglie politiche e sociali.
L’inno non è sardo solo nella lingua, ma anche nel repertorio concettuale e simbolico che utilizza, eppure è nel contempo un esplicito veicolo di cultura democratica d’oltralpe, è cioè un primo esempio di discorso altrui divenuto autenticamente discorso proprio. Forse per il peso sociale del suo pubblico – piccoli e medi proprietari, contadini, borghesi – Su patriotu sardu a sos feudatarios è rimasto un caso isolato di testo politico-propagandistico di successo. Quanto più la classe dirigente isolana si integrerà in quella italiana, tanto più il sardo perderà la sua capacità e possibilità di essere lingua della polemica e della competizione politica.
Particolarmente avanzata per il periodo è la posizione dell’opuscolo Achille della sarda liberazione, composto durante i moti del 1793-96, che mostra appieno l’influsso dell’esperienza francese e delle concezioni politiche europee più avanzate.
L’inno fu pubblicato in Corsica nel 1794 e da lì si diffuse in Sardegna interpretando un sentimento che riuniva in una comune speranza le diverse classi sociali sarde.
Scritto in logudorese, l’inno si compone di 47 strofe formate da otto versi ottonari, e, sotto il profilo linguistico, si articola su due livelli, uno alto e uno popolare.
Variamente giudicato per le qualità stilistiche, Su patriottu sardu, che è stato chiamato la Marsigliese sarda, appartiene a quel vasto genere innografico ispirato dall’amore per la giustizia e il riscatto degli umili e degli oppressi che si nutre di ideali illuminati e umanitari.
Qui l’inno ha il ritmo di un canto popolare efficace e coinvolgente, la forza di una poesia popolare capace di attraversare il tempo e di rappresentare, nell’Ottocento, le aspirazioni di coloro che sognavano una patria sarda o, nel Novecento, le speranze di quanti combattevano battaglie politiche e sociali.
L’inno non è sardo solo nella lingua, ma anche nel repertorio concettuale e simbolico che utilizza, eppure è nel contempo un esplicito veicolo di cultura democratica d’oltralpe, è cioè un primo esempio di discorso altrui divenuto autenticamente discorso proprio. Forse per il peso sociale del suo pubblico – piccoli e medi proprietari, contadini, borghesi – Su patriotu sardu a sos feudatarios è rimasto un caso isolato di testo politico-propagandistico di successo. Quanto più la classe dirigente isolana si integrerà in quella italiana, tanto più il sardo perderà la sua capacità e possibilità di essere lingua della polemica e della competizione politica.
Particolarmente avanzata per il periodo è la posizione dell’opuscolo Achille della sarda liberazione, composto durante i moti del 1793-96, che mostra appieno l’influsso dell’esperienza francese e delle concezioni politiche europee più avanzate.
Il Settecento
La
letteratura didascalica
Nella seconda metà del Settecento, sulla scia dell’illuminismo
europeo, prevale tra gli intellettuali sardi il sentimento della speranza e si
sente forte la necessità di armarsi in nome del desiderio di rinascita.
Nell’isola come nel resto d’Europa prende avvio un periodo di profondo rinnovamento. La letteratura didascalica è quella che meglio ne rappresenta le idealità e cerca di trasferirle in prose e versi che si misurano con problemi stilistici e intenzionalità artistiche
Nell’isola come nel resto d’Europa prende avvio un periodo di profondo rinnovamento. La letteratura didascalica è quella che meglio ne rappresenta le idealità e cerca di trasferirle in prose e versi che si misurano con problemi stilistici e intenzionalità artistiche
Tra i poeti didascalici spiccano in particolare due figure: quelle
dell’algherese Domenico Simon (1758-1829) e del cagliaritano Giuseppe Cossu (1739-1811). Quest’ultimo divenne
nel 1767 Segretario della Giunta dei monti frumentari, e nel 1770 Censore
generale.
Nel 1783 nacquero contemporaneamente i Monti di Soccorso e l’Azienda delle strade e ponti, strumenti dell’innovazione della Sardegna, nei quali Cossu ebbe un ruolo notevole.
Nel 1783 nacquero contemporaneamente i Monti di Soccorso e l’Azienda delle strade e ponti, strumenti dell’innovazione della Sardegna, nei quali Cossu ebbe un ruolo notevole.
Domenico Simon, allievo di Francesco Gemelli (uno dei professori arrivati
nell’Isola per innovare gli studi, autore di un discusso saggio
sull’agricoltura sarda, il Rifiorimento della Sardegna a cui rispose il
sassarese Andrea Manca dell’Arca (1716-1796) con la sua Agricoltura di Sardegna (1780),
fu aiutante del Cossu come vice-censore generale dei Monti granatici.
Cossu e Simon sono forse coloro che più di altri aderirono anche politicamente alle nuove idee illuministiche e all’esigenza di una razionalizzazione del sistema istituzionale, economico e sociale della Sardegna. Furono però fortemente inibiti dall’ottusità e dall’autoritarismo della corte sabauda.
Cossu e Simon sono forse coloro che più di altri aderirono anche politicamente alle nuove idee illuministiche e all’esigenza di una razionalizzazione del sistema istituzionale, economico e sociale della Sardegna. Furono però fortemente inibiti dall’ottusità e dall’autoritarismo della corte sabauda.
Il Settecento
La
letteratura didascalica
Il tema della coltivazione della terra diviene centrale in molte
opere del periodo, che vede una notevole fioritura della letteratura
didascalica.
Tra queste le opere del Carboni, del Purqueddu, del Simon, del Valle, del Cossu e del Manca dell’Arca.
Caratteristica comune era il desiderio di riscattare la Sardegna
dall’infelice condizione nella quale versa, ricercando nella personale capacità
progettuale la via del riscatto.
Il fenomeno si inserisce in un contesto sociale e culturale in cui
si diffonde una produzione manualistica, vere e proprie istruzioni per l’uso,
che costituiscono il retroterra indispensabile per spiegare lo sviluppo della
più elaborata scrittura didascalica.
Il fiorente filone didascalico, in prosa e in versi, testimonia l’adesione all’ideale illuministico della pubblica felicità, che passa attraverso il fondamentale diritto alla conoscenza.
Il fiorente filone didascalico, in prosa e in versi, testimonia l’adesione all’ideale illuministico della pubblica felicità, che passa attraverso il fondamentale diritto alla conoscenza.
Per il raggiungimento di un simile obiettivo, sono chiamati ad
operare tutti gli uomini di lettere. Si cerca di elaborare uno stile nuovo, che
attragga il lettore per guidarlo alla totale conoscenza della materia.
Dallo studio e dalla riflessione sulla realtà sarda emergono le
cause dei mali e i possibili rimedi: sono compilati saggi, memorie e relazioni.
Non manca il fondamentale contributo del clero, attraverso le omelie o le lettere pastorali tese ad informare la popolazione sulle nuove leggi o a spiegare come applicarle.
Numerosi ecclesiastici, dal vescovo di Cagliari fino ad alcuni parroci di piccoli villaggi, ebbero un ruolo fondamentale nell’informare le popolazioni sulle nuove leggi, nello spiegare come applicarle.
Non manca il fondamentale contributo del clero, attraverso le omelie o le lettere pastorali tese ad informare la popolazione sulle nuove leggi o a spiegare come applicarle.
Numerosi ecclesiastici, dal vescovo di Cagliari fino ad alcuni parroci di piccoli villaggi, ebbero un ruolo fondamentale nell’informare le popolazioni sulle nuove leggi, nello spiegare come applicarle.
Il Settecento
Andrea
Manca dell’Arca
L’agricoltura era argomento privilegiato sia dagli intellettuali
sardi che dai loro governanti piemontesi.
Il trattato Agricoltura di Sardegna di Andrea Manca dell’Arca è la
prima opera che affronta in maniera compiuta la problematica relativa alla
pratica agricola in Sardegna.
L’opera si distingue per:
L’opera si distingue per:
- l’informazione
tecnica ampia e precisa
- una
visione globale dei problemi isolani
- la
formulazione di un progetto complessivo
L’Agricoltura di Sardegna si organizza in varie parti
dedicate alle diverse specializzazioni dell’attività agraria:
- il grano
- la vite
- gli
alberi e gli arbusti
- le
colture orticole
- l’allevamento
del bestiame
L’intendimento dell’autore è quello di offrire uno strumento
operativo, il frutto dell’esperienza che gli deriva dal lungo contatto con il
mondo rurale sardo e dalla consuetudine con le teorie degli scrittori antichi e
moderni che si sono occupati d’agricoltura.
Il Settecento
Raimondo
Valle e Pietro Leo
I tonni
di Raimondo Valle non ha una vera finalità pedagogica,
ma illustra i momenti più suggestivi della vita dei tonni (gli amori) e della
loro morte (la mattanza).
Il suo inserimento fra gli autori didascalici non è comunque casuale: infatti, in alcune delle numerose note del testo poetico, il Valle identifica nella diversificazione e nella specializzazione delle attività economiche la via di salvezza dell’economia sarda.
Il suo inserimento fra gli autori didascalici non è comunque casuale: infatti, in alcune delle numerose note del testo poetico, il Valle identifica nella diversificazione e nella specializzazione delle attività economiche la via di salvezza dell’economia sarda.
Nel quadro del rinnovamento degli studi in atto nel Settecento
sardo assume una posizione di tutto rilievo la figura di Pietro Leo.
La sua opera Di alcuni antichi pregiudizi sulla così detta Sarda intemperie, e sulla malattia conosciuta con questo nome è una vera e propria lezione tenuta agli studenti dell’università di Cagliari in cui l’autore utilizza tutti gli elementi professionali di cui dispone per disegnare un progetto di futuro per la sua terra, prodigandosi contro la più grave malattia che affligge l’isola e l’ignoranza medica che le consente di mietere un numero sempre maggiore di vittime.
L’opera sull’intemperie è la testimonianza del graduale affermarsi di un pensiero scientifico moderno, di un pensiero che trae sostanza dall’analisi scientifica e dalla riflessione filosofica.
La sua opera Di alcuni antichi pregiudizi sulla così detta Sarda intemperie, e sulla malattia conosciuta con questo nome è una vera e propria lezione tenuta agli studenti dell’università di Cagliari in cui l’autore utilizza tutti gli elementi professionali di cui dispone per disegnare un progetto di futuro per la sua terra, prodigandosi contro la più grave malattia che affligge l’isola e l’ignoranza medica che le consente di mietere un numero sempre maggiore di vittime.
L’opera sull’intemperie è la testimonianza del graduale affermarsi di un pensiero scientifico moderno, di un pensiero che trae sostanza dall’analisi scientifica e dalla riflessione filosofica.
L’intera biografia del Leo è una conferma di questa tensione di
ricerca che non va disgiunta da una marcata passione civile: lo scienziato, il
medico, l’educatore e il politico capace di disegnare, partendo dagli elementi
professionali di cui dispone, un progetto di futuro per la sua terra.
In lui contemporaneamente coesistono e si integrano in una figura di scienziato ancora in gran parte da scoprire ma che già si mostra inserita in quel mondo di cultura e di progettualità politica al quale appartengono i letterati dei quali ci stiamo occupando.
In lui contemporaneamente coesistono e si integrano in una figura di scienziato ancora in gran parte da scoprire ma che già si mostra inserita in quel mondo di cultura e di progettualità politica al quale appartengono i letterati dei quali ci stiamo occupando.
Il Settecento
Francesco
Carboni
Francesco Carboni, ritenuto
il più grande poeta della letteratura sarda, parla invece
di malaria nell’opera De Sardoa intemperie.
Sacerdote gesuita, dopo la soppressione dell’ordine fu docente
dell’Università di Cagliari. Seguace dell’Angioy, conobbe la lingua e la
letteratura latina come pochi altri nella sua epoca, e fu notevolmente
apprezzato dal mondo culturale italiano.
La sua produzione comprende, diversi scritti didascalici, tra i quali La coltivazione della rosa (1776) e il De corallis (1779).
Certo, la sua attività di poeta didascalico non è comparabile, sul piano dei contenuti, con quella di Cossu o di Purqueddu. Né egli mira a un pubblico popolare da guidare nella progettazione di un futuro di riscatto.
La sua produzione comprende, diversi scritti didascalici, tra i quali La coltivazione della rosa (1776) e il De corallis (1779).
Certo, la sua attività di poeta didascalico non è comparabile, sul piano dei contenuti, con quella di Cossu o di Purqueddu. Né egli mira a un pubblico popolare da guidare nella progettazione di un futuro di riscatto.
Carboni è un letterato nel senso pieno dell’espressione, un dotto,
un latinista conosciuto e stimato che intrattiene relazione con gli ambienti
più esclusivi della cultura italiana.
La sua dottrina gli propone una visione del mondo alla quale è difficile sottrarsi, la concezione dell’attività letteraria come otium lo spinge a rinunciare a incarichi importanti e gli impedisce, del pari, di esprimere nella sua opera concezioni che pure sente di condividere e per le quali, sul piano politico, è pronto a rischiare.
La sua dottrina gli propone una visione del mondo alla quale è difficile sottrarsi, la concezione dell’attività letteraria come otium lo spinge a rinunciare a incarichi importanti e gli impedisce, del pari, di esprimere nella sua opera concezioni che pure sente di condividere e per le quali, sul piano politico, è pronto a rischiare.
Il Settecento
Gian
Andrea Massala
Pur non essendo un poeta didascalico, Gian Andrea Massala si inserisce a pieno titolo nel clima dell’epoca perché
con il suo Programma d’un giornale di varia letteratura ad uso de’ sardi (1807)
porta avanti il suo proposito di dar vita ad un ulteriore elemento di crescita
culturale, uno spazio appropriato al dibattito esistente in Sardegna.
I principi sui quali si fonda la letteratura didascalica sono
richiamati da Massala per proporre uno strumento nuovo e più duttile per la
diffusione delle idee e delle moderne concezioni scientifiche: il giornale
letterario.
Con lui si manifesta l’esigenza di dar vita a un capace di offrire spazio appropriato al dibattito esistente in Sardegna.
Con lui si manifesta l’esigenza di dar vita a un capace di offrire spazio appropriato al dibattito esistente in Sardegna.
Il Settecento
Giuseppe
Cossu
Funzionario del governo piemontese, Giuseppe Cossu dedicò ogni energia al piano di
riorganizzazione dei Monti predisposto dal conte Bogino. Con quello strumento
il governo piemontese intendeva porre rimedio alla miseria dei contadini privi
di capitali e quindi oppressi dall’usura, oltre che dal fisco.
I Monti, dotati i propri terreni sui quali gli agricoltori
avrebbero potuto lavorare gratuitamente, disponevano anche delle scorte
granarie da anticipare per la semina.
Ogni azione di Giuseppe Cossu, funzionario sabaudo, venne sorvegliata e guidata da Torino, censurata e respinta quando non conforme agli orientamenti impressi al processo di rifiorimento della corte piemontese.
Ogni azione di Giuseppe Cossu, funzionario sabaudo, venne sorvegliata e guidata da Torino, censurata e respinta quando non conforme agli orientamenti impressi al processo di rifiorimento della corte piemontese.
Cossu nutriva infinita fiducia nella possibilità di contribuire
attraverso una seria pianificazione economica, al risollevamento delle sorti
dell’isola e dei suoi abitanti.
Quando si accorse che la coltura granaria non avrebbe potuto, da sola, determinare un radicale risanamento delle condizioni economiche dell’isola, egli pensò alla possibilità di rifiorire che veniva offerta a tutta l’Europa (quindi, anche alla Sardegna) dalla coltura del gelso, dall’allevamento dei bachi da seta e dalla sua produzione.
Per diffondere le sue idee scrive, in sardo campidanese, La coltivazione de’ gelsi e propagazione de’ filugelli in Sardegna, un vero e proprio manuale di istruzioni per gli agricoltori.
Quando si accorse che la coltura granaria non avrebbe potuto, da sola, determinare un radicale risanamento delle condizioni economiche dell’isola, egli pensò alla possibilità di rifiorire che veniva offerta a tutta l’Europa (quindi, anche alla Sardegna) dalla coltura del gelso, dall’allevamento dei bachi da seta e dalla sua produzione.
Per diffondere le sue idee scrive, in sardo campidanese, La coltivazione de’ gelsi e propagazione de’ filugelli in Sardegna, un vero e proprio manuale di istruzioni per gli agricoltori.
Il Settecento
Giuseppe
Cossu
Cossu è il primo teorizzatore della sinergia: egli riteneva
infatti che, per la creazione di una nuova società, il letterato, o comunque
chiunque avesse avuto la possibilità di studiare o di viaggiare, dovesse
collaborare con chi lavora i campi, aggiornandolo sulle nuove tecniche agricole
per trarre così dalla terra il maggior rendimento possibile.
Della riflessione sui problemi economici della Sardegna,
esercitata lungo tutto l’arco di un’esistenza operosa, rimangono molteplici
documenti. In primo luogo gli scritti d’ufficio, le relazioni, le istruzioni
sempre precise, dettagliate, non di rado ricche di riflessioni originali; e poi
le numerose opere composte per la pubblicazione:
- 1787, Discorso
sopra i vantaggi che si possono trarre dalle pecore sarde
- 1788-1789,
La coltivazione dei gelsi
- sempre
nel 1789 la Istruzione olearia e i Pensieri sulla moneta
papiracea, Del cotone arboreo e il Metodo per distruggere le
cavallette
- 1790, Saggio
sul commercio della Sardegna
Cossu scrisse anche opere di carattere geografico sulle città di
Cagliari e di Sassari e una Descrizione geografica della Sardegna.
A differenza di Purqueddu, Cossu rinuncia a scrivere in versi. È una scelta importante: prosa, anziché poesia, significa chiaramente la volontà di raggiungere, con uno strumento realmente accessibile, un pubblico non avvezzo alla lettura di componimenti letterari.
Al di là delle scarse qualità letterarie, il lavoro del Cossu si segnala per l’orizzonte ideale al cui interno si muove, per l’enorme fiducia nelle possibilità dell’educazione, della discussione che affronta tutti i problemi e dalla quale ogni dubbio viene sciolto; per la convinzione, tutta illuministica, che l’umanità sia giunta a una svolta: da quel punto in avanti i lumi rischiareranno la strada degli uomini che vanno verso la civiltà e il progresso.
Le opere del Cossu, come più in generale l’intera produzione didascalico-scientifica, testimoniano dello sforzo compiuto dalla classe dirigente e intellettuale sarda, nella seconda metà del Settecento, per strappare il paese all’arretratezza e all’isolamento.
A differenza di Purqueddu, Cossu rinuncia a scrivere in versi. È una scelta importante: prosa, anziché poesia, significa chiaramente la volontà di raggiungere, con uno strumento realmente accessibile, un pubblico non avvezzo alla lettura di componimenti letterari.
Al di là delle scarse qualità letterarie, il lavoro del Cossu si segnala per l’orizzonte ideale al cui interno si muove, per l’enorme fiducia nelle possibilità dell’educazione, della discussione che affronta tutti i problemi e dalla quale ogni dubbio viene sciolto; per la convinzione, tutta illuministica, che l’umanità sia giunta a una svolta: da quel punto in avanti i lumi rischiareranno la strada degli uomini che vanno verso la civiltà e il progresso.
Le opere del Cossu, come più in generale l’intera produzione didascalico-scientifica, testimoniano dello sforzo compiuto dalla classe dirigente e intellettuale sarda, nella seconda metà del Settecento, per strappare il paese all’arretratezza e all’isolamento.
Il Settecento
Il
pensiero filosofico e politico
Il nome di Giovanni Maria Dettori,teologo e scrittore, è legato ad
un’accesa disputa teologica. Sospettato di liberalismo, pagò con la perdita
della cattedra la fedeltà alle sue convinzioni. Egli si meritò una lode del
Gioberti nel Primato civile e morale degli italiani (VIII,5).
Un altro personaggio la cui fama varcò i confini della regione, è Domenico Alberto Azuni (1749-1827).
Egli è uno dei protagonisti del dibattito del periodo. Studioso di diritto, autore del Droit maritime de l’Europe (1805) e, tra l’altro, dell’Histoire géographique, politique et naturelle de la Sardaigne, Azuni appartiene alla generazione cresciuta nell’università rinnovata e la sua opera mostra tracce evidenti sia della qualità degli studi compiuti sia della vastità dell’orizzonte indagato. Benché si mantenga su posizioni di condanna rispetto alle punte più avanzate della filosofia contemporanea, nella sua opera traspare la sua volontà riformatrice, che è espressa come necessità di inserire la Sardegna nel contesto europeo attraverso la razionalizzazione dei vari settori della vita dello stato e il miglioramento dei rapporti economici e culturale tra i diversi stati.
Egli è uno dei protagonisti del dibattito del periodo. Studioso di diritto, autore del Droit maritime de l’Europe (1805) e, tra l’altro, dell’Histoire géographique, politique et naturelle de la Sardaigne, Azuni appartiene alla generazione cresciuta nell’università rinnovata e la sua opera mostra tracce evidenti sia della qualità degli studi compiuti sia della vastità dell’orizzonte indagato. Benché si mantenga su posizioni di condanna rispetto alle punte più avanzate della filosofia contemporanea, nella sua opera traspare la sua volontà riformatrice, che è espressa come necessità di inserire la Sardegna nel contesto europeo attraverso la razionalizzazione dei vari settori della vita dello stato e il miglioramento dei rapporti economici e culturale tra i diversi stati.
Il Settecento si chiude placidamente tra melodrammi, arcadi e
sarcasmi cittadini; si chiude, invece, coi tragici strascici di una rivoluzione
fallita, durata quasi tre anni (1793-1796).
Nell’epoca rivoluzionaria tanto il sardo quanto l’italiano escono dagli argini controllati delle gerarchie linguistiche e dei generi letterari, per irrompere con una rinnovata vitalità nell’agone politico. Sono infatti, in italiano e in sardo, rispettivamente l’Achille della sarda rivoluzione e l’inno Su patriotu sardu a sos feudatarios di Francesco Ignazio Mannu entrambi elaborati negli ambienti democratici isolani, influenzati dalla cultura francese e dallo spirito rivoluzionario d’oltralpe.
Nell’epoca rivoluzionaria tanto il sardo quanto l’italiano escono dagli argini controllati delle gerarchie linguistiche e dei generi letterari, per irrompere con una rinnovata vitalità nell’agone politico. Sono infatti, in italiano e in sardo, rispettivamente l’Achille della sarda rivoluzione e l’inno Su patriotu sardu a sos feudatarios di Francesco Ignazio Mannu entrambi elaborati negli ambienti democratici isolani, influenzati dalla cultura francese e dallo spirito rivoluzionario d’oltralpe.
Ma in italiano è anche La storia de’ torbidi, analisi
storico-politica della rivoluzione sarda elaborata, a posteriori, negli
ambienti reazionari vicini alla corte. A margine di queste opere, occorre
citare l’Autobiografia di Vincenzo Sulis (1758-1834) – recentemente riedita da Giuseppe
Marci – il capopopolo cagliaritano,
protagonista degli anni 1793-1799, esiliato, dopo ventuno anni di carcere,
nell’isola della Maddalena.
I testi riflettono ovviamente la diglossia vigente, ma anche mostrano quanto le strategie rivoluzionarie intendessero dirigere la propaganda sia verso le classi dirigenti – nessun mutamento in Sardegna è mai partito dal basso – sia verso i contadini e i piccoli proprietari dei centri rurali, ostili alla vigenza del sistema feudale.
I testi riflettono ovviamente la diglossia vigente, ma anche mostrano quanto le strategie rivoluzionarie intendessero dirigere la propaganda sia verso le classi dirigenti – nessun mutamento in Sardegna è mai partito dal basso – sia verso i contadini e i piccoli proprietari dei centri rurali, ostili alla vigenza del sistema feudale.
L'Ottocento
Eventi
storici
L'Ottocento sardo si apre sotto il segno della dura repressione
dei moti angioiani, del clima della restaurazione e della presenza della corte
sabauda a Cagliari dal 1799 al 1816, la quale, se da un lato provocò un aumento
del già oneroso carico fiscale gravante sui sardi, dall'altra vivacizzò la vita
culturale cagliaritana, stimolando spettacoli e una letteratura encomiastica
che oggi è difficile apprezzare per il suo carattere smaccatamente codino.
D'altra parte è innegabile che continui in questo secolo il processo di lenta
modernizzazione dell'Isola, attraverso la costruzione di una nuova rete viaria
e ferroviaria, attraverso l'operato della Reale Società Agraria ed Economica.
Dopo esserne stati cacciati nel 1794, i piemontesi tornavano in Sardegna quando il processo di normalizzazione già si era concluso.
I moti antipiemontesi e antifeudali erano falliti, segnando la fine di ogni aspirazione autonomista. La restaurazione fu favorita dai nuovi rapporti con la monarchia della nobiltà sarda.
La situazione era triste:
- carestie
ricorrenti
- oppressione
fiscale
- incursioni
barbaresche frequenti
- soggezione
a nuove norme che violano consuetudini ben radicate
Tra i pochi segnali positivi:
- la
fondazione della Reale Società Agraria ed Economica
- l’istituzione
delle scuole primarie in tutti i villaggi (1823)
- lo
stabilimento delle condotte mediche nei centri minori (1827)
- la
diffusione, a partire dal 1828, della vaccinazione antivaiolo
- il
completamento della strada Carlo Felice che congiunge Cagliari con Porto
Torres (1829)
Questa condizione spinge a riflettere sulle condizioni in cui
versa la patria sarda, studiare i mali e i possibili rimedi, formulare
proposte. Gli intellettuali sardi, stimolati anche dallo “sguardo esterno”
sull’isola dei numerosi viaggiatori e osservatori, avviano un intenso lavoro di
ricostruzione della storia della Sardegna.
L'Ottocento
L’interesse
per la storia
L’interesse storico, che non era mai mancato, ora si fa più
compiuto, avviando una nuova storiografia.
In Europa l’Ottocento è il secolo delle grandi opere sistematiche,
delle monumentali storie nazionali e delle corpose storie della letteratura,
che avevano la funzione di tracciare una sorta di autoritratto nel quale le
singole nazioni potessero riconoscersi, specchiandosi in quelle caratteristiche
che giudicavano essere la componente essenziale della loro immagine.
Il fenomeno riguarda anche la Sardegna, che esprime i nomi di Giuseppe
Manno, di Pasquale Tola, di Pietro Martini, di Giovanni
Spano, di Giovanni Siotto Pintor, di Vittorio Angius, di Ludovico
e Faustino Cesare Baille.
I limiti di questi studi, secondo Manlio Brigaglia, sono:
- l’utilizzo
di una strumentazione scientifica ancora inadeguata
- la
mancanza della consapevolezza dell’esistenza di una questione sarda, che
talvolta porta alla elaborazione di opere che hanno solo valore
documentario.
Fu questo il secolo nel quale il ceto
di intellettuali formatisi nel Settecento cominciò a svolgere un'intensa e
proficua attività. D'altra parte la ricerca storico-erudita e quella
letteraria, nelle quali molti si cimentarono, non furono per alcuni solo esiti
"naturali" di processi formativi svoltisi nel clima illuministico e
romantico. Furono anche àmbiti obbligati dell'impegno civile e culturale nel contesto
repressivo della Restaurazione. Per altri, per quelli cioè più integrati nel
sistema sabaudo, la ricerca storica fu anche un'ulteriore strumento di
integrazione nazionale ed europea.
Due tensioni etiche si avvertono nell'intera produzione
scientifica e letteraria del tempo:
- da una
parte la forte esigenza dell'integrazione reale nella cultura e nel
sistema politico nazionale (ne è buon esempio la richiesta di abolizione
del Regno di Sardegna e di fusione dell'Isola con gli stati di terraferma,
avanzata dagli Stamenti isolani nel 1848);
- dall'altra,
sull'onda dello storicismo romantico, l'ansia di una reale e puntuale
conoscenza della Sardegna e della sua storia. Si ricordi, per esempio, che
le prime carte geografiche non falsificate per compiacere i sovrani (ossia
senza che vi fossero indicate come esistenti le infrastrutture
semplicemente programmate dalla corona) sono proprio di questo secolo,
come pure la realizzazione del catasto.
L'Ottocento
Letteratura
in sardo e letteratura in italiano
La spinta all’integrazione spiega anche i rapporti tra la
letteratura in lingua sarda e quella in lingua italiana.
Intanto si registra una specializzazione sul fronte dei generi:
- il sardo
per la poesia (più diffusa nel mondo rurale e diretta ad un pubblico
cantonale e più vicino all’area di appartenenza del poeta)
- l’italiano
per la prosa (prerogativa dei poli urbani)
Nel mondo rurale cominciano ad affermarsi come autori, oltre ai
religiosi, i borghesi e i popolani.
Dal punto di vista del linguaggio artistico e letterario il
Neoclassicismo di importazione piemontese tende ad assolvere un compito
unificante della società sarda con quella continentale, con contrassegni di
neutralità politica.
I maggiori centri sardi cedono inizialmente a questa
sollecitazione. Ma saranno proprio gli artisti, i pittori e soprattutto i
poeti, a farsi promotori di una riappropriazione critica dellla propria storia
e della propria lingua.
Entrano in tensione dialettica, non sempre criticamente
consapevole, due tendenze:
- la prima
tesa a salvaguardare l'autenticità e l'originalità della tradizione
isolana che trovò nel paesaggio la migliore metafora ideologica;
- la
seconda, difesa dai ceti urbani, che spinse nella direzione
dell'integrazione e dell'equiparazione della Sardegna nell'orizzonte
nazionale ed europeo, avvertito come orizzonte di civiltà e modernità al
quale potevano e dovevano essere sacrificate alcune peculiarità della
Sardegna perché arcaiche e ostili ontologicamente al progresso e al
mutamento.
L'Ottocento
La
storiografia e l’indagine sulla lingua
Nel clima di
grande interesse per la storia mosso dal bisogno di ricostruire e interpretare
la vita di una terra, si inserisce l’opera degli storici dell’Ottocento.
Le grandi
figure che caratterizzano il secolo sono:
- Giuseppe
Manno
(1786-1868)
- Pasquale
Tola
(1800-1874)
- Giovanni
Spano
(1803-1878)
- Giovanni
Siotto Pintor (1805-1882)
- Pietro
Martini
(1800-1866)
- Francesco
Sulis
(1817-1877)
- Vittorio
Angius
(1797-1862), figura particolarissima del panorama isolano
L'Ottocento
Giuseppe
Manno
Con la Storia
di Sardegna (pubblicata fra il 1825 e il 1827) e con la successiva Storia
moderna della Sardegna dall’anno 1773 al 1799 (1842), Giuseppe Manno
può essere considerato il fondatore della storiografia sarda moderna. La sua
opera risente di una visione politica del tutto ossequiente nei confronti del
sovrano sabaudo: caratteristica che influisce in termini negativi sul racconto
storico.
Dopo essersi
formato ad Alghero, sua città natale, si recò a Cagliari dove si laureò in utroque
iure e ricoprì diversi incarichi presso la Reale udienza.
Durante il soggiorno a Cagliari della corte sabauda entrò in contatto con il duca del Genevese, futuro re Carlo Felice, di cui fu segretario privato e attraverso il quale entrò in contatto e si affermò nell'ambiente torinese. Dopo la Restaurazione si trasferì nel capoluogo piemontese. Fu segretario per gli affari di Sardegna (1817), ministro per gli affari interni per la Sardegna (1821), consigliere della Corona e consigliere nel Supremo consiglio di Sardegna (1823).Carlo Alberto lo nominò barone. Nel 1847 divenne Presidente del Senato piemontese e nel 1855 rifiutò la nomina a Presidente del Consiglio. Scrisse la Storia della Sardegna, in quattro volumi, pubblicata a Torino nel triennio 1825-'27, che ricostruisce la storia dell'Isola dai primi mitici abitatori fino al 1773.
Durante il soggiorno a Cagliari della corte sabauda entrò in contatto con il duca del Genevese, futuro re Carlo Felice, di cui fu segretario privato e attraverso il quale entrò in contatto e si affermò nell'ambiente torinese. Dopo la Restaurazione si trasferì nel capoluogo piemontese. Fu segretario per gli affari di Sardegna (1817), ministro per gli affari interni per la Sardegna (1821), consigliere della Corona e consigliere nel Supremo consiglio di Sardegna (1823).Carlo Alberto lo nominò barone. Nel 1847 divenne Presidente del Senato piemontese e nel 1855 rifiutò la nomina a Presidente del Consiglio. Scrisse la Storia della Sardegna, in quattro volumi, pubblicata a Torino nel triennio 1825-'27, che ricostruisce la storia dell'Isola dai primi mitici abitatori fino al 1773.
Per i secoli
precedenti il dominio sabaudo, Manno attinge largamente, rielaborandoli, agli
storici rinascimentali e seicenteschi che lo avevano preceduto. Per il periodo
sabaudo, invece, attinge direttamente a fonti ad altri sconosciute o pressoché
inaccessibili.
Egli esalta i momenti di prossimità della storia dell'isola alle vicende politiche italiane e censura i momenti di inclusione della Sardegna nell'orbita ispanica. È un'impostazione che farà scuola e attraverso la quale passerà l'esaltazione romantica dell'età giudicale e la condanna dell'età aragonese e spagnola. In questo quadro, l'età sabauda è ovviamente celebrata come un rinnovato ingresso della Sardegna nella civiltà e nel progresso. Nel 1852 pubblicò la Storia moderna della Sardegna dall'anno 1733 al 1799, ricostruzione storica delle vicende rivoluzionarie sarde, condotta dal punto di vista di un conservatore, quale egli era, ma dalla quale traspare anche una naturale tendenza etica del Manno a ritenere la lotta politica fortemente motivata sul piano ideale come un fatto sovversivo per l'ordine e la giustizia. L'immagine che egli ci restituisce di Angioy e della sua gente è sì rispettosa del valore dell'uomo, ma totalmente incapace di comprenderne la politica.
Egli esalta i momenti di prossimità della storia dell'isola alle vicende politiche italiane e censura i momenti di inclusione della Sardegna nell'orbita ispanica. È un'impostazione che farà scuola e attraverso la quale passerà l'esaltazione romantica dell'età giudicale e la condanna dell'età aragonese e spagnola. In questo quadro, l'età sabauda è ovviamente celebrata come un rinnovato ingresso della Sardegna nella civiltà e nel progresso. Nel 1852 pubblicò la Storia moderna della Sardegna dall'anno 1733 al 1799, ricostruzione storica delle vicende rivoluzionarie sarde, condotta dal punto di vista di un conservatore, quale egli era, ma dalla quale traspare anche una naturale tendenza etica del Manno a ritenere la lotta politica fortemente motivata sul piano ideale come un fatto sovversivo per l'ordine e la giustizia. L'immagine che egli ci restituisce di Angioy e della sua gente è sì rispettosa del valore dell'uomo, ma totalmente incapace di comprenderne la politica.
L'Ottocento
Pasquale
Tola
Pasquale Tola è
l’autore del Dizionario biografico degli uomini illustri di Sardegna e
del Codex diplomaticus Sardiniae (1861-1868).
Il Dizionario nasce dal bisogno di confutare le accuse pronunciate da quanti chiamarono la Sardegna "barbara e inculta", per lo più senza conoscerla.
Nonostante la tendenza di Tola ad ammirare tutto quanto è sardo, il Dizionario è considerato ancora oggi un'insostituibile fonte di ricerca per gli storici.
Il Codex diplomaticus Sardiniae è invece la prima colossale raccolta delle fonti della storia isolana.
Tola, il cui fratello Efisio fu fucilato come mazziniano a Chambery nel 1833, fu certamente sorretto da un rigore etico notevole che lo rese, rispetto al Manno, più acuto nelle analisi degli uomini e delle vicende.
Il Dizionario nasce dal bisogno di confutare le accuse pronunciate da quanti chiamarono la Sardegna "barbara e inculta", per lo più senza conoscerla.
Nonostante la tendenza di Tola ad ammirare tutto quanto è sardo, il Dizionario è considerato ancora oggi un'insostituibile fonte di ricerca per gli storici.
Il Codex diplomaticus Sardiniae è invece la prima colossale raccolta delle fonti della storia isolana.
Tola, il cui fratello Efisio fu fucilato come mazziniano a Chambery nel 1833, fu certamente sorretto da un rigore etico notevole che lo rese, rispetto al Manno, più acuto nelle analisi degli uomini e delle vicende.
Sassarese,
magistrato, Tola fu consigliere della Corte d'Appello e Preside dell'Università
di Sassari.
Fu ingiustamente destituito da entrambe le cariche per ragioni politiche (infuriava la polemica tra liberali e conservatori). Con lui, più che col Barone Manno, i sardi hanno contratto un debito di riconoscenza per aver egli composto il Codex Diplomaticus Sardiniae, a tuttoggi l'unico repertorio di fonti storiche della Sardegna, in due volumi, giacché il terzo giace ancora manoscritto nella Biblioteca dell'Università di Sassari.
Fu ingiustamente destituito da entrambe le cariche per ragioni politiche (infuriava la polemica tra liberali e conservatori). Con lui, più che col Barone Manno, i sardi hanno contratto un debito di riconoscenza per aver egli composto il Codex Diplomaticus Sardiniae, a tuttoggi l'unico repertorio di fonti storiche della Sardegna, in due volumi, giacché il terzo giace ancora manoscritto nella Biblioteca dell'Università di Sassari.
L'Ottocento
Martini
e Siotto Pintor
Un tentativo
analogo a quello di Tola fece Pietro Martini con la sua Biografia sarda,
ma si limitò a sole 159 schede basate quasi esclusivamente sulle fonti
reperibili a Cagliari. Per il resto, l'opera del Martini, fu segnata
indelebilmente dall'essere egli la vera vittima dei Falsi d'Arborea; vi
credette più di altri (si pensi allo Spano e all'Angius) e su quelle carte
false spese l'ultimo ventennio della sua vita. Morì prima che Mommsen e gli
altri membri di una commissione nominata dall'Accademia di Berlino li
dichiarassero falsi.
Giovanni
Siotto-Pintor, magistrato e deputato al Parlamento, si dedicò alla storiografia
letteraria.
È autore della Storia letteraria di Sardegna (1843-1844), inficiata dal suo essere esageratamente filopiemontese (e antispagnolo).
Il suo italianismo lo porterà negli anni successivi a farsi tra i più convinti fautori della cosiddetta fusione, posizione che dovette poi rivedere per passare ad una linea autonomista. Nonostante i limiti, la Storia letteraria di Sardegna ha ancora il merito di offrire al lettore una straordinaria quantità di materiali, per altro organizzati con una certa sapienza.
È autore della Storia letteraria di Sardegna (1843-1844), inficiata dal suo essere esageratamente filopiemontese (e antispagnolo).
Il suo italianismo lo porterà negli anni successivi a farsi tra i più convinti fautori della cosiddetta fusione, posizione che dovette poi rivedere per passare ad una linea autonomista. Nonostante i limiti, la Storia letteraria di Sardegna ha ancora il merito di offrire al lettore una straordinaria quantità di materiali, per altro organizzati con una certa sapienza.
L'Ottocento
Giovanni
Spano
La passione
per la storia sarda coinvolse anche il canonico Giovanni Spano, e lo indusse a farsi archeologo,
storico, filosofo, linguista, letterato, numismatico, storico dell'arte,
studioso di tradizioni popolari. Sorretto da una passione erudita più che
guidato da un metodo rigoroso (non a caso incappò, sia pure marginalmente,
nell'adesione all'autenticità dei Falsi d'Arborea), è pervenuto a scoperte che
sono considerate fondamentali per l'archeologia sarda, tanto da esserne
considerato l'iniziatore e il padre.
Il suo sterminato lavoro di studioso è stato in parte raccolto nel Bullettino archeologico sardo.
Il suo sterminato lavoro di studioso è stato in parte raccolto nel Bullettino archeologico sardo.
Ai suoi
interessi di filologo e di linguista si devono la fondamentale Grammatica
logudorese e il Vocabolario sardo-italiano. Quest'ultimo venne
elaborato non attraverso un'inchiesta linguistica sul campo, ma attraverso un'intensa
attività epistolare con i parroci dei vari paesi che venivano interrogati sul
significato di un termine o sul nome di una determinata cosa nella loro area.
Ciò spiega perché il dizionario dello Spano sia povero di fraseologia.
Un suo libretto, pubblicato a puntate da Enrico Costa sulla Stella di Sardegna meriterebbe ancora oggi un'attenta lettura. Si tratta dell'Iniziazione ai miei studi, una sorta di biografia intellettuale dalle prime scuole fino agli studi universitari. Vi si trova la dialettica, tragica e purtroppo paradigmatica per tanti sardi, tra la cultura ufficiale dello Stato e quella di appartenenza appresa nella famiglia e nel proprio ambiente. Come pure si ha un saggio della pedagogia della sferza con cui in pieno Ottocento si pretendeva di guidare l'apprendimento e l'educazione.
Un suo libretto, pubblicato a puntate da Enrico Costa sulla Stella di Sardegna meriterebbe ancora oggi un'attenta lettura. Si tratta dell'Iniziazione ai miei studi, una sorta di biografia intellettuale dalle prime scuole fino agli studi universitari. Vi si trova la dialettica, tragica e purtroppo paradigmatica per tanti sardi, tra la cultura ufficiale dello Stato e quella di appartenenza appresa nella famiglia e nel proprio ambiente. Come pure si ha un saggio della pedagogia della sferza con cui in pieno Ottocento si pretendeva di guidare l'apprendimento e l'educazione.
L'Ottocento
Raimondo
Vincenzo Porru
Di gran lunga superiore per progetto e realizzazione a quello
dello Spano fu il Nou dizionariu sardu-italianu di Raimondo Vincenzo Porru, pubblicato nel 1832.
Insegnante, Porru fu anche assistente nella Biblioteca Universitaria di Cagliari e Prefetto del Collegio di Filosofia e belle arti dell'Ateneo Cagliaritano.
Il suo dizionario nasce da competenze linguistiche più raffinate di quelle dello Spano, da un'indagine sul campo durata venticinque anni e che fu preceduta dal Saggio di grammatica del dialetto sardo meridionale pubblicato nel 1811. La ricchezza di fraseologia e di esemplificazione del dizionario del Porru furono elogiate anche dal maestro degli studi di linguistica sarda, Max Leopold Wagner.
Insegnante, Porru fu anche assistente nella Biblioteca Universitaria di Cagliari e Prefetto del Collegio di Filosofia e belle arti dell'Ateneo Cagliaritano.
Il suo dizionario nasce da competenze linguistiche più raffinate di quelle dello Spano, da un'indagine sul campo durata venticinque anni e che fu preceduta dal Saggio di grammatica del dialetto sardo meridionale pubblicato nel 1811. La ricchezza di fraseologia e di esemplificazione del dizionario del Porru furono elogiate anche dal maestro degli studi di linguistica sarda, Max Leopold Wagner.
Rientrano in un orientamento teso al recupero della storia e della
storia culturale anche le ricerche di Ludovico Baille e del fratello Faustino
Cesare, di Salvator Angelo De Castro, di Pietro Amat di San
Filippo e di Filippo Vivanet.
Nei primi decenni del secolo il bisogno di conoscenza cominciava a
manifestarsi vigorosamente anche nell’indagine scientifica e nella compilazione
dei dizionari della lingua sarda.
L'Ottocento
Il
dibattito politico
Il panorama della Sardegna nella prima metà dell’Ottocento è
desolante a causa di diversi fattori, quali:
- incursioni
barbaresche
- mancanza
di porti e precarietà delle comunicazioni interne
- malaria,
spopolamento delle campagne
- inadeguatezza
dei mezzi di trasporto
- devastazioni
derivanti dagli incendi e perdita del manto forestale
- pressione
della pastorizia, agricoltura in bilico tra arcaismi e innovazioni
- complessità
delle situazioni che si determinano con l’abolizione del feudalesimo e
l’introduzione della proprietà perfetta della terra
La perfetta fusione del 1847 sembra aggravare questo
quadro generale, dato che annulla i già instabili assetti costituzionali.
Nonostante questa grave situazione, e forse proprio per reazione ad essa, si
manifesta una notevole energia intellettuale e cresce un dibattito si esprime
soprattutto sulle questioni filosofiche e giuridiche, politiche e
istituzionali, talvolta con preciso riferimento alla tematica sarda, talaltra
su piani speculativi più ampi e, per così dire, universali.
L'Ottocento
Asproni
e Tuveri
In seguito
alla fusione cresce il dibattito sulle tematiche politiche e sugli assetti
istituzionali, e prende nuovo vigore la progettazione delle ipotesi concernenti
il rapporto fra la Sardegna e il Piemonte.
Sul piano nazionale, intanto, si sviluppava una riflessione sulla forma del nuovo stato, che aveva per protagonisti il Mazzini, il Cattaneo e il Gioberti.
Sul piano nazionale, intanto, si sviluppava una riflessione sulla forma del nuovo stato, che aveva per protagonisti il Mazzini, il Cattaneo e il Gioberti.
In questa
clima si colloca l’azione politica e l’opera di Giorgio Asproni e di Giovan
Battista Tuveri, che hanno entrambi il merito di inserire le problematiche
dell'isola all’interno di una prospettiva nazionale.
Giorgio Asproni deputato al Parlamento per molte
legislature, schierato con la Sinistra, condivide i princìpi del federalismo
autonomista di Cattaneo.
Asproni è autore di numerosi scritti politici e di un Diario che abbraccia gli anni compresi tra il 1855 e il 1876. Il Diario, oltre a rappresentare un importante documento autobiografico di un rappresentante del Parlamento, è una testimonianza diretta del periodo dell’unificazione, utile anche nella ricostruzione e comprensione della questione sarda.
Asproni è autore di numerosi scritti politici e di un Diario che abbraccia gli anni compresi tra il 1855 e il 1876. Il Diario, oltre a rappresentare un importante documento autobiografico di un rappresentante del Parlamento, è una testimonianza diretta del periodo dell’unificazione, utile anche nella ricostruzione e comprensione della questione sarda.
Anche Giovanni
Battista Tuveri, repubblicano e federalista, fu deputato al Parlamento e autore
di scritti politici. Tra questi va principalmente ricordato Del diritto
dell’uomo alla distruzione dei cattivi governi. Trattato teologico filosofico
(1851), in cui espone la sua concezione dello stato federalista, dove il popolo
è sovrano e dove la religione, tornata al cristianesimo evangelico, si concilia
con la libertà.
L'Ottocento
L’attività
pubblicistica
Nell’Ottocento si avvia una nuova stagione per il giornalismo
sardo, che compie notevoli sforzi per affermare se stesso vincendo difficoltà e
condizionamenti.
Un semplice elenco di titoli, di nomi di direttori e di collaboratori può dare un’idea dell’ampiezza e della tenacia che segnano le iniziative pubblicistiche.
Sul piano generale dell’informazione vanno ricordati:
Un semplice elenco di titoli, di nomi di direttori e di collaboratori può dare un’idea dell’ampiezza e della tenacia che segnano le iniziative pubblicistiche.
Sul piano generale dell’informazione vanno ricordati:
- il Giornale
di Cagliari, (1827-1829) di Stanislao Caboni
- l’Indicatore
sardo (1832- 1852), diretto da Pietro Martini
- la Biblioteca
sarda (1838-1839), diretta da Vittorio Angius
- il Promotore
(1840), diretto da Francesco Sulis
- la Gazzetta
popolare (1850-1868)
- la Gazzetta
di Sardegna (1852)
- L’Eco
della Sardegna (1852)
di Stefano Sampol Gandolfo
- l’Avvisatore
sardo (1862-1877)
- il Corriere
di Sardegna (1864-1879)
- La
Cronaca
(1866-1871), rivista settimanale
- Il
Giornale di Sardegna,
(1896-1899)
- l’Avvenire
di Sardegna (1871-1893)
Nei primi
giornali e nelle prime riviste prevale il dibattito politico, ma non mancano
anche segnalazioni, schede e spunti critici sulla letteratura contemporanea.
Si inizia con Il
Giornale di Cagliari (1827-29) promosso dal magistrato cagliaritano Stanislao Caboni
(1795-1880). Si prosegue col filogovernativo L'indicatore sardo
(1832-52), promosso e diretto da Pietro Martini
e dai suoi fratelli. A quest'ultimo rispose sul versante cosiddetto
progressista Il Promotore (1840) (il nome non è casuale) promosso e
diretto da Francesco Sulis,
molto attento ai temi e ai problemi letterari, che venne entusiasticamente
sostenuto dal Siotto Pintor,
ma che dovette interrompere le sue pubblicazioni dopo l'ottavo numero.
Francesco Sulis, giurista, docente universitario,
deputato di sinistra nel parlamento subalpino e poi in quello nazionale, fu
anche autore dei Moti politici dell'isola di Sardegna. Narrazioni
storiche (1858), testo attraverso il quale cominciò l'opera di revisione
del giudizio negativo della rivoluzione angioiana.
Il quadro
delle riviste della prima metà del secolo è completato dalla Biblioteca
sarda (1838-39) diretta da Vittorio Angius
e dalla Meteora (1842-45) diretto dal cagliaritano Gavino Nino
(1813-86), che aveva tra i suoi redattori il canonico giobertiano, oristanese, Salvator
Angelo De Castro (1817-80) e lo stesso Siotto Pintor.
Le riviste
della seconda metà dell'Ottocento hanno meno vocazione politica e maggiore
specializzazione culturale rispetto a quelle della prima metà del secolo.
Esse sono spesso il luogo di incontro dei letterati e degli uomini di cultura isolani con quelli della penisola, nel contesto di una maggiore integrazione e di partecipazione alla vita nazionale che caratterizza la fine del secolo. In questo senso il ruolo principale fu svolto dalla Farfalla di Angelo Sommaruga che ebbe vita breve (1876-77), ma che in Sardegna fu uno specchio delle avanguardie veriste e scapigliate nazionali. Con il trasferimento del suo fondatore da Cagliari a Milano (era impiegato della dogana) La Farfalla cessò le pubblicazioni.
Esse sono spesso il luogo di incontro dei letterati e degli uomini di cultura isolani con quelli della penisola, nel contesto di una maggiore integrazione e di partecipazione alla vita nazionale che caratterizza la fine del secolo. In questo senso il ruolo principale fu svolto dalla Farfalla di Angelo Sommaruga che ebbe vita breve (1876-77), ma che in Sardegna fu uno specchio delle avanguardie veriste e scapigliate nazionali. Con il trasferimento del suo fondatore da Cagliari a Milano (era impiegato della dogana) La Farfalla cessò le pubblicazioni.
Le altre due
riviste di rilievo furono La stella di Sardegna (1875-76) diretta da Enrico Costa, che fu la più longeva, e Vita
sarda che venne pubblicata a Cagliari dal 1891 al 1893. Entrambe furono sia
palestre di confronto per i nuovi autori sardi che strumenti di formazione per
i non numerosi lettori.
Tra i padri
del giornalismo letterario isolano spiccano i nomi di:
- Antonio Scano che diede vita a periodici quali La Gioventù sarda (1876),
Vita di pensiero (1878), Serate letterarie (1882), L’avvenire
di Sardegna della domenica (1884), Vita sarda (1891), su cui
comparvero degli scritti giovanili di Grazia Deledda;
- Enrico
Costa, che
fondò La Stella di Sardegna (1875-79 e poi 1885-86) e la diresse
con Antonio Scano;
- Luigi
Falchi che
diresse Nella terra dei nuraghes (1892-94), Sardegna artistica
(1893) e, varcata la soglia del Novecento, La Sardegna letteraria (1902).
L'Ottocento
La
poesia popolare
La riscoperta
della Sardegna non ebbe come oggetto solo il suo territorio e la sua
storia, ma anche le sue tradizioni e la poesia popolare.
L'interesse
nasceva dalla convinzione che dallo studio di questo tipo di produzioni si
potessero ricavare indicazioni utili per conoscere lo "spirito" del
popolo, i suoi valori e le sue debolezze. In Sardegna quel che appare, almeno
nel titolo, il primo esempio di raccolta di testi popolari è l'opera
dell'avvocato sassarese, poi deputato di Cagliari, Giuseppe Pasella che pubblicò nel 1833 i Canti
popolari della Sardegna. Pasella gravitava nell'ambiente conservatore dell'Indicatore
sardo e ciò non è ininfluente rispetto alla valutazione della sua opera.
Infatti egli non raccolse né testi provenienti dal popolo, né concepiti per
essere divulgati tra i ceti medio bassi della società sarda.
Le poesie
raccolte sono scritte in sardo e, in quanto tali, famose tra il popolo. La
connotazione di "popolare" è attribuita a questi testi da Pasella per
effetto di un fraintendimento circa la natura dei testi, indotto dalle modalità
della comunicazione letteraria del tempo. La gran parte del popolo sardo era,
infatti, analfabeta e parlava in sardo. Ovviamente, anche un testo fortemente
influenzato dall'Arcadia, ricco di echi letterari, elaborato nel metro e nel
ritmo, ma scritto in sardo, aveva un largo successo tra la gente, garantito
però esclusivamente dal codice in cui era stato composto, non dalla sua origine
o destinazione.
È, invece, di
più chiara matrice popolare, per il tema trattato, per essere anonimo e per la
sua evidente destinazione, un testo anonimo degli anni intorno al 1812, quando
la Sardegna venne colpita da una terribile carestia. Il testo è la celebre Canzona
di maistru Juanni, che narra in 1102 versi, in dialetto gallurese,
dell'arrivo di Maistru Juanni, personificazione della fame, nella città di
Tempio.
Giovanni Spano, Filippo Vivanet,
Vittorio Angius,
Vincenzo Brusco
Onnis furono anche autori di componimenti in versi che
comparvero sulla stampa periodica e talora vennero pubblicati in raccolte
autonome. Si tratta, in genere, di una produzione minore che non
aggiunge elementi significativi alla definizione di personalità più rilevanti
in altri campi.
Degno di nota
è il caso del canonico Giuseppe Luigi
Schirru
autore di un poema in ottave, Il Napoleone, del quale si conservano
manoscritti i primi cinque canti e l’inizio del sesto. Schirru da un lato
riprende una tradizione locale (già Francesco Carboni si era sentito
ispirato dalle gesta napoleoniche), dall’altro manifesta adesione alle coeve
tendenze della poesia neoclassica.
L'Ottocento
Melchiorre
Murenu
È la
produzione in lingua sarda a proporre l’aspetto più significativo dell’attività
poetica ottocentesca, con un’ampia gamma di temi e situazioni poetiche e con
un’ampia varietà linguistica e culturale.
I maggiori poeti della prima metà dell'Ottocento sono il macomerese Melchiorre Murenu (1803-54) e Diego Mele (1797-1861).
I maggiori poeti della prima metà dell'Ottocento sono il macomerese Melchiorre Murenu (1803-54) e Diego Mele (1797-1861).
Melchiorre
Murenu
era analfabeta e cieco. Proveniva da una famiglia originariamente non povera,
caduta poi in disgrazia con l'arresto del padre e la sua probabile morte in
carcere. I contemporanei celebrarono la portentosa memoria di Melchiorre
Murenu, certamente acuita dalla menomazione alla vista che lo indusse ad
autoformarsi sui moduli e sui modelli proverbiali tipici della cultura orale.
Il suo lessico risente notevolmente dell'ascolto attento delle omelie dei
predicatori ed anche la vena moralistica che attraversa i suoi versi è di
chiara matrice paraecclesiastica.
Cantò spesso
il tema della povertà dovuta al sopruso del ricco, denunciando l'arbitrio con
cui pochi privilegiati divenivano sempre più ricchi, e molti poveri sempre più
poveri. Non andò, però, mai oltre la condanna morale, evitando di dare valenza
politica o sociale ai suoi testi, nonostante l'avversione esplicita manifestata
contro l'Editto delle chiudende del 1822.
È sua la
quartina Tancas serradas a muru:
Tancas
serradas a muru
fattas a s'afferra afferra;
chi su chelu fid in terra
l'haiant serradu puru.
fattas a s'afferra afferra;
chi su chelu fid in terra
l'haiant serradu puru.
Non manca,
nelle sue poesie, il tema dello scherno del nemico, del dileggio del potente,
costantemente additato al pubblico sotto mentite spoglie, o della satira
campanilistica (sono notissimi i suoi versi contro Bosa). Murenu fu veramente
per formazione e pubblico a cui si rivolse un poeta popolare. Venne ucciso e i
suoi assassini rimasero impuniti.
L'Ottocento
Diego
Mele
Diego Mele nacque a Bitti. Fu amico di Giovanni
Spano. Di famiglia modesta, fu avviato agli studi di teologia e alla vita
sacerdotale. Ritornato nel paese di origine, dovette andarsene per il clima
insostenibile generato da alcuni suoi versi satirici.
Passò per essere
favorevole ad una sorta di regime collettivo della proprietà contro la politica
sabauda che in quegli anni incentivava la formazione della proprietà perfetta.
Dopo un lungo esilio che lo portò ad Ozieri, e poi a Lodè e a Mamoiada, divenne
parroco di Olzai, dove morì.
Il registro
prevalente nei suoi testi è quello satirico, attraverso il quale egli dissimula
l'indignazione per le ingiustizie sociali prodotte dalla legislazione sabauda.
Fu per questo particolarmente popolare, ma i suoi testi, a differenza di quelli
di Murenu, sono strutturati formalmente e tematicamente a partire da una solida
formazione letteraria fondata sugli autori canonici del cursus studiorum
del tempo.
L'Ottocento
La
narrativa
La produzione
narrativa ottocentesca ha un interesse assoluto, che va oltre il valore
artistico delle opere, perché racchiude le attestazioni di un sentimento, di un
atteggiamento mentale, di una forma dell’approccio culturale che sono, nel
tempo più recente, la testimonianza del modo in cui i sardi percepiscono se
stessi, valutano la storia passata della propria terra, interpretano il
rapporto fra Sardegna e Piemonte, prima, fra Sardegna e Italia, dopo la
conclusione del processo risorgimentale.
Nelle pagine
dei romanzieri ottocenteschi si ritrova il segno, reso esplicito, di una vera e
propria "rivoluzione spirituale". È come se, seguendo i tortuosi
percorsi della storia, le esigenze particolari dei sardi avessero raggiunto
quelle contemporaneamente sentite in molte altre parti dell’Europa: in primo
luogo con il bisogno dal quale erano scaturite le indagini storiografiche nelle
diverse nazioni europee, con le riflessioni che avevano portato a definire la
categoria di popolo.
A questa
soglia di conoscenza si affacciarono gli autori che vollero dedicarsi alla
narrativa e, per lo più, scelsero la strada del romanzo storico. Questa
scelta fu compiuta (oltre che per l’influsso del modello manzoniano) perché in
quel genere i sardi videro una forma di espressione artistica capace di
rappresentare i fatti di una storia patria intesa quale nodo dolente, materia
di studio e di evocazione letteraria di un passato percepito come vivo e tale
da segnare la coscienza contemporanea.
La narrativa
sarda ottocentesca prende avvio con i brevi racconti storici di Gavino Nino
(1807-86) e Salvatore Angelo
De Castro (1817-80) pubblicati sulla rivista La Meteora.
Entrambi questi autori sono attratti dalla figura di Eleonora d’Arborea alla
quale dedicano il primo un melodramma in tre atti pubblicato a Cagliari nel
1868, il secondo una biografia che apparve a Oristano nel 1881. Ad un’altra
figura femminile della storia sarda si ispira Vincenzo Brusco
Onnis (1822-88) che compone un racconto intitolato Adelasia
di Torres (1845).
L'Ottocento
Enrico
Costa
Enrico Costa
(1841-1909) occupa con la sua presenza, gran parte della fine dell'Ottocento.
La sua ricchezza di interessi culturali e letterari, la passione per la letteratura, l'arte, la storia e le tradizioni dell'Isola, nonché l'amore per la sua città sono i moventi di una produzione varia e vastissima, che comprende opere storiche e geografiche, studi sul folklore, pagine musicali, poesie, racconti e romanzi.
Le idealità dalle quali era ispirato sono spiegate nella Conclusione del romanzo Rosa Gambella, in cui il Costa dice d’aver voluto scrivere "un libro utile agli studiosi di memorie patrie", e spera d’aver "attirato l’attenzione dei sardi sui gravi e importanti avvenimenti che si volsero nell’isola".
Egli ritiene che la Sardegna non sia conosciuta e che l’immagine che ne viene diffusa sia spesso errata, distorta. Per porre rimedio a questo stato di cose, sostiene Costa, occorre studiarne la storia e diffonderne la conoscenza, anche attraverso i romanzi. Gli influssi del progetto letterario di Costa, per cui l’arte è messa al servizio della storia arriveranno fino all’opera di Grazia Deledda, che non a caso si dichiara "discepola" dello scrittore sassarese. Colpisce, in particolare, in Costa, il suo essere sempre in bilico tra il desiderio di offrire al lettore un’esatta documentazione di usi e costumi tipici e la vocazione del romanziere che l’informazione storica ed etnologica deve sciogliere nel tessuto narrativo.
Tra la sua opera vastissima vanno citate:
La sua ricchezza di interessi culturali e letterari, la passione per la letteratura, l'arte, la storia e le tradizioni dell'Isola, nonché l'amore per la sua città sono i moventi di una produzione varia e vastissima, che comprende opere storiche e geografiche, studi sul folklore, pagine musicali, poesie, racconti e romanzi.
Le idealità dalle quali era ispirato sono spiegate nella Conclusione del romanzo Rosa Gambella, in cui il Costa dice d’aver voluto scrivere "un libro utile agli studiosi di memorie patrie", e spera d’aver "attirato l’attenzione dei sardi sui gravi e importanti avvenimenti che si volsero nell’isola".
Egli ritiene che la Sardegna non sia conosciuta e che l’immagine che ne viene diffusa sia spesso errata, distorta. Per porre rimedio a questo stato di cose, sostiene Costa, occorre studiarne la storia e diffonderne la conoscenza, anche attraverso i romanzi. Gli influssi del progetto letterario di Costa, per cui l’arte è messa al servizio della storia arriveranno fino all’opera di Grazia Deledda, che non a caso si dichiara "discepola" dello scrittore sassarese. Colpisce, in particolare, in Costa, il suo essere sempre in bilico tra il desiderio di offrire al lettore un’esatta documentazione di usi e costumi tipici e la vocazione del romanziere che l’informazione storica ed etnologica deve sciogliere nel tessuto narrativo.
Tra la sua opera vastissima vanno citate:
- Guida
racconto. Da Sassari a Cagliari (1902)
- La bella
di Cabras (1887)
- Giovanni
Tolu (1897)
- Il muto
di Gallura (1885)
La vocazione
da romanziere si unisce sempre a quella di storico, antropologo, giornalista e
apostolo di forte e tenace sardità. Singolare figura di erudito, di romanziere
e di pittore, amico di poeti e di letterati, dal Farina al Satta, dalla Deledda
a Pompeo Calvia, per citarne solo alcuni, deve la sua fama più duratura ai
volumi di ricerche e di studi intitolati Sassari e dedicati alla sua
città.
Essi costituiscono una documentazione preziosa per la storia di questa città di cui narra la cronaca con abbondanza di notizie e di informazioni di prima mano, ma anche con un gusto, mai revocato, per la narrazione curiosa e attenta a far rivivere ad ogni occasione lo spirito sornione del ciarliero mondo borghese e popolare.
Essi costituiscono una documentazione preziosa per la storia di questa città di cui narra la cronaca con abbondanza di notizie e di informazioni di prima mano, ma anche con un gusto, mai revocato, per la narrazione curiosa e attenta a far rivivere ad ogni occasione lo spirito sornione del ciarliero mondo borghese e popolare.
Questa
vocazione tutta sassarese alla sdrammatizzazione, all'ironia, alla battuta salace,
non attenua la consapevolezza di Costa di vivere in un momento di grande
trasformazione non solo del capoluogo turritano, ma anche di tutta la Sardegna.
Lui e la sua rivista La stella di Sardegna furono un crocevia di
relazioni culturali, di magistero estetico e letterario che, per quanto viziato
da un certo eruditismo di provincia, giocò comunque un ruolo notevolissimo
nell'accelerazione delle dinamiche culturali della seconda metà dell'Ottocento
sardo.
L'Ottocento
Brundo
e Bacaredda
Un ruolo
simile, ma anche sensibilmente diverso e meno incisivo rispetto a quello che a
Sassari svolse Enrico Costa, ebbe a Cagliari Carlo Brundo (1834-1904).
Avvocato, narratore di formazione
manzoniana poi approdato al naturalismo, si interessò di tradizioni popolari e
scrisse un'interessante opera intitolata Raccolta di tradizioni sarde
(1869-73). In essa si manifesta una nuova sensibilità critica verso la
tradizione culturale orale e verso il ruolo di coesione storica e sociale che
essa svolgeva nella società isolana. È un testo utilissimo per comprendere con
quali conoscenze e presupposti ideologici i narratori sardi si avvicinarono
alle vicende storiche e alle caratteristiche antropologiche dell'Isola.
Sempre a
Cagliari occorre segnalare la scarna, ma pregevole, produzione letteraria di Ottone Bacaredda (1849-1921), uomo politico di spicco
della città, della quale fu sindaco per quasi trent'anni.
I suoi
interessi letterari si iscrivono nel periodo precedente il suo impegno politico
e furono segnati positivamente dal rapporto con Angelo Sommaruga. Quest'ultimo,
ormai trasferitosi nella penisola, favorì la pubblicazione delle due opere del
Bacaredda (Casa Corniola, 1880 e Bozzetti sardi, 1884) nella
collana, prevalentemente di impostazione estetica naturalista, e da lui
diretta, dei migliori scrittori del tempo.
L'Ottocento
Salvatore
Farina
Lo scrittore
certamente più importante e di spicco sul declinare del secolo e quello che
rappresenta meglio il momento di completa integrazione degli intellettuali
sardi nella società nazionale è Salvatore Farina (1846-1918).
Nativo di Sorso, seguì il padre magistrato quando venne trasferito in Piemonte a Casale Monferrato. Seguendo l'esempio paterno, si laureò a Pavia in Giurisprudenza nel 1868. Trasferitosi a Milano entrò in contatto con la Scapigliatura, in particolare con Tarchetti, di cui curò l'edizione postuma del romanzo Fosca. Diresse la Rivista minima e fu tra i fondatori del Corriere della Sera.
Nativo di Sorso, seguì il padre magistrato quando venne trasferito in Piemonte a Casale Monferrato. Seguendo l'esempio paterno, si laureò a Pavia in Giurisprudenza nel 1868. Trasferitosi a Milano entrò in contatto con la Scapigliatura, in particolare con Tarchetti, di cui curò l'edizione postuma del romanzo Fosca. Diresse la Rivista minima e fu tra i fondatori del Corriere della Sera.
Scrisse oltre cinquanta romanzi e una
sorta di lunga autobiografia (La mia giornata) ancor oggi utilissima per
la ricostruzione del clima culturale della Milano di allora. Come scrittore
godette di un largo successo oltre che in Italia anche in Germania. Tra i suoi
romanzi più celebri Il tesoro di Donnina (1873), Capelli biondi
(1876), Amore ha cent'occhi (1882) e, soprattutto, Mio figlio
(1877-81).
Salvatore
Farina ben rappresenta i ceti del nuovo Stato nazionale che si trovano
incuneati tra nobiltà, grande borghesia e proletariato e con quest'ultimo
finiscono per condividere la medesima condizione di ristrettezze economiche e
di insicurezza sociale. Egli si fa interprete di quella fascia sociale a cui
diede voce, meglio degli Scapigliati e dei Veristi, il De Amicis. Con la sua
fiducia nelle istituzioni liberali propose modelli di laboriosità e di onestà,
di dedizione alla famiglia e di sacrificio, valori oggi in disuso ma che,
rivolgendosi a gran parte della società italiana, spiegano il successo dei suoi
romanzi e la rapidità anche con cui venivano stampati e "consumati".
L'Ottocento
Satta,
Uda e Falchi
Una funzione di forte raccordo tra la
cultura sarda e quella italiana svolse anche Giacinto Satta (1851-1912) nato a Orosei e morto a
Bosa, dopo una vita errabonda e avventurosa da bohémien in Italia e in Francia.
Operò prevalentemente nell'ambiente sassarese e nuorese. Esordì come
giornalista della Nuova Sardegna, ma fu anche pittore. Firmò, con lo
pseudonimo di Dottor Pamfilo, alcuni romanzi storici (Il tesoro degli
angioini, I misteri di Sassari) che prendevano come modello il
romanzo francese d'appendice di Eugene Sue. La sua prosa è asciutta,
avvincente, non ampollosa ed enfatica come è invece quella di molti romanzi
storici sardi e non sardi dell'epoca. Fu forse il tramite, anche per la
Deledda, della conoscenza della letteratura francese contemporanea.
Rispetto ai
predecessori Satta esprime un agire letterario più raffinato che partecipa di
una cultura europea, conosce le problematiche artistiche e specificamente
letterarie del suo tempo. Per lui la storia è un incipit, un contesto, e
il particolare momento in cui la vicenda è ambientata è un segnale. Poi la
narrazione si sviluppa secondo logiche proprie, senza condizionamenti esterni,
illustrativi o propagandistici di tipo sardista, ma piuttosto obbedendo
a un modulo allora fecondo, quello del feuilleton, la maniera dei
romanzi incentrati sui misteri di una città.
Analoga
funzione di raccordo tra gli ambienti isolani e quelli peninsulari ed europei
svolsero i fratelli Michele
e Felice Uda,
e soprattutto Luigi Falchi (1873-1940), sassarese, amico di
Sebastiano Satta, di Pompeo Calvia e Grazia Deledda, il quale fondò la rivista Sardegna
letteraria. Si trasferì a Roma, dove si laureò in giurisprudenza, e svolse
un'intensa attività politica come consigliere comunale e come membro del
gabinetto del ministro Francesco Cocco Ortu. Rientrato a Sassari, conseguì la
libera docenza in letteratura italiana. La sua attività di critico letterario,
condotta secondo una metodologia tipicamente positivista, lo portarono a
cogliere gli aspetti sociologici e storici dell'attività letteraria. Fu uno dei
maggiori supporti culturali dell'iniziativa editoriale dell'editore sassarese
Giuseppe Dessì, il quale stampò, sotto la direzione appunto di Falchi, di
Enrico Costa e di Antonio Scano, la prima collana di Scrittori sardi.
L'Ottocento
La
letteratura in sardo
Rilevante è
anche il ruolo degli autori che, anziché approdare all'italiano letterario,
proseguirono nell'impegno di continuare la letteratura in lingua sarda,
rafforzando la tradizione orale con l'uso scritto, non più per dare dignità al
sardo (come avevano inteso fare il Madao e, in parte, lo stesso Spano), quanto
per offrire alle comunità in cui erano inseriti, forme espressive e strumenti
di mediazione e di interazione culturali più moderni. Tra questi autori
spiccano le figure di Paolo Mossa,
Pompeo Calvia
e Giuseppe Mereu.
L'Ottocento
Paolo
Mossa
Paolo Mossa (1821-92), bonorvese, di famiglia benestante,
interruppe gli studi universitari a Sassari per sposarsi. La moglie morì pochi
anni dopo le nozze ed egli si risposò con colei che celebrò nelle sue poesie
col nome di Gisella. Rimase vedovo una seconda volta. Fu eletto consigliere
provinciale nel 1861 e rieletto nelle successive competizioni elettorali.
Scelse di vivere sempre a Bonorva nonostante l'agiatezza familiare, l'impegno
politico e il prestigio culturale gli avrebbero consentito di trasferirsi in
città. Ma l'orizzonte del paese, se è utile a contestualizzare alcuni suoi
testi e a spiegare la sua tragica fine (venne assassinato probabilmente da
alcuni banditi, poi catturati e condannati), non comprende certamente le
ambizioni culturali che traspaiono dai suoi testi. Scelse il paese come suo
pubblico, per scegliere tutti i paesi della Sardegna come suoi destinatari, ma
le radici del suo discorso sono anche, e soprattutto per quel che riguarda la
lingua, altrove.
Iniziò con la poesia di improvvisazione. Poi si rivolse al
repertorio arcadico e settecentesco, ma anche direttamente a quello dei lirici
latini, da Orazio a Ovidio a Catullo, per mediare e adottare insieme un
repertorio di metri e di motivi più adatti e consoni alla sensibilità e alla
cultura moderne. C'è una nota di Paolo Mossa in cui egli dichiara
esplicitamente di prendere come modello Metastasio: "L'idea di
questa canzone la ricavai da quella (famosa) del Trapassi, A Nice, non perché
intendessi gareggiare con sì esimio poeta, ma per sperimentare se mai la lingua
sarda fosse suscettibile a vestire concenti talmente patetici".
L'operazione che Mossa intende compiere è quella di verificare
(egli dice testualmente di "sperimentare") la suscettibilità della
lingua sarda a farsi portatrice di "concenti patetici", dove
"patetici" allude ai modelli della sensibilità e del sentimento
proposti dalla civiltà illuministica settecentesca e poi romantica, comunicata
appunto dai concenti, cioè da significanti altamente musicali e melodici cui si
uniformano i ritmi e i metri delle strofe settecentesche che costituiscono poi
il tessuto della lingua poetica al quale si affida anche la comunicazione
letteraria romantica del sentimento. Il codice linguistico sardo, dunque, media
nell'orizzonte culturale del mondo rurale isolano, un orizzonte estetico
europeo. La poesia di Mossa rifà, dunque, in lingua propria (il sardo) un
discorso altrui, che proprio perché mediato non solo linguisticamente (come
faceva il Madao) ma anche culturalmente, riesce a diventare progresso culturale
per tutti coloro che condividono l'orizzonte antropologico che sta dietro la
lingua sarda.
L'Ottocento
Pompeo
Calvia
Alla fine
dell'Ottocento appartiene, in forma originalissima, anche la poesia di Pompeo Calvia
(Sassari 1857-1919). Fu professore di disegno nel Convitto nazionale di Sassari
e copista presso l'Archivio Comunale della stessa città. Collaborò a varie
riviste e giornali di Sassari e dell'Isola. Con lo pseudonimo di Livio de Campo
accettò che il Costa pubblicasse un suo romanzo storico, Rosa Quiteira,
che narra la sfortunata vicenda della figlia di Leonardo de Alagon, prigioniera
con i fratelli nel castello di Sassari dopo la battaglia di Macomer. La sua
fama è legata soprattutto alla raccolta di poesie, prevalentemente sonetti, Sassari
mannu. Visse l'atmosfera di fervore intellettuale che contraddistingueva la
cultura sassarese in quel periodo e che aggregava allora, per ragioni di
Università, di foro, di editoria, anche l'ambiente intellettuale di Nuoro.
Sassari era poi il centro del movimento repubblicano e democratico dell'Isola,
mentre nelle miniere del Sulcis cominciavano ad apparire i primi predicatori
del socialismo e Nuoro aveva conosciuto, intorno al 1868, i moti di A su
connottu.
Calvia cercò
nel dialetto di Sassari i toni e i timbri di colore adatti a raccontare la
crisi di crescita di una città che usciva da una economia e da una civiltà che
erano rimaste immobili per quasi cinque secoli, mentre vedeva sorgere esigenze
nuove che avrebbero cancellato il volto della vecchia Sassari. Anche il titolo
è da intendersi come "Sassari antica", con le sue tradizioni e il suo
colore locale. Egli sperimenta l'innesto sul sassarese dei procedimenti che
Pascarella prima, e poi Trilussa, avevano applicato al romanesco.
Da Pascarella
viene mediato il gusto dell'esplorazione del mondo vernacolo con le sue strade,
i suoi vicoli, i quartieri popolari, gli interni di case, di caffè, di osterie,
il mondo delle feste popolari e delle processioni e di taluni personaggi plebei
di ingegno e di lingua pronta. Nel delineare questi personaggi l'humour del
poeta trova nell'ultima terzina, proprio come in Trilussa nella conclusione del
sonetto, la soluzione, piuttosto umoristica che comica, di una situazione umana
osservata con spirito disincantato e bonario. Lo stesso spirito venato di
malinconia lo induce inoltre a rievocare con accenti teneramente patetici gli
affetti familiari e la gioventù rapidamente trascorsa.
Nelle sue
opere Calvia esprime una personalità individuale che consuona con le correnti
culturali e letterarie contemporanee: in questo si distacca dalla tradizione
ottocentesca. Egli sposta il centro dell’attenzione dai fatti d’arme e dalle
speranze di vittoria verso il momento più raccolto della sofferenza che segue
la sconfitta, mettendo a fuoco il dramma personale e sentimentale della giovane
figlia di Leonardo Alagon.
Nella sua
opera non mancano gli spunti politici e patriotici, in un amalgama
talvolta ingenuo, ma anche interessante per i modi in cui sono rappresentati
gli ambienti civili delle città sarde, e gli strati popolari cui viene
assegnato il compito di interpretare gli autentici valori della sardità.
L'Ottocento
Peppinu
Mereu
Peppino Mereu (1872-1901 circa), nato e vissuto a fasi alterne a Tonara, fu un
poeta che seppe unire una ricca, consapevole e aggiornata cultura letteraria
(conosceva e dominava la letteratura scapigliata e crepuscolare), col forte
radicamento rurale e paesano rappresentato proprio della lingua sarda. Sarebbe
però un errore ritenere che egli non abbia saputo conciliare la nascita in un
ambiente rurale con la formazione nel contesto culturale cagliaritano (la sua
prima raccolta venne pubblicata a Cagliari nel 1899 da Valdès con la prefazione
di un laureando in medicina, tal Giovanni Sulis).
Non appare legittimo leggere sul versante esclusivamente
biografico i temi dell'inquietudine, della precarietà della vita (era tisico),
della malinconica nostalgia dei piccoli orizzonti affettivi del paese che
caratterizzano i suoi testi. Non bisogna infatti mai dimenticare la lezione di
Wagner sulle "metafore rustiche" del sardo, il quale appunto ricordò
che il sardo è lingua poverissima di nomi astratti e che esprime i sentimenti,
la lode e lo scherno con metafore e similitudini tratte col lessico rustico.
È quindi lo spirito della lingua a contestualizzare ogni discorso
in un orizzonte paesano, sempre che non si voglia stravolgere il codice
linguistico, come fecero i poeti arcadici, ingolfandolo di prestiti e di
calcoli. Mereu, come Calvia, riuscì a svolgere un discorso modernissimo con
una lingua arcaica, ossia riuscì ad attribuire dignità letteraria ad un
codice nato e cresciuto nel contesto dell'oralità tipica delle società arcaiche
e rurali.ali.ali.rissima di nomi astratti e che esprime i sentimenti, la lode e
lo scherno con metafore e similitudini tratte col lessico rustico.
L'Ottocento
I
poeti vernacoli
In un breve
elenco di quelli che l’Alziator chiamava poeti vernacoli occorre citare
anche:
- Antonio
Solinas di Nuoro (1870-1900)
- Pasquale
Dessanay di Nuoro (1869-1919), legato come Solinas alle modalità poetiche
tradizionali, e aperto, come l’altro, alla conoscenza delle tendenze
espresse dalla poesia contemporanea.
- Diverso è
il caso del già citato Paolo Mossa
di Bonorva (1821-92) che mantiene un legame con lo stile arcadico.
In
sardo compose anche una poetessa, Anna Maria Falchi Massidda (1824-73),
autrice di sedici glossas e tre brevi componimenti che ebbero una
circolazione orale e che mostrano l’assimilazione dell’opera di autori latini e
italiani.
Il Novecento
Eventi
storici
Alcuni eventi-simbolo segnano il secolo:
- 3
settembre 1904: l’esercito uccide tre minatori a Buggerru.
Conseguenza dell’eccidio fu la proclamazione del primo sciopero generale
italiano: un evento in fin dei conti neanche troppo raro nella storia
isolana aveva assunto valenza nazionale ed era divenuto rilevante anche
sul piano della comunicazione.
- anni
1915-1918: le imprese della Brigata Sassari.
- 1921: la
nascita del Partito Sardo d’Azione.
- 1947-1950:
la lotta contro la malaria. L’eradicazione della malaria
cambia le condizioni di vita dei sardi e consente lo sviluppo di quelle
attività (turistiche e industriali) prima improponibili e che, una volta
praticabili determinano la diffusione di nuove conoscenze e rendono
fondamentali gli scambi comunicativi.
Per l’isola il Novecento è il secolo in cui il ritmo del confronto
e dello scambio col mondo cresce vertiginosamente. L’economia si trasforma.
Cambiano gli stili di vita.
Il Novecento
Il
dibattito politico
Il Novecento si apre con la Prima guerra mondiale e si chiude con
l'approvazione da parte del Consiglio regionale della Sardegna della prima
legge di tutela della lingua e della cultura sarde.
Nel mezzo sta il grande dibattito, sviluppatosi nel secondo
dopoguerra, sulla modernizzazione dell'isola, sul suo riscatto da una
condizione di arretratezza divenuta insostenibile, ma anche sul suo diritto
all'identità e all'autonomia. Il vero nodo irrisolto del Novecento è proprio la
mancata sintesi tra lo sviluppo, la modernità e l'innovazione da una parte, e
l'identità, la tutela del territorio e la tradizione culturale della Sardegna
dall'altra.
Non è un caso che molti dei letterati del Novecento siano stati
anche uomini impegnati politicamente e nelle istituzioni.
D'altro canto, il senso di smacco che a fine secolo sembra
connotare le esperienze, anche letterarie, più impegnate politicamente, non ha
un corrispondente negli autori che, contestando il valore universale delle
categorie politiche del partito e dello Stato, hanno indicato in un nuovo
umanesimo la strada per recuperare la storia e guardare al futuro.
In questo quadro si inseriscono anche le diverse scelte linguistiche,
tra italiano e sardo, con una gamma sempre più ampia di registri intermedi tra
le due lingue. Nonostante queste contraddizioni, però, il Novecento è il secolo
che più degli altri consente un'interpretazione unitaria della comunicazione
letteraria che si è sviluppata nell'Isola, perché pur nella diversità delle
prospettive ideologiche e dei codici linguistici utilizzati, vi è in tutti gli
autori una coscienza sempre più vigile della peculiarità culturale del vivere e
del pensare in Sardegna o a partire dalla Sardegna.
Il Novecento
Il
dibattito letterario
La vera
riforma letteraria che si compie nel Novecento nasce da una parte, il versante
critico, dall'assunzione del problema del pubblico in modo diverso da come era
stato considerato in età romantica e postromantica, dall'altra dalla critica,
condotta dagli autori, all'omologazione estetica e linguistica che un frainteso
nazionalismo e l'esasperato razionalismo positivista andavano imponendo in
Europa.
Antonio Gramsci aveva iniziato le sue riflessioni
sulla letteratura nazionale muovendo giustamente dalla questione principale,
l'annosa questione del perché la letteratura non è popolare in Italia. Oggi
prescindendo dalla nozione di nazional-popolare, il problema non può essere
affrontato se non dal versante del plurilinguismo e del multiculturalismo.
Per
coinvolgere nella letteratura un destinatario e un pubblico è necessario
parlare la medesima lingua. In un processo comunicativo, non superficiale,
occorre infatti che autore e pubblico abbiano in comune naturalmente il codice
linguistico e possibilmente una buona fetta della medesima enciclopedia del
sapere. In questo modo si possono far circolare modelli culturali tradizionali
e nuovi per attuare un confronto che faccia crescere la società locale. Per
questo la comunicazione letteraria tende ad essere plurilingue. Grosse fasce di
pubblico sono state escluse per secoli dal "servizio" della
comunicazione letteraria nella lingua ufficiale dello Stato e sono state
servite, di fatto, da quella orale e scritta nelle lingue impiegate localmente,
un patrimonio inesplorato ed un'esperienza inestimabile.
I problemi che
questa letteratura plurilingue pone oggi non sono diversi da quelli che hanno
creato e creano ancora le letterature nelle diverse lingue nazionali: i
problemi già noti della traduzione con in più la coscienza della relativa
intraducibilità del testo letterario e della necessità, per capire a fondo, di
appropriarsi di quella lingua o di quel "dialetto". Si spiega così,
da una parte, l'interesse crescente per le letterature regionali e, dall'altra,
l'attenzione ai poeti dialettali, a quelli cioè che, invece di ricorrere al
monolinguismo tradizionale della nostra lirica ricorrono ad una lingua
"altra", da Noventa, a Pierro, da Marin a Pasolini, allo stesso
Zanzotto.
Il Novecento
Il
dibattito letterario
I poeti sardi perciò, quelli che avevano già maturato
un'esperienza letteraria in versi, con procedimento analogo, hanno mediato
modelli letterari e narrativi dalla contemporanea letteratura, italiana e
straniera, e hanno sperimentato progressivamente il passaggio dagli ingenui
tentativi dei modelli orali dei contos de foghile dei contos de
tzilleri verso risultati di prosa scritta letterariamente efficaci. Dal
racconto questi scrittori sono passati via via al romanzo.
Come la produzione di testi poetici in lingua sarda aveva dato
nuovo impulso alla produzione e alla circolazione dei testi in italiano,
altrettanto è avvenuto per quella in prosa. Queste due produzioni letterarie,
quasi in sinergia, si sono reciprocamente avvantaggiate, perché sono aumentate
le opzioni e quindi l'interesse e l'attenzione da parte di produttori e di
fruitori che hanno fatto circolare, meglio e in maniera più rapida e capillare,
questi prodotti, elevandone al tempo stesso il livello letterario e il tono
culturale. La produzione di testi in lingua sarda perciò obbedisce ad una
esigenza che non è solo quella di un recupero di autenticità di linguaggio
poetico, ma anche di immissione di modelli estetici e culturali in una società
rimasta, per quanto riguarda l'accettazione di modelli imposti mediante la
lingua dello Stato, immobile e relativamente impermeabile.
La conquista rappresentata dalla produzione di romanzi in lingua
sarda è quindi assai significativa e rappresenta un effettivo rinnovamento del
codice narrativo che ha comportato un adeguamento sia della lingua letteraria
sarda alla lingua letteraria italiana sia della lingua letteraria italiana a
quella letteraria sarda.
Già la narrativa in lingua italiana aveva dovuto tenere conto
dell' interferenza dei codici, verbali e non verbali, soggiacenti. Il problema
era affiorato in periodo verista e aveva determinato un orientamento culturale
verso l'esterno e di integrazione nella cultura del nuovo stato nazionale
italiano. Un orientamento che era legittimato dalle lotte risorgimentali, ma
che, durante e dopo il primo conflitto mondiale, aveva coinvolto tutte le
popolazioni e aveva prodotto una presa di coscienza e un orientamento di
ritorno alla propria appartenenza e alla propria identità.
Il Novecento
Grazia
Deledda
Grazia Deledda si era dichiarata
"discepola" di Enrico Costa.
Solo di recente questa affermazione è stata considerata nel giusto valore, e si
è cominciato a tenere nel giusto conto il peso della tradizione letteraria
sarda nel percorso formativo della scrittrice.
Nata a Nuoro
da famiglia agiata, mostra fin da piccola un grande amore per le lettere.
Provvede da sola alla propria formazione culturale, dedicandosi alla lettura
degli autori più disparati, da Enrico Costa fino ai grandi autori stranieri.
Nel 1892
inizia a collaborare con la Rivista di tradizioni popolari italiane
diretta da Francesco de Gubernatis, mentre le sue prime opere ambientate in
Sardegna vengono pubblicate su giornali e riviste, ottenendo un grande successo
di pubblico e di critica.
Dopo il
matrimonio con Palmiro Madesani, si trasferisce a Roma. È il periodo in cui
scrive, tra gli altri: Elias Portolu (1903), Cenere (1904), L'edera
(1906), Canne al vento (1913), Marianna Sirca (1915), La madre
(1920).
Nel 1926
ottiene il Premio Nobel per la letteratura. Nei dieci anni successivi continua
a scrivere, finché si ammala gravemente. Muore a Roma nel 1936. L’anno
successivo è pubblicato il romanzo autobiografico Cosima.
Il Novecento
Il
primo modello narrativo
Il modello narrativo della Deledda, che in un primo momento era
apparso agli scrittori sardi, suoi contemporanei, congeniale, in realtà era
difficilmente imitabile e ripetibile. In principio, nei suoi scritti, la
distanza tra la sua cultura osservante e il mondo tradizionale sardo, in quanto
cultura osservata, era minima giacché ella era largamente partecipe di quel
mondo.
Il punto di vista culturale che utilizza in questa prima fase le è
fornito dal folklorismo evasivo e mistificatorio di fine Ottocento, che la
induce a produrre un'immagine della Sardegna arcaica e barbarica (quale in
realtà era), ma compatibile col clima nazionale unitario e centralistico, tanto
sotto il profilo politico-amministrativo, quanto sotto quello morale e estetico
(si pensi a Tradizioni popolari di Nuoro, o ai Racconti sardi
pubblicati nel 1894 dall'editore Dessì nella collana diretta da Enrico Costa e
Luigi Falchi).
Oltre queste, le opere del suo apprendistato sono: Nell'azzurro
(1890), Stella d'oriente (1891), Amore regale (1891), Fior di
Sardegna (1892), Anime oneste (1895), La via del male (1896),
testo con il quale la Deledda si allontana per la prima volta dalle romanticherie
per ingenui e ovattati pubblici femminili, Il tesoro (1897), L'ospite
(1897), Paesaggi sardi (1896), prima e unica raccolta di versi. Anche in
questa fase, però, la Deledda non appare, come a lungo si è detto, un'ingenua
fanciulla dotata di un forte fiuto per le mode letterarie, straordinariamente
abile nell'istituire rapporti con le case editrici e con gli scrittori
affermati, e che soddisfa le richieste di letteratura esotizzante esasperando o
enfatizzando tradizioni e modi di vivere della società sarda.
Già nei primi testi della Deledda si intravede il centro tematico
della sua vastissima produzione:
- da una
parte la dialettica, sociale, storica e personale, tra tradizione e
innovazione,
- dall'altra
la dialettica, in primo luogo personale, ma di valore universale, tra
desiderio e repressione, con quest'ultimo versante sempre occupato dalla
cultura egemone che è anche la cultura del progresso e dell'ordine
sociale.
In questa prima fase il clima culturale nuorese è ovviamente
importante. La Deledda lo descrive in questo modo: "Nuoro è chiamata
scherzosamente, dai giovani artisti sardi, l'Atene della Sardegna. Infatti,
relativamente, è il paese più colto e battagliero dell'Isola. Abbiamo artisti,
poeti, scrittori ed eruditi, giovani forti e gentili taluni dei quali fanno
onore alla Sardegna e sono arrivati verso una relativa celebrità".
Il Novecento
Le
opere della maturità
A Roma, dove si trasferisce nel 1898 col marito conosciuto in
Sardegna, questo nucleo originario trova nuovi strumenti concettuali ed
espressivi: influiscono su di lei gli autori russi (Dostoevskij, Tolstoj), ma
anche D'Annunzio, Sue, Hugo, la Serao e Manzoni. Ciò spiega perché i suoi
romanzi della maturità non possono essere iscritti nella tradizione verista,
nonostante l'ambientazione regionale e l'orizzonte antropologico rustico che li
caratterizza.
In essi giocano sempre un ruolo determinante psicologie
tormentate, complesse, a volte svigorite, a volte passionali, la cui matrice è
da una parte il Decadentismo e l'incertezza sull'unicità dell'io che lo
caratterizzava, dall'altra la lotta - di origine tutta sarda - per l'identità,
in un orizzonte storico che in entrambi i poli, quello tradizionale e quello
moderno, sembra negare il diritto all'autenticità del desiderio (si pensi a Elias
Portolu, 1903, Cenere, 1904, L'Edera, 1906, Canne al vento,
1913, Marianna Sirca, 1915).
La sua rappresentazione dell'Isola, di se stessa e della storia,
diviene progressivamente il risultato di una visione estetica ed antropologica
maturata anche nell'ambito della cultura europea della Secessione, ossia di
quella cultura che recupera i linguaggi e le culture delle civiltà diverse (ma
non per questo connotate come esotiche) da quella egemone dell'Europa
occidentale, come luoghi dell'autenticità contro il conformismo, della vitalità
contro l'esaurimento, della curiosità contro la sazietà, anche quando questi
luoghi originari e originali sono occupati dal senso dell'incompiutezza, del
dolore, della frustrazione, di cui sono vessilli la colpa, il rimorso, il
desiderio frustrato dalla morte. A Roma intrattiene rapporti e promuove gli
artisti definiti della "Secessione sarda" (Biasi e Figari) e da Roma
influenza una generazione di scrittori sardi.
Il Novecento
Note
critiche
- Il
percorso compiuto nella valutazione delle pagine deleddiane è stato lungo
e difficile.
- La
Deledda è stata a lungo considerata una sorta di corpo estraneo rispetto
alla Sardegna, e l’isola da lei descritta è stata a lungo giudicata come
troppo lontana da lei, che l’avrebbe guardata con uno sguardo troppo
esterno.
- A lungo
le è stato rimproverato di non essersi occupata della sua terra come
avrebbe dovuto.
- In realtà
la Deledda è discepola di Costa ma rompe con una tradizione secolare di
illustrazione della Sardegna, di milizia scrittoria sotto le bandiere
della patria sarda, di ritratti a tutto tondo d’eroiche virtù dei
condottieri e del popolo.
- La
scrittrice pone in primo piano la ragione narrativa e la segue sino alle
estreme conseguenze, sino a dare un’immagine negativa della sua
terra ogni qual volta quell’immagine sia funzionale al progetto narrativo.
- A guardar
bene le cose, sotto l’immobilità è possibile intravedere un movimento,
sotto la rassegnazione una tensione forte, sotto l’atemporalità una
dimensione storica.
- Ma,
soprattutto, difficilmente potremmo ancora sostenere che la Deledda guardi
alla Sardegna con gli occhi "con cui la vedono i continentali":
la guarda con occhi esperti e non indifferenti, decisa a trarne quanto è
possibile sul piano degli impulsi narrativi e del richiamo di lettori
lontani, ma raggiungibili attraverso la suggestione che la pagina
letteraria trasmette.
Il Novecento
Sebastiano
Satta
La poesia
della fine dell'Ottocento e dei primi del Novecento è contrassegnata, nel bene
e nel male, dall'opera di Sebastiano Satta (1867-1914).
Figlio di un
avvocato, si laureò in giurisprudenza a Sassari ed esercitò l'attività forense
a Nuoro, sua città natale. Durante il servizio militare, svolto a Bologna nel
1897-98, entrò in contatto con la poesia del Carducci da cui fu fortemente
influenzato.
I primi versi
vedono la luce nell'ambito delle pubblicazioni del circuito sassarese a cui era
legato (Nella terra dei nuraghes. Versi di Sebastiano Satta, Pompeo Calvia e
Luigi Falchi, Sassari, Dessì, 1893; Versi ribelli, Sassari ,
Gallizzi, 1893; Primo maggio, Sassari,Gallizzi, 1896). Le sue raccolte
più importanti sono: Canti barbaricini, 1° ediz. La vita letteraria,
Roma 1910 (con copertina di Francesco Ciusa), 2° ediz. Cagliari, Il Nuraghe,
1923. Canti del salto e della tanca, ediz. Postuma, Cagliari, Il
Nuraghe, 1923. Fu socialista e, per certi versi, vate del mondo pastorale
nuorese che, quando morì, gli rese un tributo notevole di affetto e di stima.
Coltiva un
ideale poetico che stilisticamente si rifà tradizione classica e che interpreta
un mondo di sentimenti popolari e drammatici legati alla tradizione sarda, alla
denuncia dei mali sociali, alla speranza di riscatto.
Con le sue poesie più note (poi raccolte nei Canti
barbaricini del 1910 e nei Canti del salto e della tanca, pubblicati
postumi nel 1924) sempre più incarna la figura del poeta-vate, del rapsodo
che dà voce a un intero popolo, ai suoi dolori e agli impulsi ribellistici,
all’amore per l’ambiente naturale e antropologico e alla consapevolezza delle
trasformazioni destinate a cambiare quel mondo verso il quale vanno i suoi
sentimenti più intensi ma dal quale ricava anche acute inquietudini.
È bene tener presente, per comprendere l'opera di Satta, che se
per gli altri stati italiani confluire nel Regno d'Italia non aveva comportato
seri problemi di lingua, per la Sardegna (e per l'area rurale campana, nonché
per quella calabro-sicula) le cose andarono diversamente: l'italiano era nell'Isola
- dopo la rottura profonda con la cultura italiana maturata nel secolo XVII -
privo di tradizione, in più in concorrenza con un'altra lingua, quella sarda,
espressione di una cultura che non era riuscita a diventare nazione. Diciamo
subito che lo slancio generoso dei ceti urbani sardi che aderirono nel
complesso, anche in maniera critica al progetto unitario italiano, li indusse a
ritenere che l'opera di reciproca integrazione degli italiani, e in particolare
dei sardi con gli italiani, sarebbe avvenuta sull'onda declamatoria degli
auspici e dei consensi risorgimentali.
In Satta la lingua poetica denunzia subito, almeno nelle raccolte
iniziali, l'adesione a questo progetto linguistico, che era anche il progetto
nazionale carducciano. Carducci e D'Annunzio, insieme con il suo professore di
liceo, il Marradi, presiedono alle sue prime prove poetiche, mentre i primi
tentativi di caratterizzazione del paesaggio vengono effettuati piuttosto
utilizzando modelli linguistici e poetici pascoliani.
Il Novecento
Montanaru
Altra figura
di poeta che occupa la prima parte del Novecento è Antioco Casula (1878-1957),
detto Montanaru.
A differenza
di Satta poetò esclusivamente in sardo. La sua biografia è un tipico esempio
della mattanza di intelligenze che fece, allora, un sistema scolastico aperto
nei primi livelli e di élites negli ultimi. Dopo le scuole del paese, frequentò
il ginnasio a Cagliari e a Lanusei, per poi dover rinunciare agli studi per la
povertà della sua famiglia. Si arruolò nei Carabinieri. Lasciata l'Arma, tornò
al suo paese e ne fu l'ufficiale postale. Nel 1904 pubblicò la sua prima
raccolta Boghes de Barbagia, cui seguirono nel 1922 Cantigos
d'Ennargentu, nel 1933 Sos cantos de sa solitudine e Sa lantia
nel 1950.
L'influenza di
Satta e di Carducci sulla sua opera è forte e evidente, per cui in lui la
scelta del sardo non è anche scelta critica dell'orizzonte antropologico della
lingua. Egli non svolse in lingua propria un nuovo discorso poetico sardo, ma
in sardo il discorso poetico di altri in cui si era identificato.
Il Novecento
L’eredità
deleddiana e la Grande Guerra
Se da un lato
il progressivo affermarsi della Deledda fu un forte stimolo per diversi autori
ad avere orizzonti e obiettivi più ambiziosi di quelli locali e regionali, il
più forte impulso ad un rinnovamento profondo della cultura sarda venne
dai processi politici innescati dalla Grande Guerra.
Le guerre sono
eventi tragici, crudeli, immorali, ma sono state spesso luogo di rapidissima
maturazione per generazioni di giovani. Inoltre, la prima Guerra mondiale era
stata preceduta da tutti quei movimenti culturali di reazione al positivismo
tecnologico, alla logica inumana del capitalismo imperialista e colonialista
del tempo, nei quali ampio spazio giocava tutto ciò che poteva essere o
anticamera di una nuova modernità o vessillo e tramite di una palingenesi
morale dell'Europa. Ciò spiega anche perché la guerra apparve come opportuna e
addirittura salutare a tanti giovani intellettuali che poi vi morirono. La
realtà del conflitto sfarinò queste posizioni estetizzanti e invece temprò le
radici etiche da cui provenivano.
Per i giovani sardi la Prima guerra
mondiale ebbe un duplice significato:
- da una
parte la scoperta diffusa, non più limitata alla consapevolezza delle élites
ricche e alfabetizzate, come era accaduto nell'Ottocento, di far parte di
un sistema nazionale ed europeo;
- dall'altra
la consapevolezza dell'unità degli interessi dei sardi, da cui partì la
grande esperienza del Partito Sardo d'Azione.
La Prima Guerra,
aggravò i problemi dell’isola. Tuttavia quel momento, permettendo al popolo
sardo di fare un’esperienza collettiva che usciva dal contesto isolano,
favoriva, con il confronto, una maturazione politica e lo sviluppo di una
forte coscienza identitaria.
Anche il movimento letterario manifesta questa nuova coscienza.
1932: esce Lo zufolo di Salvatore Cambosu (1895-1962),
1938: Emilio Lussu (1890-1975) pubblica Un anno sull’Altipiano,
1939: appare San Silvano di Giuseppe Dessì (1909-1975).
Questo gruppo di scrittori è destinato a imprimere una svolta decisiva alla letteratura sarda, avviandola verso il cammino della contemporaneità.
Anche il movimento letterario manifesta questa nuova coscienza.
1932: esce Lo zufolo di Salvatore Cambosu (1895-1962),
1938: Emilio Lussu (1890-1975) pubblica Un anno sull’Altipiano,
1939: appare San Silvano di Giuseppe Dessì (1909-1975).
Questo gruppo di scrittori è destinato a imprimere una svolta decisiva alla letteratura sarda, avviandola verso il cammino della contemporaneità.
Il Novecento
Salvatore
Cambosu
Una figura a
sé stante nella fervida stagione del primo e del secondo dopoguerra fu Salvatore
Cambosu
(1895-1962). Conseguì la maturità classica e il diploma di maestro elementare a
Nuoro. Frequentò le università di Padova e di Roma, ma non si laureò. Nel primo
dopoguerra insegnò nella scuola elementare del suo paese natio, Orotelli, e in
altri centri del Nuorese. Aderì al fascismo. Si trasferì a Cagliari, dove
stabilì al sua residenza abituale.
Nel 1932
pubblicò a Bologna il suo primo romanzo, Lo zufolo; due anni più tardi
uscì a puntate su L'Unione sarda, Il carro. Questa prima produzione è
originalissima nel panorama sardo. Non risente della tradizione naturalista,
non mutua modelli deleddiani e utilizza una lingua tersa, nitida, di serena
eleganza, non raggiunta nella sua colta semplicità da altri autori sardi.
Nel secondo
dopoguerra Cambosu fece una scelta di campo culturale molto netta; optò per il
meridionalismo riformista, di area laico-socialista, e collaborò, pubblicando
racconti, recensioni e reportages, con il Politecnico di Vittorini,
quindi con Nord e Sud di Francesco Compagna e con Il mondo di
Pannunzio, oltre che costantemente con L'Unione sarda.
Nel 1954
pubblicò Miele amaro,
insuperato romanzo antropologico sulla Sardegna sospesa allora tra l'arcaicità
e la modernizzazione. Il testo non fu capito né dal centro, né dalla destra, né
dalla sinistra politica perché era irriducibile ad un uso propagandistico e
strettamente militante, ma ancora oggi rappresenta una sintesi equilibrata,
saggia ed elegante del percorso auspicabile nella dialettica tra tradizione e
innovazione: tutela dell'identità e apertura all'innovazione positiva.
Il romanzo
propone un’idea di sardità non mitizzante ma ancorata alla realtà, capace di
svolgere azione critica e propositiva, l’autoracconto dei sardi
raggiunge una delle forme più consapevoli e di maggior spessore stilistico.
Il Novecento
Emilio
Lussu
La figura che al termine della guerra
giocherà un notevolissimo ruolo politico e che eserciterà una notevole
influenza culturale fu Emilio Lussu (1890- 1975). Negli anni che vanno
dal 1919 al 1926 la sua figura si accompagna a quella di Raimondo Carta
Raspi (1893-1965), di Camillo Bellieni 1893-1975), di Egidio Pilia (1888-1938), di Francesco
Fancello (1884-1970), di Filiberto Farci
(1882-1965) e degli intellettuali che si stringono intorno all'esperienza del Partito
sardo d'azione.
Negli anni
successivi, la sua opposizione al fascismo, l'esilio patito a Lipari dove
conobbe Carlo Rosselli, la fuga a Parigi, la partecipazione alla resistenza
francese, l'attività politica nel movimento di "Giustizia e Libertà"
(di cui fu fondatore), quindi il rientro in Italia, l'incarico ministeriale nei
primi governi e la carriera parlamentare da senatore, furono tutti elementi che
arricchirono straordianriamente la sua esperienza culturale e politica, e che
accrebbero notevolmente il suo prestigio.
Tra le sue
opere ve ne sono alcune altamente istruttive dal punto di vista politico (La
Catena, 1929; Marcia su Roma e
dintorni, 1933), altre che lo sono anche dal punto di vista
letterario e morale. È questo il caso di Un anno
sull'altipiano, 1938, grande e mirabile denuncia di quel
"macello permanente" che è ogni guerra. È del 1967 Il cinghiale del
diavolo, racconto sulla caccia che diviene pretesto per
riepilogare le radici antropologiche dell'autore che, in quanto avvertite come
autentiche, sono rievocate posivamente e ottimisticamente.
Con le sue
opere, e in particolare con Un anno sull’altipiano e con Il cinghiale
del diavolo formula la proposta della rappresentazione di una identità non
ostentata ma implicita e necessaria, tale da costituire non un limite ma un
autentico motore per la narrazione.
La Sardegna è alla base dell’esperienza e della riflessione storica e politica.
La figura di Emilio Lussu, mitico comandante militare, dirigente politico sardista, capo riconos ciuto e amato dal le genti sarde ha, d’altra parte, esercitato un ruolo determinante nella formazione di una vera e propria visione del mondo, nella costruzione della fisionomia identitaria della Sardegna fra le due guerre.
Ancorché dichiarasse quasi con sdegno di non appartenere "alla Repubblica delle Lettere", di fatto Lussu, ha interpretato il ruolo di vate con il suo messaggio politico e per la potente suggestione dei suoi racconti.
La Sardegna è alla base dell’esperienza e della riflessione storica e politica.
La figura di Emilio Lussu, mitico comandante militare, dirigente politico sardista, capo riconos ciuto e amato dal le genti sarde ha, d’altra parte, esercitato un ruolo determinante nella formazione di una vera e propria visione del mondo, nella costruzione della fisionomia identitaria della Sardegna fra le due guerre.
Ancorché dichiarasse quasi con sdegno di non appartenere "alla Repubblica delle Lettere", di fatto Lussu, ha interpretato il ruolo di vate con il suo messaggio politico e per la potente suggestione dei suoi racconti.
Il Novecento
Critica
letteraria e ricerca storica
È intorno alla Fondazione Il
Nuraghe di Raimondo Carta Raspi che si stringe la generazione degli
scrittori tra le due guerre. Intorno alla rivista, alla libreria e alle
pubblicazioni della Fondazione si respira, oltre che la cultura nazionalista
che Camillo Bellieni si preoccupa di radicare in una scrupolosa ricerca storica
(che non mancherà di dare i suoi frutti, posto che anche la scuola di Alberto
Boscolo a Cagliari deriva da queste suggestioni culturali sardiste), anche un
principio di ripresa del discorso critico letterario dopo le esperienze
dell'Ottocento. Il miglior risultato di questo rinnovato interesse per la
letteratura è La letteratura narrativa in Sardegna. Il romanzo e la novella
(1926) di Egidio Pilia.
È anche questo
rinnovato clima politico-culturale che favorisce la ripresa delle indagini
sulla storia e la cultura sarda che già si erano registrati all'inizio del
Novecento grazie all'opera di archeologi, antropologi, linguisti, storici delle
religioni. Nel 1901, Enrico Besta
aveva fondato la rivista Studi Sassaresi e, nel 1905, era uscito il
primo numero dell'Archivio Storico Sardo. Nel 1909 erano comparsi i
primi saggi del Pettazzoni sulla Religione primitiva in Sardegna. Nel primo
decennio del 1900 i saggi di Max Leopold Wagner sul sardo. Né si può trascurare
l'apporto al dibattito sulla questione sarda e sul problema dell'autonomia dato
dalla rivista di Attilio Deffenu Sardegna, che uscì dal
gennaio al giugno del 1914 e radunò le energie intellettuali più vive.
Il Novecento
Il
Nuraghe e la questione sarda
Del nuovo clima politico e del grande patrimonio di studi che ne
discende, come accennato, si sente erede la rivista Il Nuraghe
(1923 - 1932), che diventa simbolo della nuova consapevolezza di popolo e della
identità sarda in una nuova prospettiva autonomistica di integrazione nazionale
e che promuove, con le sue pubblicazioni, la conoscenza della storia e della
letteratura prodotta in Sardegna in lingua italiana e in lingua sarda.
Il dibattito sulla questione sarda, iniziato alla fine
dell'Ottocento con le commissioni parlamentari di inchiesta e proseguito
specialmente nel dopoguerra, assume ora una colorazione sardista sempre più
marcata. A questo gruppo, che aveva in Lussu, in Bellieni, in Carta
Raspi e in Fancello, gli esponenti di punta, si possono ascrivere Pietro
Casu, Raimondo Lecis, Maria Delogu, Francesco Cucca, Filiberto
Farci, Giovanni Antonio Mura, Lina Masala Lobina, Francesco
Brundu (pseudonimo di Francesco Fancello) e, a margine, Giovanni Cau.
Il Novecento
Pietro
Casu
Pietro Casu (1878-1954), sacerdote e teologo,
intese rompere con la tradizione deleddiana del romanzo, sostituendo al
"fatalismo" una concezione della vita e della storia fondata sulla
fede e sulla fiducia in un rinnovamento di quella che veniva chiamata l'anima
sarda. Notte sarda. Vecchia storia di Gallura (1910) doveva essere,
nelle intenzioni dell'autore, il primo di una trilogia e rappresentava il fosco
passato della nostra terra: gli altri volumi avrebbero avuto per titolo Aurora sarda
e Meriggio sardo ed avrebbero descritto l'uno il presente, l'altro
l'avvenire della Sardegna.
La sua vasta
produzione in lingua italiana comprende inoltre i romanzi Ghermita al cuore
(1920), Il voto (1921), Per la Sardegna (1922), La dura
tappa (1923), Tra due crepuscoli (1924), Mal germe (1925), La
voragine (1926), Santa vendetta (1929), Cuore veggente
(1938).
In conformità
con i propositi enunciati, la sua narrativa risponde ad una esigenza di
sentimenti profondi, di passioni forti nutrite da modelli barbarici con i quali
lottano sentimenti nobili e modelli dell'etica cristiana; la sua lingua è
costruita sui moduli illustri della tradizione tardo-ottocentesca.
Una
produzione, insomma, fortemente datata che ha contribuito a confermare
l'immagine di una Sardegna di maniera, museo del folklore, nella quale
sopravvivono tradizioni e riti arcaici. Pietro Casu fu studioso della lingua
sarda e sostenitore della sua dignità e dell'urgenza di difenderla e tutelarla.
Ha tradotto la
Divina Commedia (Sa Divina
Cummedia), ha lavorato ad un Vocabolario Sardo
Logudorese-Italiano (2002) ed ha scritto poesie che sono state raccolte
nell'edizione postuma del 1978 col titolo di Cantones. Nelle Preigas
(Prediche), anch'esse pubblicate postume nel 1978, cercò di trovare un punto
d'incontro tra la tradizione religiosa locale e la prosa dell'eloquenza
religiosa classica e moderna: le prediche, che egli teneva come predicatore
ormai famoso, costituiscono uno dei pochi esempi di prosa in lingua sarda
impiegata nel contesto tipico dell'oralità.
Il Novecento
Giovanni
Antonio Mura
Quasi coetaneo
di Casu fu Giovanni Antonio
Mura (1879-1943), sacerdote, si laureò in teologia a Roma e vi
risiedette a lungo per affinare la preparazione. Fu poi parroco di alcuni paesi
della Sardegna. Strinse rapporti di amicizia con Sebastiano Satta, con Grazia
Deledda e Attilio Deffenu. Fu poeta, narratore ed oratore sacro. La sua
produzione narrativa, nutrita di umori religiosi, sociali e regionalistici,
comprende Silvestria (1900), Stella mattutina (1901) e La tanca fiorita
(1935). Le sue più importanti raccolte di versi, La fontana di Sichar
(1901) e Gesù sull'Ortobene (1902), sono di ispirazione religiosa.
Il Novecento
Il
progetto postdeleddiano
La
straordinaria diffusione dell’opera della Deledda aveva favorito, in qualche
modo, la nascita di una generazione postdeleddiana, formata da quegli scrittori
che sentirono il bisogno di rompere con la maniera della scrittrice nuorese.
Occorre dire che il loro tentativo riguardò per lo più gli aspetti contenutistici, assai meno le forme espressive e, in particolare, le scelte linguistiche.
Rispetto alla Deledda che, a loro giudizio, aveva evocato una Sardegna statica, bloccata in un assetto sociale arcaico, costoro sentirono l’esigenza di descrivere una terra in movimento, capace di superare i vincoli dai quali era stata segnata un’intera vicenda storica.
Più che di un progetto narrativo si trattava di un’aspirazione ideale e politica che solo in casi circoscritti ha dato luogo a prodotti narrativi apprezzabili.
La esprimono, nella differenza delle qualità intrinseche, i romanzi e i racconti di
Occorre dire che il loro tentativo riguardò per lo più gli aspetti contenutistici, assai meno le forme espressive e, in particolare, le scelte linguistiche.
Rispetto alla Deledda che, a loro giudizio, aveva evocato una Sardegna statica, bloccata in un assetto sociale arcaico, costoro sentirono l’esigenza di descrivere una terra in movimento, capace di superare i vincoli dai quali era stata segnata un’intera vicenda storica.
Più che di un progetto narrativo si trattava di un’aspirazione ideale e politica che solo in casi circoscritti ha dato luogo a prodotti narrativi apprezzabili.
La esprimono, nella differenza delle qualità intrinseche, i romanzi e i racconti di
- Pietro Casu
(1878-1954),
- Giovanni
Antonio Mura (1879-1943),
- Filiberto
Farci (1882-1965),
- Romolo
Riccardo Lecis (1899-1962),
- Lino Masala Lobina
(1901-1965).
Intento comune
sembra essere quello di superare il quadro antropologico della Sardegna
proposto nei romanzi deleddiani: le radicate inimicizie, causa prima
dell’immobilità sarda, vengono meno, i valori tradizionali sono sottoposti a
revisione (ma anche acriticamente esaltati), si afferma una prospettiva di
crescita politica e culturale in linea con la temperie dalla quale, negli anni
Venti, nasceva il Partito Sardo d’Azione.
La
‘rivoluzione antideleddiana’ sostanzialmente fallisce sotto il profilo linguistico;
i modelli canonici resi celebri dalla Deledda vengono per lo più ripresi. Si
nota semmai una ridondanza e una ricercatezza lessicale che cozzano con le
situazioni umane caparbiamente poste al centro dell’azione narrativa.
Il Novecento
Filippo
Addis
Filippo Addis indaga i temi della sardità con
spirito caustico e con un approccio stracittadino dal quale gli è reso
difficile il rapporto con lo strapaese dei villaggi sardi, e con un
gusto del grottesco, alle volte troppo insistito, derivante dalla lezione
dell’esperienza letteraria italiana.
Formatosi a
Torino, Firenze e Roma, ha pubblicato i suoi primi racconti nella Fanfulla
della Domenica e in vari giornali torinesi. Del 1905 è Gloria oratoria,
del 1920 la raccolta Il divorzio
e del 1926 quella che prende il titolo dal racconto Giagu Iscriccia. Più
che al romanzo vero e proprio, egli propende per il racconto lungo o per la
novella. Si ricollega, in questo, alla tradizione novellistica italiana, e
quindi è in controcorrente rispetto alla tendenza rappresentata dai seguaci
della Deledda e in linea, semmai, con il gusto eclettico proprio della prosa
d'arte.
Ambienta i
suoi racconti in Gallura che descrive con uno stile nitido e preciso mutuato
dai modelli letterari della prosa toscaneggiante di estrazione rondista e, al
limite, nei racconti più tardi, strapaesana. Il suo modello narrativo propende
al bozzetto, talora grottesco, e, tuttavia, capovolge la rappresentazione
tradizionale dell'Isola e, con umore argutamente polemico, ne dissacra lo
stereotipo di una memoria melensa e acritica che rischia di chiuderla al mondo
e alla modernità.
Il Novecento
Francesco
Brundu
Le tendenze
che si affermano dopo Addis sono già quelle del secondo dopoguerra, quelle del
codice narrativo degli scrittori che raccontano l'esperienza della Resistenza,
del neorealismo.
Tra la prima e
la seconda guerra si colloca l'opera narrativa di Francesco Brundu,
pseudonimo di Francesco
Fancello (1884-1970), sodale di Lussu, che partecipa alla lotta
antifascista nel gruppo di Giustizia e libertà. Egli afferma un punto di
vista sardo, autonomistico, aggiornato rispetto ai complessi nodi politici, antropologici
ed estetici che riguardano la cultura e la società sarda, ma anche ai termini
del dibattito letterario contemporaneo e del rinnovamento che si attua nella
seconda metà del Novecento.
Il suo romanzo
Il diavolo tra i pastori, viene pubblicato nell'aprile del 1945 a Roma,
immediatamente dopo la Liberazione. Un narratore onnisciente racconta in terza
persona, in un romanzo saggio, una materia certamente insolita e difficile, lo
sradicamento e il blocco antropologico di costumi e tradizioni che dominano in
maniera irrazionale la vita di una comunità.
Il secondo
romanzo, Il salto delle pecore matte, del 1949, prende il titolo da un
impervio luogo della Barbagia dove, un vecchio e cocciuto pastore ha
localizzato un filone di piombo argentifero che vorrebbe sfruttare. La miniera,
fortemente connotata in senso etnico, allude a un riscatto che guidi i Sardi a
riappropriarsi del filone della propria identità. La narrazione in terza
persona trasferisce nella pagina pensieri, sentimenti ed emozioni, progetti dell'io
narrante, organizzati in un intreccio ben costruito ma lento.
Egli impiega un italiano letterario che è il risultato delle raffinate esperienze degli anni Trenta - Quaranta e che tiene conto dell'incontro di due culture le cui reciproche concessioni finiscono per attenuare il continuo scambio tra concretezza e squisitezza letteraria.
Egli impiega un italiano letterario che è il risultato delle raffinate esperienze degli anni Trenta - Quaranta e che tiene conto dell'incontro di due culture le cui reciproche concessioni finiscono per attenuare il continuo scambio tra concretezza e squisitezza letteraria.
Il Novecento
Il
dibattito politico. Gramsci
Un ruolo
notevole nel secondo dopoguerra sardo e italiano ebbe Antonio Gramsci (1891-1937).
I suoi Quaderni dal carcere vennero pubblicati a partire dal 1947 grazie ai circuiti editoriali del Partito Comunista Italiano di cui Gramsci, come è noto, fu fondatore e segretario.
Scritti negli anni della prigionia impostagli dal fascismo, i Quaderni sono una riflessione lunga, svolta a più riprese e alla luce delle sollecitazioni più diverse sulla storia e sui destini della società italiana.
Questa riflessione assume spesso i toni del programma politico per l'edificazione di una nuova società, che Gramsci auspicava fosse comunista, sebbene il suo leninismo si veni di certe connotazioni anarchiche che lo resero, anche post mortem, imbarazzante anche nel suo partito. Si consideri, per poter valutare correttamente il valore del suo pensiero, che quando egli scriveva, ancora non si aveva coscienza della natura autoritaria, violenta e antidemocratica dei sistemi comunisti dell'Est. Nel 1950, tratto sempre dai Quaderni, uscì Letteratura e vita nazionale.
I suoi Quaderni dal carcere vennero pubblicati a partire dal 1947 grazie ai circuiti editoriali del Partito Comunista Italiano di cui Gramsci, come è noto, fu fondatore e segretario.
Scritti negli anni della prigionia impostagli dal fascismo, i Quaderni sono una riflessione lunga, svolta a più riprese e alla luce delle sollecitazioni più diverse sulla storia e sui destini della società italiana.
Questa riflessione assume spesso i toni del programma politico per l'edificazione di una nuova società, che Gramsci auspicava fosse comunista, sebbene il suo leninismo si veni di certe connotazioni anarchiche che lo resero, anche post mortem, imbarazzante anche nel suo partito. Si consideri, per poter valutare correttamente il valore del suo pensiero, che quando egli scriveva, ancora non si aveva coscienza della natura autoritaria, violenta e antidemocratica dei sistemi comunisti dell'Est. Nel 1950, tratto sempre dai Quaderni, uscì Letteratura e vita nazionale.
L’opera fu
decisiva nell'orientare all'impegno politico-culturale diversi scrittori e
critici per i quali, come per Gramsci, la "cultura [divenne] una maniera
di lottare in attesa di un'azione che gli è negata" (Raimondi).
L’intellettuale è dunque sottratto all'estetismo o all'isolamento, e ricondotto sulle strade dell'impegno civile, perché la letteratura, in tutte le sue forme, concorre naturalmente a diffondere "una concezione della vita e dell'uomo".
Gramsci richiama l'interesse dei critici sulla necessità di rivisitare il valore della tradizione alta della letteratura italiana, così poco popolare e diffusa socialmente, alla luce del sistema della comunicazione culturale in un grande sistema sociale "dove alle forme della tradizione se ne aggiungono altre che vengono considerate minori, volgari e che invece hanno un'importanza decisiva, perché dialogano con l'uomo medio" (Raimondi).
L’intellettuale è dunque sottratto all'estetismo o all'isolamento, e ricondotto sulle strade dell'impegno civile, perché la letteratura, in tutte le sue forme, concorre naturalmente a diffondere "una concezione della vita e dell'uomo".
Gramsci richiama l'interesse dei critici sulla necessità di rivisitare il valore della tradizione alta della letteratura italiana, così poco popolare e diffusa socialmente, alla luce del sistema della comunicazione culturale in un grande sistema sociale "dove alle forme della tradizione se ne aggiungono altre che vengono considerate minori, volgari e che invece hanno un'importanza decisiva, perché dialogano con l'uomo medio" (Raimondi).
Va detto che
quando Gramsci parla della Sardegna, tutto è velato dagli occhi lirici
dell'infanzia. Non rinnegò mai le sue origini, anzi, anche da un punto di vista
pedagogico consigliò sempre ai familiari di radicarsi e partire da una solida
integrazione nella cultura locale.
Tuttavia, egli ebbe ben chiara la necessità della modernizzazione dell'Isola, ma a differenza di molti suoi epigoni, non concepì quest'istanza di progresso in contrapposizione con la tradizione, Non vedeva un rapporto tra l'interno arretrato e l'esterno evoluto appiattito su uno dei due termini.
Tuttavia, egli ebbe ben chiara la necessità della modernizzazione dell'Isola, ma a differenza di molti suoi epigoni, non concepì quest'istanza di progresso in contrapposizione con la tradizione, Non vedeva un rapporto tra l'interno arretrato e l'esterno evoluto appiattito su uno dei due termini.
"L'immagine
che egli ci propone complessivamente si articola su due tonalità diverse e
complementari: la poesia della fiaba, lo sguardo stupito dell'infanzia che
scopre il suo mondo, lo ama, in esso si riconosce e da quello parte per la
grande avventura della conoscenza, convivono con la capacità serena di
comprenderne i limiti, di cercarne una razionale interpretazione. In perfetta
coerenza con il principio indicato al fratello: non credersi superiori
all'ambiente in cui si vive, ma non lasciarsene sommergere" (G.
Marci).
Per quanto riguarda la Sardegna, Gramsci restituisce dignità anche alle parole della lingua impiegata nell’uso quotidiano e domestico.
Un insegnamento di per se stesso persuasivo che ha acquistato ulteriore forza di penetrazione per la lettura data da Renzo Laconi, prima e poi da Umberto Cardia, l’uno e l’altro impegnati, con l’azione politica, lo studio e la scrittura, a mostrare i fondamenti dell’autonomia e a mettere in luce la tradizione intellettuale sarda.
Per quanto riguarda la Sardegna, Gramsci restituisce dignità anche alle parole della lingua impiegata nell’uso quotidiano e domestico.
Un insegnamento di per se stesso persuasivo che ha acquistato ulteriore forza di penetrazione per la lettura data da Renzo Laconi, prima e poi da Umberto Cardia, l’uno e l’altro impegnati, con l’azione politica, lo studio e la scrittura, a mostrare i fondamenti dell’autonomia e a mettere in luce la tradizione intellettuale sarda.
Il Novecento
Giuseppe
Dessì
Giuseppe Dessì rinnova la scelta di porre la Sardegna al centro delle sue
opere e interpreta in maniera originale il tema della memoria, in linea
con il procedere narrativo delle letterature novecentesche. Lo fa attivando un
confronto continuo col dato storico e col bisogno psicologico di autoconoscenza
e di autocomprensione.
Dessì, certamente leggendo Gramsci, ma soprattutto l'interpretazione che Lussu, da sardo, dava della prima guerra mondiale, ha potuto comprendere l'esperienza militare paterna e ha potuto rileggere con sempre maggiore chiarezza il proprio vissuto e il passato storico dell'Isola.
Dessì, certamente leggendo Gramsci, ma soprattutto l'interpretazione che Lussu, da sardo, dava della prima guerra mondiale, ha potuto comprendere l'esperienza militare paterna e ha potuto rileggere con sempre maggiore chiarezza il proprio vissuto e il passato storico dell'Isola.
Egli delinea
un itinerario individuale e collettivo che ha a che vedere con la coscienza del
singolo individuo e col sentimento di un popolo bisognoso di identificare se
stesso nei travagli dei percorsi storici attraverso i quali è passato per
conquistare una sua modernità.
Durante la
guerra e nel primo dopoguerra, Dessì aveva collaborato alla rivista Riscossa
(1944-1946) di Francesco Spano Satta. Del gruppo dei collaboratori facevano
parte ancora Emilio Lussu, Antonio Borio, Salvatore Cottoni, Franco Fulgheri,
Giovanni Floris, Francesco Masala, Fiorenzo Serra, Nino Giagu, Vico Mossa,
Giovanni Maria Cherchi, Antonio Santoni Rugiu, Angelo Mannoni, Giovanni Lilliu,
Luca Pinna, Gavino Musio, Augusto Maddaleni, Toti Mannuzzu, Teresa Crobu, tutti
sardi, e Lorenzo Giusso, Aurelio Roncaglia, Lanfranco Caretti, Giorgio Bassani,
Franco Matacotta, Antonio Delfini e Joyce Lussu che si trovavano temporaneamente
in Sardegna o che erano stati invitati a collaborare alla pagina letteraria
della rivista.
Vi scrissero, ed ebbero modo di dibattere le proprie idee, cattolici, socialisti, azionisti, comunisti, quanti cioè, in quel particolare momento, svolgevano a Sassari una attività culturale e politica che era sorretta, almeno allora, da un valido supporto teorico e dottrinale e da una appassionata motivazione intellettuale.
Occorre, inoltre, dar conto del gruppo che si radunava intorno alla rivista Ichnusa (1949-1952 e poi 1956-1962) di Antonio Pigliaru e che si proponeva di allargare e approfondire la riflessione sulla nuova cultura che maturava nella società sarda. Nonostante il gruppo redazionale tendesse a sviluppare gli spunti che offrivano le osservazioni e le considerazioni di Gramsci, il punto di vista e l'ottica restavano però incentrati, per quel che riguarda la letteratura, sulla produzione in lingua italiana.
Vi scrissero, ed ebbero modo di dibattere le proprie idee, cattolici, socialisti, azionisti, comunisti, quanti cioè, in quel particolare momento, svolgevano a Sassari una attività culturale e politica che era sorretta, almeno allora, da un valido supporto teorico e dottrinale e da una appassionata motivazione intellettuale.
Occorre, inoltre, dar conto del gruppo che si radunava intorno alla rivista Ichnusa (1949-1952 e poi 1956-1962) di Antonio Pigliaru e che si proponeva di allargare e approfondire la riflessione sulla nuova cultura che maturava nella società sarda. Nonostante il gruppo redazionale tendesse a sviluppare gli spunti che offrivano le osservazioni e le considerazioni di Gramsci, il punto di vista e l'ottica restavano però incentrati, per quel che riguarda la letteratura, sulla produzione in lingua italiana.
Certamente
Dessì, agli inizi della sua carriera, aveva preso le distanze dal deleddismo
per individuarne poi le profonde implicazioni e sostenere, con la sua solita
ironia, che i due più grandi uomini che aveva la Sardegna erano due donne:
Eleonora d'Arborea e Grazia Deledda, sottolineando così, con un motto arguto,
il loro ruolo nazionale sardo.
Come scrittore Dessì intese, e lo
dichiarò in maniera esplicita, sottrarsi all'ipoteca della narrativa deleddiana
e si avvalse dei modelli elaborati dalla prosa del soggettivismo lirico del
Novecento e, soprattutto, dei procedimenti della memoria proustiana. La
Sardegna è subito al centro del suo progetto narrativo, mediata, come immagine,
dalla memoria e con una valenza fantastica e simbolica assolutamente moderna
che non intende avere referenti reali, ma solo esistenziali.
La sua opera
si dispiega tra la prima e la seconda metà del secolo e sembra quasi seguire e
indicare quelle fasi, che si distinguono ma che anche si compenetrano, e
accompagnano la narrativa sarda nel passaggio fra primo e secondo Novecento.
Le sue opere principali:
Le sue opere principali:
- San
Silvano,1939,
- Michele
Boschino, 1942,
- Storia
del Principe Lui, 1948,
- I passeri, 1955,
- Introduzione
alla vita di Giacomo Scarbo, 1959,
- Racconti
drammatici,1959,
- Il
disertore,
1961,
- Eleonora
d’Arborea,
1964,
- Paese
d’ombre,
1972
Nel romanzo storico Paese d’ombre le più innovative
esperienze della letteratura europea novecentesca - dal monologo interiore alla
scansione del tempo dell’interiorità e della memoria - convivono nella
rappresentazione di una storia sarda tesa verso il progetto di Angelo Uras.
Nel romanzo si confrontano sostanzialmente tre Sardegne:
Nel romanzo si confrontano sostanzialmente tre Sardegne:
- una
arcaica, i cui valori sono quelli comunitari e solidali, sorretti da norme
interiorizzate e motivate, ispirate a una norma naturale di giustizia, una
sorta di Ursardinien, distillato di una saggezza millenaria;
- un'altra
Sardegna, ugualmente ancestrale, basata anch'essa su codificazioni che
sanciscono il diritto barbarico della vendetta e su una serie di regole
tribali di solidarietà al clan che obbligano all'omertà e fungono da
copertura alla devianza (una devianza che anche in anni recenti è stata
giustificata, più che spiegata, ricorrendo alla "costante
resistenziale");
- un'altra
Sardegna ancora, moderna, nutrita di cultura autonomista e orientata al
dialogo verso l'esterno, in grado di saldarsi a quella arcaica nella
ricerca di una autoidentificazione, di un'autenticità e di un'equità
basata su norme che continuano i codici solidali originari e i relativi
valori, i quali sollecitano nuove mediazioni culturali e politiche nella
cultura democratica contemporanea.
Il Novecento
I
premi letterari
Nel 1965 viene pubblicata l'antologia Narratori di Sardegna
in cui Giuseppe Dessì e Nicola Tanda tentano una prima sistemazione critica
della tradizione letteraria sarda.
In essa veniva posto in primo piano il problema del bilinguismo della società sarda, nel tentativo di comprendere le ragioni della scarsa incidenza della letteratura prodotta in Sardegna in italiano, nel sistema della letteratura nazionale. Le ragioni venivano individuate nelle difficoltà che gli scrittori incontravano nel trasferire il proprio vissuto, che si era costituito in lingua sarda, vera matrice della propria lingua poetica, in una lingua, sostanzialmente estranea, molto spesso appresa in maniera scolastica e libresca. Era possibile, del resto, individuare nella loro prosa la difficoltà di impiegare, con equilibrio, i vari registri linguistici. Questa discrasia limitò molto gli scrittori e sollecitò i critici a una più precisa presa di coscienza teorica sul significato e il valore della letteratura in lingua sarda.
In essa veniva posto in primo piano il problema del bilinguismo della società sarda, nel tentativo di comprendere le ragioni della scarsa incidenza della letteratura prodotta in Sardegna in italiano, nel sistema della letteratura nazionale. Le ragioni venivano individuate nelle difficoltà che gli scrittori incontravano nel trasferire il proprio vissuto, che si era costituito in lingua sarda, vera matrice della propria lingua poetica, in una lingua, sostanzialmente estranea, molto spesso appresa in maniera scolastica e libresca. Era possibile, del resto, individuare nella loro prosa la difficoltà di impiegare, con equilibrio, i vari registri linguistici. Questa discrasia limitò molto gli scrittori e sollecitò i critici a una più precisa presa di coscienza teorica sul significato e il valore della letteratura in lingua sarda.
Furono soprattutto i premi letterari, e più di ogni altro
il Premio Ozieri, a creare una possibilità di effettivo interscambio tra
le esperienze letterarie nelle due lingue. L'antologia di Tanda e Dessì,
concepita nell'ambito di una collana che si proponeva di rendere conto delle
diverse realtà letterarie regionali, prendeva l'avvio dagli scrittori di fine
Ottocento e dei primi del Novecento e trovava il punto cardine di una
storiografia letteraria regionale nella Deledda e i suoi canoni nelle opere di
Lussu, di Gramsci, di Dessì e di Cambosu.
Venivano quindi registrate le esperienze del primo dopoguerra, quelle di Franco Solinas, Francesco Masala, Maria Giacobbe, Giuseppe Fiori, Paride Rombi, Giuseppe Zuri (pseudonimo di Salvatore Mannuzzu). Prove narrative che sono da collocare, come è stato accennato, nell'ambito di pertinenza dei codici narrativi del romanzo neorealista, un modo di narrare che voleva essere vicino ai processi del reale e si avvaleva di moduli neoverghiani nella supposizione che le vicende quasi potessero narrarsi da sole. Tra questi, solo la Giacobbe e Mannuzzu hanno continuato a scrivere opere esclusivamente narrative. Successive, e solo in parte ascrivibili a queste, sono le esperienze di Antonio Cossu, di Antonio Puddu, di Francesco Zedda e Michele Columbu, e, in parte di Nunzio Cossu e di Pietrino Marras.
Venivano quindi registrate le esperienze del primo dopoguerra, quelle di Franco Solinas, Francesco Masala, Maria Giacobbe, Giuseppe Fiori, Paride Rombi, Giuseppe Zuri (pseudonimo di Salvatore Mannuzzu). Prove narrative che sono da collocare, come è stato accennato, nell'ambito di pertinenza dei codici narrativi del romanzo neorealista, un modo di narrare che voleva essere vicino ai processi del reale e si avvaleva di moduli neoverghiani nella supposizione che le vicende quasi potessero narrarsi da sole. Tra questi, solo la Giacobbe e Mannuzzu hanno continuato a scrivere opere esclusivamente narrative. Successive, e solo in parte ascrivibili a queste, sono le esperienze di Antonio Cossu, di Antonio Puddu, di Francesco Zedda e Michele Columbu, e, in parte di Nunzio Cossu e di Pietrino Marras.
Gli
anni Cinquanta
Negli anni Cinquanta
vecchio e nuovo coesistono:
- Francesco
Zedda pubblica
C’è
un’isola antica (1953), che fin dal titolo annuncia lo scenario
di riferimento, con quell’antico di cui si continua ad andare
orgogliosi e che viene ancora interpretato con lo spirito della tradizione
letteraria, sia pure introducendo un modo di trattare la storia che,
questa volta, ignora la verità dei documenti e preferisce l’invenzione
alla quale si consegna la volontà di risarcimento
- Paride
Rombi con Perdu
(1953) che riprende un modulo deleddiano, sia pure con una storia
ambientata in una regione isolana diversa dalla fiera Barbagia.
Scrittore di
indubbio rilievo culturale e letterario, Zedda si è formato a Cagliari e poi
nella Milano del primo dopoguerra, nel contesto di quelle esperienze artistiche
e nella quasi quotidiana frequentazione di Quasimodo, di Montale, di Aligi
Sassu e Achille Funi. Zedda ha la fantasia e gli strumenti del grande narratore,
cioè l'arte di costruire la complessa macchina narrativa del romanzo e di
dominarla in tutte le sue parti. Il suo narrare epico, intriso e quasi
impastato di umori sociali, storici, psicologici, è costruito con grande
sapienza letteraria sui modelli narrativi della grande tradizione italiana e
straniera, da Manzoni a Bacchelli, da Tolstoj a Stendhal. Tuttavia mai Zedda si
allontana dal suo automodello sardo che ricorre in tutti i suoi romanzi, con la
sola eccezione dell'ultimo, Sinfonia aurea (1987).
Testimoniano
il mutamento di clima, oltre alle opere di Salvatore
Cambosu Una
stagione a Orolai (1957) e Miele amaro (1954 anche il Diario di
una maestrina (1957) di Maria Giacobbe.
Sia per
Cambosu, sia per la Giacobbe, la Sardegna non è più un assoluto che vive il
rapporto con l’esterno come un disturbo (la dominazione, il saccheggio
delle risorse), nella convinzione che il tutto il bene possibile sia nel suo
territorio e tutto il male all’esterno, ma è una terra e un ambiente sociale ed
economico che nel confronto con la contemporanea realtà italiana e mondiale
scopre la propria debolezza e la nuova ingiustizia da cui è colpita.
Il Novecento
Gli
anni Sessanta
Negli anni
Sessanta la tendenza inaugurata da Cambosu e dalla Giacobbe si afferma a
opera una generazione di giovani autori che danno luogo a un indirizzo i cui
esiti arrivano fino ai giorni nostri, sia pure filtrati dalle esperienze del
successivo ventennio. Da citare:
- Sonetaula (1960) di Giuseppe Fiori, che dal nuovo è
appena sfiorato, e piuttosto spinge l’attenzione del lettore verso un
mondo antico e al tramonto;
- Un Dodge a
fari spenti
(1962) di Salvatore
Mannuzzu che si firma con lo pseudonimo di Giuseppe Zuri;
- Quelli
dalle labbra bianche (1962) di Francesco
Masala;
- I figli di
Pietro Paolo (1967) e Il riscatto (1969) di Antonio
Cossu;
- L’aurora
è lontana (1968)
di Michele Columbu;
- Zio
Mundeddu
(1968) di Antonio
Puddu.
Queste opere,
tra loro assai diverse, nel complesso riescono tuttavia a dare il senso del
grande cambiamento intervenuto, nel mondo sardo, e nella sua letteratura.
Una citazione a parte merita il romanzo Squarciò (1956) di Franco Solinas che offre una rappresentazione atipica della Sardegna e dei suoi problemi: non meno coinvolta, tuttavia, con le fondamentali questioni attorno alle quali hanno lavorato tanti autori isolani.
Solinas sposta l’attenzione dalle montagne alle coste, dagli ambiti pastorali più noti a un inedito ambiente marinaresco, da moduli narrativi ben collaudati verso un’asciuttezza stilistica e tagli del racconto che preludono alla scrittura per il cinema, suo più autentico campo d’azione.
Una citazione a parte merita il romanzo Squarciò (1956) di Franco Solinas che offre una rappresentazione atipica della Sardegna e dei suoi problemi: non meno coinvolta, tuttavia, con le fondamentali questioni attorno alle quali hanno lavorato tanti autori isolani.
Solinas sposta l’attenzione dalle montagne alle coste, dagli ambiti pastorali più noti a un inedito ambiente marinaresco, da moduli narrativi ben collaudati verso un’asciuttezza stilistica e tagli del racconto che preludono alla scrittura per il cinema, suo più autentico campo d’azione.
Il Novecento
Michele
Columbu e Nunzio Cossu
Michele
Columbu (1914) riprende
le ragioni del sardismo storico per aggiornarlo alle problematiche
contemporanee. Il suo narrare in terza persona assume un punto di osservazione
interno e muove dal recupero dell'esperienza di chi ritorna, dalla guerra o
dalla prigionia, come in L'aurora è lontana. Dalla Sardegna: Racconti (1968).
L'ironia attenua i margini di partecipazione a quell'universo antropologico e
prefigura l'attesa di un riscatto, motivo ricorrente nella narrativa di matrice
sardista (si ricordi Aurora sarda di Pietro Casu).
Il successivo, Senza un perché, segnalato nella cinquina del Premio Dessì del
1992, ha il fascino della fiaba. Compie infatti un passo ulteriore verso una
narrazione che, mediante un insieme di punti di vista, realizza la coralità del
paese e consente il variare di prospettive di senso che gli avvenimenti possono
creare.
Nunzio
Cossu (Orotelli 1915- Roma 1971) persegue in Caino una forma di romanzo in controtendenza rispetto
al codice narrativo neorealista, nel quale è predominante la ricerca di un
linguaggio che poeticamente tenta di restituire al lettore suggestioni
primordiali, non soltanto nell'ambientazione, ma anche nei personaggi, colti
fantasticamente nella loro psicologia e nei loro atteggiamenti biblici.
La narrazione in terza persona, distaccata come provenisse da ricordi ancestrali, procede a delineare il percorso dell'uomo verso l'accettazione del proprio destino terrestre. Il suo determinarsi avviene, in un'atmosfera mitica, in rapporto con la natura all'esterno e con la coscienza al proprio interno. Nel proposito di aderire ad una natura aspra ed essenziale, la lingua aderisce strettamente alla percezioni e alle sensazioni.
La narrazione in terza persona, distaccata come provenisse da ricordi ancestrali, procede a delineare il percorso dell'uomo verso l'accettazione del proprio destino terrestre. Il suo determinarsi avviene, in un'atmosfera mitica, in rapporto con la natura all'esterno e con la coscienza al proprio interno. Nel proposito di aderire ad una natura aspra ed essenziale, la lingua aderisce strettamente alla percezioni e alle sensazioni.
Il Novecento
Antonio
Puddu
Antonio Puddu (1933), come Michele Columbu, si
muove nella realtà del mondo agropastorale e affronta in Zio Mundeddu (1968)
il grande tema dell'esistenza e dei sentimenti che si agitano nella coscienza
di uomini semplici e saggi.
Riformula in
italiano le vicende che personaggi, immersi in un universo di parlanti in
sardo, hanno vissuto. Sceglie perciò un italiano che si adatta a una situazione
regionale mediante un registro familiare e quotidiano, in grado di rendere le
emozioni e le riflessioni di un pastore che sogna ed ha una ricca vita
interiore. La sua prosa, la sintassi soprattutto, si adatta al flusso dei
pensieri intorno alla dura lotta per sopravvivere, alla bellezza della natura,
ai moti della coscienza, agli affetti e alla famiglia. Il suo monologare si
realizza spesso in forma diretta, oppure con il discorso indiretto libero.
Anche il suo secondo romanzo, La colpa di vivere (1983), approfondisce il tema della faticosa esistenza umana. Il cambiamento, indotto nel paese dalla meccanizzazione e dalla lotta politica, produce emigrazione e perdita dei valori della collettività e affonda tutti, possidenti e agricoltori, in una palude di angoscia irrimediabile dalla quale emergono solo i ricordi di un passato povero, ma attivo e sereno. La scrittura, sobria e controllata, è in funzione di una costruzione narrativa essenziale e misurata nella sua tensione drammatica.
Sono del 1996 i racconti La valle dei colombi e del 2001 il romanzo Dopo l’estate.
Anche il suo secondo romanzo, La colpa di vivere (1983), approfondisce il tema della faticosa esistenza umana. Il cambiamento, indotto nel paese dalla meccanizzazione e dalla lotta politica, produce emigrazione e perdita dei valori della collettività e affonda tutti, possidenti e agricoltori, in una palude di angoscia irrimediabile dalla quale emergono solo i ricordi di un passato povero, ma attivo e sereno. La scrittura, sobria e controllata, è in funzione di una costruzione narrativa essenziale e misurata nella sua tensione drammatica.
Sono del 1996 i racconti La valle dei colombi e del 2001 il romanzo Dopo l’estate.
Il Novecento
Pietrino
Marras
Ancora in questo periodo occorre
inquadrare l'opera narrativa Le pietre bianche, in cui Pietrino
Marras (Bono 1925-1979) racconta la sua prima esperienza di insegnante
degli adulti in una sperduta frazione dei salti di Alà dei Sardi. L'autore
riesce a restituire intera la suggestione di una società che resiste al
tentativo di osservazione da parte di una cultura esterna e si rivela, invece,
pienamente a chi mostra di volerla osservare dall'interno con animo partecipe.
A questo maestro, cacciatore e poeta in lingua sarda, la comunità rivela il
prodigio di un sapere atavico che realizza una forma di sopravvivenza
primordiale, che disprezza l'acculturazione e in armonia con una natura pure
aspra, produce uomini consapevoli e straordinariamente uniti da legami di
solidarietà.
Il fascino del
primitivo arricchisce la suggestione delle pagine che descrivono l'ambiente e i
personaggi. Marras continua sulla scia del Diario di una maestrina
(1957) di Maria Giacobbe
(1928) e di Le bacchette di Lula (1969) di Albino Bernardini, il
racconto del confronto tra il superficiale sapere dell'acculturazione e il più
suggestivo sapere, quello profondamente vissuto dalla comunità osservata, che
si esprime nei modi primitivi della iniziazione della scuola impropria.
Il Novecento
Bachisio
Zizi
I romanzi che Bachisio Zizi (1925) ha scritto dal 1968 a oggi
alludono spesso metonimicamente, anche nei titoli, a luoghi aspri e duri: Il
filo della pietra (1972), Il ponte di Marreri (1981), e, dopo
l'approccio sociologico degli inizi con Marco e il banditismo (1968),
con uno spostamento metaforico, rinviano al rapporto ossimorico
mansuetudine-rabbia di Greggi d'ira (1978), fino a giungere, penetrando
nel vortice della memoria, al mito emblema di Erthole (1984).
I romanzi appaiono come variazioni e articolazioni di uno stesso tema, di una Erlebnis che li codifica secondo procedimenti e regole narrative proprie di una scrittura di impianto realistico e di una lingua letteraria perennemente oscillante tra il tono lirico alto e l'andamento prosastico aperto a inflessioni e a procedimenti sintattici regionali.
I romanzi appaiono come variazioni e articolazioni di uno stesso tema, di una Erlebnis che li codifica secondo procedimenti e regole narrative proprie di una scrittura di impianto realistico e di una lingua letteraria perennemente oscillante tra il tono lirico alto e l'andamento prosastico aperto a inflessioni e a procedimenti sintattici regionali.
Con Erthole
Zizi abbandona la scelta restauratrice del racconto di impianto naturalistico
che mimava la realtà e faceva dell'autore un narratore onnisciente, depositario
di una verità che non andava cercata ma solo dimostrata, o, se si vuole
denunciata. L'io narrante ritorna dopo varie esperienze al suo paese d'origine,
Orune, nelle zone interne della Barbagia e cerca di comprendere le ragioni del
male, oscuro, endemico che travaglia questa comunità.
Il personaggio che dice io, in maniera non diversa da quello del successivo romanzo, Santi di creta (1987) si interroga ancora sull'immagine e sull'avvenire della società nuorese e della Sardegna interna, ma ormai senza certezze e, semmai, avanzando ipotesi che con quella realtà immutabile e circolare tentano di fare decisamente i conti.
Il personaggio che dice io, in maniera non diversa da quello del successivo romanzo, Santi di creta (1987) si interroga ancora sull'immagine e sull'avvenire della società nuorese e della Sardegna interna, ma ormai senza certezze e, semmai, avanzando ipotesi che con quella realtà immutabile e circolare tentano di fare decisamente i conti.
Il Novecento
Gli
anni Settanta.
Già Franco
Cagnetta, con l'Inchiesta a Orgosolo (1954) e Giuseppe Fiori
(1923) con i reportage letterari Baroni in laguna (1961) e La società
del malessere (1968) avevano trascritto nella loro prosa colta e rispettosa
del dato documentario le vicende dei pastori sardi coinvolti nel
"malessere" scaturito dall'impatto con la civiltà industriale e con i
modelli di uno sviluppo a senso unico. Ma, dopo il Sessantotto, era sembrato
che anche in campo letterario fosse possibile che i protagonisti scrivessero le
cronache delle lotte, senza che avessero conquistato una vera e propria
competenza della scrittura letteraria.
In questo clima, legato al Sessantotto, si inserisce anche la collana dei "Franchi narratori" o le altre collane analoghe destinate a opere naïf di autori che erano stati partecipi, come si diceva in quegli anni, delle "lotte in corso".
In questo clima, legato al Sessantotto, si inserisce anche la collana dei "Franchi narratori" o le altre collane analoghe destinate a opere naïf di autori che erano stati partecipi, come si diceva in quegli anni, delle "lotte in corso".
Proprio nella
collana dei "Franchi narratori" di Feltrinelli era apparso il
"memoriale" di Gavino Ledda
(1938) Padre padrone (1975) che era divenuto, grazie ad un intenso
lavoro redazionale, un testo iperletterario. Sulla linea della più vivace
narrazione orale, il vissuto della iniziazione di un pastore diventava sintomo
e referto di un complesso edipico, sociale e politico, che criminalizzava
tutti: tutti padri e tutti padroni.
Padre padrone è la potente evocazione di un universo che si ribella a se stesso e all’ordinamento sociale ed economico da cui è oppresso, filtrata attraverso lo sguardo del giovane protagonista titanicamente proteso verso un sogno di conquista della cultura e della libertà di decidere del proprio destino. Il romanzo è scritto in un ribollente impasto linguistico in cui il sardo imprigionato sembra confliggere con l’italiano: da tale scontro deriva una materia linguistica irta d’asperità ed espressivamente efficace.
Un testo che probabilmente, scritto in sardo, avrebbe accresciuto le sue straordinarie risorse di interesse e di fascino.
Padre padrone è la potente evocazione di un universo che si ribella a se stesso e all’ordinamento sociale ed economico da cui è oppresso, filtrata attraverso lo sguardo del giovane protagonista titanicamente proteso verso un sogno di conquista della cultura e della libertà di decidere del proprio destino. Il romanzo è scritto in un ribollente impasto linguistico in cui il sardo imprigionato sembra confliggere con l’italiano: da tale scontro deriva una materia linguistica irta d’asperità ed espressivamente efficace.
Un testo che probabilmente, scritto in sardo, avrebbe accresciuto le sue straordinarie risorse di interesse e di fascino.
Il Novecento
Gli
anni Settanta. Documentari e memoriali
Simile l'esperienza di Angelo Carta
(1946), autore di Anzelinu (1981) che approdava anch'egli, attraverso
l'emigrazione, alla città e alle delizie dell'istruzione scolastica. Compiuto
il percorso "cittadino", egli ha però modo di verificare proprio
l'autenticità, dal punto di vista esistenziale, della scuola impropria e, in
particolare, di quell'esperienza che intendeva porre in discussione come male.
Il lungo racconto, Anzelinu, è memorialistico, cioè autobiografico, e
oscilla costantemente tra il lirismo soggettivo della memoria e l'ironia
pungente della denuncia, anarchica e senza prospettive, del presente e delle
componenti contraddittorie che lo caratterizzano, le quali sono così esigenti
da un punto di vista etico da indurlo a ritornare per insegnare, dopo la
laurea, in Sardegna.
La scansione
narrativa muove dai luoghi, Roma o Torino, dai quali poi scatta il ricordo che
trova nella Sardegna un punto di riferimento e di approdo costante. La lingua
letteraria, inoltre, sorretta in genere dal registro lirico della memoria, cede
all'andamento della cronaca quando affronta i temi dell'acculturazione nella
città e dell'alienazione indotta da una civiltà tecnologica spesso
disumanizzante.
Il Novecento
Salvatore
Satta
In questi anni
e in questo momento di intensa militanza politico-culturale e di ripresa del
romanzo si colloca il successo del romanzo Il giorno del giudizio (1977)
di Salvatore Satta
(1902-1975), una delle opere di più alto livello letterario che si siano
registrate in Sardegna.
Prima di raggiungere un simile risultato, Satta aveva presentato al Premio Deledda La veranda, scritto nel 1925, che aveva ottenuto scarsa considerazione dalla giuria ed è stato pubblicato dopo la morte dell'autore nel 1981. Il romanzo ha finito così per rappresentare un caso letterario, una specie di Gattopardo sardo, come è stato definito, proprio perché maturato accanto e al di fuori delle tendenze narrative correnti. È infatti il prodotto di una scrittura letteraria raffinatissima e di una straordinaria libertà espressiva che traggono origine da una cultura umanistica e filosofica profonda e vastissima, un'opera che rappresenta davvero una grande e drammatica metafora dell'esistenza.
Prima di raggiungere un simile risultato, Satta aveva presentato al Premio Deledda La veranda, scritto nel 1925, che aveva ottenuto scarsa considerazione dalla giuria ed è stato pubblicato dopo la morte dell'autore nel 1981. Il romanzo ha finito così per rappresentare un caso letterario, una specie di Gattopardo sardo, come è stato definito, proprio perché maturato accanto e al di fuori delle tendenze narrative correnti. È infatti il prodotto di una scrittura letteraria raffinatissima e di una straordinaria libertà espressiva che traggono origine da una cultura umanistica e filosofica profonda e vastissima, un'opera che rappresenta davvero una grande e drammatica metafora dell'esistenza.
Il giorno del giudizio, costruito su una struttura talmente
sbilanciata da produrre, di per se stessa, effetti drammatici, nella prima
parte ricapitola i termini di una storia individuale e collettiva e racchiude
nell’unica pagina della seconda parte il breve ma compiuto monologo del
narratore che traccia l’inventario dei motivi dai quali è stato spinto a
evocare le vite dei personaggi e ripensa a ciò che quell’atto ha prodotto. Una
sintesi da giudizio conclusivo, appunto, che coincide col racconto del dramma
interiore di chi si è distaccato da un mondo con cui sente il bisogno di fare i
conti nel tentativo, vano, di riappropriarsene.
Il Novecento
Gli
anni Ottanta
Gli anni
Ottanta si aprono con Il ponte di Marreri (1981) di Bachisio Zizi,
che studia il passato avendo in mente le dinamiche economiche del presente e le
possibilità del futuro.
Seguono:
Seguono:
- Sardonica (1983) di Giulio
Angioni,
- La colpa
di vivere (1983)
di Antonio
Puddu,
- Erthole (1984) di Bachisio
Zizi,
- Apologo
del giudice bandito
(1986) di Sergio
Atzeni,
- L’oro di
Fraus (1988) di Giulio
Angioni,
- Procedura (1988) e Un morso di formica (1989)
di Salvatore
Mannuzzu.
Questi ultimi
autori, e segnatamente Atzeni e Mannuzzu, esprimono, ciascuno a suo modo, un cospicuo
sforzo di innovazione sia sotto il profilo dell’organizzazione strutturale
del racconto, sia sotto quello delle scelte linguistiche.
Il Novecento
Natalino
Piras e Paolo Cherchi
A Bua, per alcuni versi, si può accostare Natalino Piras
(1951) autore del racconto Il tradimento del mago del 1986. Un po'
racconto, un po' ricerca sul campo, il testo cerca, con scrupolo erudito e
intento documentario, di coprire la distanza tra gli antichi contos e la
narrazione moderna. Il linguaggio, dal forte spessore metaforico, si misura nel
tentativo di dare sostanza anche linguistica al confronto tra la società
arcaica e la civiltà industriale e tecnologica.
A parte occorre registrare invece un'esperienza, insolita e forse
unica in questo contesto, quella della prosa di Paolo Cherchi (1937).
Nella raffinata collana della Fondazione Schlesinger, curata da Anna Lisa Cima,
egli ha pubblicato, nel 1988, L'amante tropalico ed altri erostrati.
Erostrati e astripeti (Il Maestrale, 2005) è il titolo della sua ultima opera, riedizione, rivista e ampliata di Herostraticon. Medaglioni di astripeti ovvero dall’osco-umbro al logudorese" (Edes, 2002), pubblicata nel 2002 e vincitrice del Premio Dessì.
Cherchi, che insegna Filologia romanza nell'Università di Chicago, si pone sul versante colto e ironico della scrittura. Appartiene, in qualche modo, a quella cerchia di scrittori che di recente hanno scelto, come oggetto di narrazione, quella particolare umanità costituita dal mondo accademico internazionale, quei docenti universitari che, come i clerici vagantes o gli umanisti di una volta, sono portatori di un sapere tutto moderno, filtrato però attraverso le elaborate produzioni letterarie del passato. La letteratura nasce dalla letteratura, dice uno dei suoi personaggi. Nel vagare da una università all'altra essi lasciano trasparire, insieme alle loro terrestri passioni, irresistibili tratti comici e tic che li rendono singolari e indimenticabili. Un umorismo sintetico, di stile anglosassone, disegna individui nevrotici e sanguigni, nutriti di erudizione, narcisisti e assatanati. Un'umanità metropolitana che ritroviamo nei racconti di Bellow e di quanti altri hanno scelto di portare il lettore dietro le quinte di quel teatro dove si svolgono lezioni, feste e convegni accademici.
Erostrati e astripeti (Il Maestrale, 2005) è il titolo della sua ultima opera, riedizione, rivista e ampliata di Herostraticon. Medaglioni di astripeti ovvero dall’osco-umbro al logudorese" (Edes, 2002), pubblicata nel 2002 e vincitrice del Premio Dessì.
Cherchi, che insegna Filologia romanza nell'Università di Chicago, si pone sul versante colto e ironico della scrittura. Appartiene, in qualche modo, a quella cerchia di scrittori che di recente hanno scelto, come oggetto di narrazione, quella particolare umanità costituita dal mondo accademico internazionale, quei docenti universitari che, come i clerici vagantes o gli umanisti di una volta, sono portatori di un sapere tutto moderno, filtrato però attraverso le elaborate produzioni letterarie del passato. La letteratura nasce dalla letteratura, dice uno dei suoi personaggi. Nel vagare da una università all'altra essi lasciano trasparire, insieme alle loro terrestri passioni, irresistibili tratti comici e tic che li rendono singolari e indimenticabili. Un umorismo sintetico, di stile anglosassone, disegna individui nevrotici e sanguigni, nutriti di erudizione, narcisisti e assatanati. Un'umanità metropolitana che ritroviamo nei racconti di Bellow e di quanti altri hanno scelto di portare il lettore dietro le quinte di quel teatro dove si svolgono lezioni, feste e convegni accademici.
Cherchi recupera il gusto e la disinvoltura di una tradizione
narrativa che affonda le sue radici nel romanzo greco, latino e perfino
medievale. Ma dietro la sua prosa ricca di umori si accampa, al centro della
narrazione, il tema tragico dell'esistenza, della solitudine, della
lotta per far sopravvivere la propria intelligenza e il proprio destino alla
sfida del tempo. È questa la qualità dell'erostrato, gladiatore della gloria e
del sesso, che chiede alla vita sempre ulteriori prove per trionfare sulla
morte e avere un certificato di esistenza presso i posteri. Una scheda almeno,
nello schedario di una grande biblioteca, la babelica biblioteca di Borges,
dove "il rifiuto secolare dorme". In questo scenario metafisico e
astratto, da oltre tempo, la prosa di Cherchi, elegante e perversa, raggiunge
effetti ironici e grotteschi irresistibili.
Il Novecento
Scritti
in lingua sarda
Diversi scrittori danno alle stampe racconti e romanzi scritti in
sardo, in molti casi attenti alla lingua e all’universo che rappresentano più
che alla modulazione stilistica.
Vanno ricordati:
- i brevi
testi premiati a Ozieri e pubblicati su "La grotta della vipera"
(1976-1977);
- il
racconto Arricheteddu (compreso nella raccolta A fuoco dentro/A
fogu aintru, 1978) di Giulio Angioni;
- i romanzi
S’àrvore de sos Tzinesos (1982) e Mastru Taras (1991) di
Larentu Pusceddu;
- Sos
sinnos (1983)
di Michelangelo Pira;
- Mannigos
de memoria (1984) e
A tempos de Lussurzu (1985) di Antonio Cossu;
- Alivertu (1986) di Mario Puddu;
- Po cantu
Biddanoa (1987)
di Benvenuto Lobina;
- Sas gamas
de istelài (1988)
di Albino Pau;
- S’istoria (1989) di Francesco Masala;
- Su Zogu (1989) di Gianfranco Pintore;
- Sas
andalas de su tempus
(1992) di Giovanni Piga.
Il Novecento
La
poesia
Una ricchezza notevole si ritrova anche nella poesia,
sempre più capace di esprimersi, ora in sardo ora in italiano, ora, e con lo
stesso autore, in ambedue le lingue, in forme espressive non di rado moderne e
consapevoli dei percorsi sperimentati dall’attività poetica, italiana e non
solo italiana, nel corso del Novecento. Oltre ai nomi già richiamati, in
un’elencazione assolutamente provvisoria e che accosta personalità
diversissime, occorre ricordare almeno:
- Annunzio
Cervi,
- Giaime
Pintor,
- Sergio
Manca,
- Gaetano
Patarozzi,
- Mercede
Mundula,
- Marcello
Serra,
- Pietro e
Antonio Mura,
- Francesco
Masala,
- Benvenuto
Lobina,
- Angelo
Mundula,
- Raimondo
Manelli,
- Peppino
Marotto,
- Giovanni
Maria Cherchi,
- Gigi
Dessy,
- Grazia
Dore,
- Franco
Cocco,
- Grazia
Maria Poddighe,
- Orlando
Biddau,
- Giovanni
Dettori,
- Leonardo
Sole,
- Raffaele
Mascolo Ciusa,
- Alberto
Lecca.
Il Novecento
Sergio
Atzeni
Sergio Atzeni (1952-1995) con L'apologo del giudice bandito (1986),
costruisce, nel contesto della Sardegna del Quattrocento, un racconto breve,
incentrato su personaggi estrosi e spagnoleschi che catturano l'attenzione del
lettore.
Questi
personaggi appartengono sostanzialmente a tre categorie, quelli proni alle
ingiunzioni del potere di turno, i locos, e quelli d'ingegno, fautori di
indipendenza, ma pochi e banditi. Lo sfondo è una Sardegna segnata dalla
malaria, dalla carestia, dalla fame e dalle cavallette, in un'epoca che
l'autore fissa nel 1492, anno della scoperta dell'America e dell'inizio
dell'età moderna, ma che serve a significare l'assoluta mancanza di cambiamento
e quindi di modernità.
Un'allegoria
della storia dell'isola come storia di una nazione mancata per l'assenza di una
diffusa coscienza della propria unità e che si rifugia più che in alto, sulla
montagna, nel profondo della terra, nei pozzi, nelle gallerie di miniere da
utilizzare e sfruttare.
Da queste
profondità geografiche e dell'inconscio, dove si gioca la partita della
riscossa, non possono che giungere se non segnali di bardane. La struttura
narrativa si avvale di invenzioni sagaci e moderne, sa tagliare la dimensione
dell'episodio e sfoltire la pagina disegnando in maniera plastica i personaggi,
ricorrendo anche al materiale povero delle immagini di un universo
antropologico di mera sussistenza. La lingua, inoltre, mescola con abilità
termini spagnoli e termini sardi popolari.
La seconda prova, Il figlio di Bakunin (1991), costituisce
un ulteriore passo avanti nel modo di proporre il racconto. La struttura
narrativa ha il carattere di un'inchiesta. Una madre, in vena di raccontare al
figlio i personaggi della sua giovinezza, accenna, sulla spinta di un sogno, a
uno dei giovani che l'avevano corteggiata: "Minatore, compagno. Anche dirigente
del partito. Un po' matto".
Il racconto prende l'avvio subito nei modi dell'inchiesta, che è
anche l'antica ricerca del padre. Il reporter - figlio - narratore, nato negli
anni Cinquanta, connotato dall'orecchino e dalla smania di ricercare la verità
e di documentarla ascolta, registra e trascrive i ricordi che
dell'"eroe" sono sopravvissuti nella memoria degli intervistati. Un
modo di far emergere il personaggio e quindi un clima storico e sociale, un
momento di trapasso della società sarda, ma non solo sarda, con le sue
aspirazioni, i suoi modelli, i suoi miti. Un modo di narrare che rinverdisce il
filone neorealista, aggiornandolo a una problematicità tutta moderna, quella
dell'identità data dal groviglio inestricabile prodotto dal proprio sentire e dallo
sguardo altrui, a volte velato dal pregiudizio, a volte dall'affetto, a volte
dall'invidia. Il quinto passo è l'addio (1995) è uno dei migliori esempi
di romanzo metropolitano.
Oltre all'ulteriore progresso che si registra a livello
linguistico nella direzione di una lingua che, pur letteraria, si anima con
notevoli acquisizioni dal parlato dell'italiano regionale e del sardo, il
romanzo ha una fortissima connotazione politica e religiosa. La prima, nella
concezione della storia recente dell'Isola come contrassegnata dal tradimento
delle attese della generazione che negli anni Settanta aveva creduto
nell'intenzione della Sinistra di riformare e modernizzare la Sardegna; la
seconda, in una visione dell'esistenza come occasione per mettersi in gioco, per
non sprecarsi nella rassegnazione, per imparare a riconoscere il bene e il male
nella quotidiana giostra degli eventi.
Questa vena religiosa è evidentissima nella sua opera postuma Bellas
Mariposas (1996) nella quale, dal punto di vista linguistico, un italiano
regionale fortemente connotato socialmente, un vero sermo humilis, dà
conto della vita libera, povera, disagiata e disadattata, infelice e violenta,
di due giovanissime della periferia cagliaritana, le quali, pur immerse in un
contesto degradato, brillano per il loro candore, per la purezza che appare
chiara, agli occhi di chi comprende che nessuna vicenda storica riesce a
sovrastare il miracolo e il mistero della vita, di ciò che è vivo e pulsa di
voglia di vivere.
La sua opera giornalistica di recente è stata raccolta da Gigliola
Sulis nei due volumi Scritti giornalistici (1966-1995) pubblicati da Il
Maestrale. In contemporanea la stessa casa editrice ha pubblicato una raccolta
di racconti inediti dello scrittore (I sogni della città bianca, 2005).
Iscriviti a:
Post (Atom)