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venerdì 23 marzo 2012

Dal Prenuragico ai giorni nostri

Dal Prenuragico ai giorni nostri

Barumini, Su Nuraxi

La Sardegna ha una storia complessa, divisa in vari periodi e contraddistinta da caratteri originali. La presenza umana risale al Paleolitico e si snoda lungo tutte le epoche successive, preistoriche e storiche, trasformando il paesaggio dell'isola. L'archeologia documenta le emergenze culturali dall'età prenuragica a quella bizantina, mentre l'architettura, l'arte e la letteratura accompagnano il percorso storico dall'età giudicale a quella contemporanea.

Tra Cartagine e Roma
Il percorso storico che condusse Roma ad assumere i connotati di una grande potenza fu segnato significativamente dai rapporti con Cartagine. Nel momento in cui Roma comincia ad affacciarsi con maggiori ambizioni politiche, economiche e militari sul Mediterraneo occidentale, la potenza cartaginese è al suo apice.

I regni giudicali
I giudicati, le quattro entità istituzionali nelle quali la Sardegna risulta divisa dopo la metà dell'XI secolo, erano organismi configurati dal punto di vista giuridico come veri e propri stati.

Il primo Ottocento
Il 3 marzo 1799 il re di Sardegna Carlo Emanuele IV di Savoia sbarca a Cagliari con una corte di familiari in seguito alla fuga dal Piemonte, invaso da Napoleone Bonaparte.

Il secondo dopoguerra
In Sardegna le operazioni della seconda guerra mondiale si conclusero di fatto con l'armistizio dell'8 settembre 1943. L'arrivo degli Alleati segnava uno stacco netto rispetto all'anteguerra.

Buddusò, domus de janas di Ludurru

Il Prenuragico coincide in Sardegna con la preistoria, cioè con quella fase della storia umana in cui non era ancora stata inventata la scrittura. I dati archeologici sono quindi l'unica fonte di informazioni che ci consente di fare luce sulle abitudini di vita dell'uomo in questo periodo.

Il Prenuragico comprende un arco cronologico molto ampio e, come il nome lascia intendere chiaramente, arriva fino alle soglie della fase rappresentata in Sardegna dalla civiltà nuragica.
Questa lunga epoca della storia sarda è stata articolata dagli studiosi in fasi cronologiche, ciascuna delle quali poi divisa in sottofasi e articolata in ulteriori fasi culturali.

Il termine "cultura" viene utilizzato nell'ambito degli studi di preistoria per denominare l'associazione di insiemi di manufatti (oggetti ed edifici) che presentino caratteristiche tali da poter essere interpretati come espressione della cultura materiale di una data popolazione o di un dato gruppo etnico.

Il Prenuragico racchiude le seguenti fasi cronologiche della storia della Sardegna: il Paleolitico, il Mesolitico, il Neolitico, l'Eneolitico (o Calcolitico).


Paleolitico

L'Età della Pietra Antica
Il termine Paleolitico è composto dalle parole greche "paleos", antico, e "lithos", pietra, e designa l'Età della Pietra Antica. È la fase cronologicamente più antica della storia umana, quella cioè in cui compaiono le prime attestazioni certe di manufatti prodotti dall'uomo.

Paleolitico inferiore
La storia della presenza umana in Sardegna comincia nel Paleolitico inferiore, come testimonia il rinvenimento di oggetti in pietra databili tra 450.000 e 120.000 anni fa. Gli oggetti, in selce e quarzite, vennero rinvenuti nella parte settentrionale dell'isola, in Anglona, e sono inquadrabili, dal punto di vista tipologico, nelle industrie litiche classificate coi nomi di "clactoniano" e "tayaziano".

Paleolitico medio
Per quanto riguarda il Paleolitico medio (databile in Sardegna tra 120.000 e 35.000 anni a.C.) allo stato attuale delle ricerche non si hanno tracce sicure della presenza umana in Sardegna. L'assenza di tracce archeologiche più consistenti e più sicure potrebbe però essere spiegata come riflesso di una lacuna nelle nostre conoscenze e non come effettivo stato delle cose.

Paleolitico superiore
Relativa al Paleolitico superiore (35.000-10.000 a.C.) è almeno una parte dei rinvenimenti avvenuti nel corso di scavi scientifici nella grotta Corbeddu di Oliena. Si tratta di ossa di animali e dei frammenti di una mandibola e di altre ossa umane. Gli animali erano endemici della regione sardo-corsa: il "Megaceros cazioti", un cervide , e il "Prolagus sardus", un roditore.


Paleolitico inferiore

La storia della presenza umana in Sardegna comincia nel Paleolitico inferiore, come testimonia il rinvenimento di oggetti in pietra databili tra 450.000 e 120.000 anni fa.

Ci riferiamo, come appare evidente, ad epoche assai remote. Appare dunque intuitivamente comprensibile quali difficoltà debbano affrontare gli studiosi nel tentativo di giungere al reperimento di fossili umani risalenti a questo periodo (se non addirittura a età precedenti) che, per propria natura, sono soggetti ad un rapido deperimento organico.

Ciò vale anche per gli eventuali strumenti realizzati in legno o in osso, destinati (salvo rare eccezioni) a scomparire nell'arco di breve tempo. Per questo motivo gli studiosi devono porre grande cura a non incorrere in un errore di sopravvalutazione dell'importanza dei reperti litici (cioè in pietra), assai più resistenti rispetto alle altre categorie di reperti e quindi più facilmente presenti nei depositi archeologici.

Questo discorso vale anche per la Sardegna. I più antichi "oggetti" rinvenuti, in selce e quarzite, provengono dalla parte settentrionale dell'isola, dalla regione dell'Anglona e sono inquadrabili, dal punto di vista tipologico, nelle industrie litiche classificate coi nomi di "clactoniano" e "tayaziano".

Con l'espressione "industria litica", è bene precisarlo, si intende l'insieme delle tecniche e delle attività attraverso le quali un gruppo umano trasforma le materie prime per ottenere degli oggetti.

Tali reperti provengono dalle località di Giuanne Malteddu, Interiscias, Laerru, Preideru e Rio Altana. Si tratta di circa seicento oggetti, fra cui becchi, bulini, grattatoi, punte, raschiatoi. Tuttavia l'assenza di reperti ossei umani e di dati floro-faunistici rende particolarmente difficile la ricostruzione di questa fase della preistoria sarda.

A produrre questo genere di manufatti dovrebbero essere stati individui appartenenti alla specie "Homo erectus", una di quelle che compongono il genere "Homo" a cui anche noi, uomini moderni, apparteniamo.

Merita di essere segnalato il recente rinvenimento avvenuto nel Logudoro, nella grotta Nurighe di Cheremule, di una falange umana completa del pollice. La datazione proposta per questo importante reperto osseo è di 250.000/300.000 anni a.C.

Paleolitico medio

Da un punto di vista generale, l'evento che segna l'ingresso nel Paleolitico medio è la comparsa del cosiddetto "uomo di Neanderthal", i cui resti scheletrici ,riferibili ad oltre 300 individui rinvenuti in Europa meridionale e centrale, ma anche nel Vicino e nel Medio Oriente, sono stati inquadrati cronologicamente all'incirca tra i 130.000 e i 35.000 anni dal presente.

Per quanto riguarda la Sardegna, allo stato attuale delle ricerche non si hanno tracce sicure della presenza umana nell'isola riferibili al Paleolitico medio.

Gli unici indizi noti provengono dai due ritrovamenti (nella grotta di Ziu Santòru e nella grotta di Cala Ilùne, sulla costa di Dorgali) di frustoli di carbone rinvenuti in associazione con ossa di cervo bruciate ma senza alcuno strumento litico né ossa umane. Si tratta, comunque, di indizi molto labili.

L'assenza di tracce archeologiche più consistenti e più sicure da attribuire al Paleolitico medio potrebbe essere spiegata come riflesso di una lacuna nelle nostre conoscenze e non come effettivo stato delle cose.

Paleolitico superiore


Il passaggio dal Paleolitico medio al Paleolitico superiore viene generalmente posto in relazione con la comparsa e successiva diffusione della specie "Homo sapiens sapiens", cioè con la comparsa di gruppi umani con caratteristiche fisiche simili a quelle dell'uomo attuale.

Riguardo al problema della storia evolutiva di questa specie si confrontano due ipotesi. La prima attribuisce all'Homo sapiens sapiens un'origine africana recente e una successiva migrazione verso nord-est avrebbe popolato il resto del pianeta; la seconda spiega invece l'origine di questa specie con una sua evoluzione indipendente in Africa, in Asia e in Europa a partire dalle specie umane già esistenti in queste aree geografiche. Il dibattito resta comunque aperto.

Relativa al Paleolitico superiore (35.000-10.000 a.C.) è almeno una parte dei rinvenimenti avvenuti nel corso di scavi scientifici nella grotta Corbeddu di Oliena.

Si tratta di ossa di animali e dei frammenti di una mandibola e di altre ossa umane. Gli animali erano endemici della regione sardo-corsa: il "Megaceros cazioti", un cervide ormai estinto, i cui resti ossei recano tracce di lavorazione dell'uomo, e il "Prolagus sardus", un roditore anch'esso estinto. La datazione di questi reperti oscilla tra i 20.000 e i 6.000 anni a.C., sconfinando dunque anche nel Mesolitico.

Il rinvenimento più recente di manufatti inquadrabili nel Paleolitico superiore è avvenuto in località Santa Maria is Acquas, tra Sardara e Mogoro. Si tratta di strumenti in selce databili intorno a 13.000 anni a.C.

Mesolitico

Il termine Mesolitico è composto dalle parole greche "mesos", di mezzo, e "lithos", pietra, e designa l'Età della Pietra intermedia fra quella Antica e quella Nuova.

L'acquisizione scientifica dell'esistenza di evidenze archeologiche interpretabili come "intermedie" tra quelle dei complessi del Paleolitico e quelli del successivo Neolitico è frutto delle ricerche archeologiche condotte nel corso del secolo XX.

Attualmente il termine "Mesolitico" designa il periodo (durato alcuni millenni) in cui ha avuto luogo il processo di adattamento degli ultimi gruppi di cacciatori-raccoglitori ai cambiamenti ambientali verificatisi a partire da circa 10.000 anni fa.

Alcuni studiosi preferiscono scomporre questo periodo in due fasi ed impiegare conseguentemente due termini. Il termine "Epipaleolitico" designerebbe una fase più antica, in più forte continuità con il Paleolitico superiore, mentre il termine "Mesolitico" farebbe riferimento ad una fase cronologica più tarda, in cui più evidenti appaiono i segni del processo di "neolitizzazione", ossia del processo di transizione verso i sistemi economici e sociali basati su agricoltura e allevamento.

Per quanto riguarda la Sardegna, allo stato attuale delle conoscenze, non sembrano rilevabili attestazioni archeologiche relative a questa fase cronologica.

L'unica eccezione potrebbe essere rappresentata da almeno una parte dei rinvenimenti avvenuti nel corso di scavi scientifici nella grotta Corbeddu di Oliena, la cui datazione oscilla tra i 20.000 e i 6.000 anni a.C., rientrando quindi sia nel Paleolitico superiore sia nel Mesolitico.

Neolitico

L'Età della Pietra Nuova
Il termine Neolitico - letteralmente: Età della Pietra Nuova, composto dalle parole greche "neos", nuovo, e "lithos", pietra - designa una fase storica, da collocare per la Sardegna tra il 6.000 e il 2.800 a.C., segnata da due importanti innovazioni: il sistema economico agropastorale e la scoperta della ceramica.

Neolitico antico
Il Neolitico antico (6000-4000 a.C.) segna una svolta importante nella storia dell'isola. L'invenzione della ceramica consente la produzione di recipienti di varie dimensioni destinati a varie funzioni. Il passaggio da un sistema di sussistenza basato su caccia e raccolta a quello incentrato su agricoltura e addomesticamento e allevamento degli animali produce radicali mutamenti.

Neolitico medio
Nel Neolitico medio (4000-3400 a.C.) si assiste alla nascita della cultura di Bonu Ighinu. Il nome utilizzato per designare questa cultura è stato tratto dal sito in cui ne vennero rinvenute le prime attestazioni archeologiche: si tratta della grotta di Bonu Ighinu (conosciuta anche col nome di Sa Ucca 'e su Tintirriolu) in territorio di Mara, nel Sassarese.

Neolitico recente
Nel Neolitico recente (3400-3200 a.C.) la situazione archeologica si fa sempre più complessa e articolata. Ciò ha spinto gli studiosi a utilizzare un ulteriore criterio distintivo, finalizzato a raggruppare in "facies" quegli insiemi di reperti tra loro legati da una qualche affinità pur senza raggiungere la coerenza e la complessità che caratterizzano le "culture" vere e proprie.

Neolitico finale
Nel Neolitico finale (3200-2800 a.C.) si collocano le manifestazioni materiali di una delle culture più importanti della storia sarda, la cultura di Ozieri o di San Michele, nomi tratti dalla grotta di San Michele ubicata presso l'attuale abitato di Ozieri. È la prima cultura le cui testimonianze archeologiche parlano esplicitamente di una presenza sull'intera superficie dell'isola.

Neolitico antico

Il Neolitico antico (6000-4000 a.C.) segna una svolta importante nella storia dell'isola. L'invenzione della ceramica consente la produzione di recipienti di varie dimensioni destinati a varie funzioni.

Il passaggio da un sistema di sussistenza basato su caccia e raccolta a quello incentrato su agricoltura e addomesticamento e allevamento degli animali produce radicali mutamenti nell'approvvigionamento delle risorse alimentari, con progressivo aumento demografico e profonde conseguenze sul piano sociale ed economico.

Il periodo è caratterizzato da una produzione ceramica denominata cardiale, dal nome della conchiglia (Cardium) utilizzata per imprimere la decorazione sulla superficie dei manufatti. Grotte e ripari sotto roccia sono abitazioni tipiche di questa fase. Tra i siti che hanno restituito ceramiche cardiali ricordiamo le grotte di Su Carroppu (Carbonia) e Filiestru (Mara).

Nel Neolitico antico si sviluppa anche lo sfruttamento sistematico dell'ossidiana (roccia vulcanica dalla struttura vetrosa) proveniente dal Monte Arci, nell'Oristanese. Si tratta di una preziosa risorsa per la produzione di manufatti litici, che verrà ampiamente impiegata in Sardegna.

Ossidiana proveniente da Monte Arci è stata rinvenuta anche in località extrainsulari. Tali ritrovamenti sono stati spesso interpretati come segnale di un vero e proprio commercio ad ampio raggio dell'ossidiana sarda, anche se le più recenti ricerche tendono ad attenuare quest'affermazione.

Neolitico medio

Nel Neolitico medio (4000-3400 a.C.) si assiste alla nascita della cultura di Bonu Ighinu. Il nome utilizzato per designare questa cultura è stato tratto dal sito in cui ne vennero rinvenute le prime attestazioni archeologiche: si tratta della grotta di Bonu Ighinu (conosciuta anche col nome di Sa Ucca 'e su Tintirriolu) in territorio di Mara, nel Sassarese.

A questa fase cronologico-culturale vanno ricondotte le tracce archeologiche del fenomeno di intensificazione nell'utilizzo delle conquiste neolitiche (agricoltura/allevamento e ceramica) nelle pratiche di vita delle comunità umane di stanza in Sardegna.

Una delle testimonianze più esplicite di tale fenomeno ci giunge dalle produzioni ceramiche ascrivibili alla cultura di Bonu Ighinu. Si tratta di forme vascolari varie, fra cui vasi carenati e ciotole, con anse zoomorfe o antropomorfe, caratterizzate dalle superfici lucide, di color nero-bruno, spesso decorate a incisione o a impressione.

La notevole qualità tecnica di questi manufatti testimonia un innegabile progresso nella capacità di controllo del processo tecnologico che sovrintende alla produzione dei manufatti ceramici. L'accresciuta varietà delle forme vascolari è invece un altrettanto significativo riflesso delle accresciute esigenze economiche delle genti Bonu Ighinu.

Per quanto riguarda l'ambito funerario, caratteristiche appaiono le tombe a grotticella e i corredi funerari che accompagnavano il defunto nell'aldilà. Si segnala in proposito la necropoli di Cuccuru is Arrius, nel territorio di Cabras, dove vennero rinvenute numerose statuette di "dea madre" steatopigie, con forme femminili molto accentuate.

Questa tipologia di manufatti offre una testimonianza materiale di grande rilievo: essa rappresenta infatti una chiara prova archeologica dell'esistenza di un mondo spirituale e religioso nel quale le comunità umane di questo periodo dovevano trovare "rifugio".

Neolitico recente

Nel Neolitico recente (3400-3200 a.C.) la situazione archeologica si fa sempre più complessa e articolata. Ciò ha spinto gli studiosi a utilizzare un ulteriore criterio distintivo, finalizzato a raggruppare in "facies" quegli insiemi di reperti tra loro legati da una qualche affinità pur senza raggiungere la coerenza e la complessità che caratterizzano le "culture" vere e proprie.

Una di queste "facies" (ma secondo alcuni studiosi si tratterebbe di una "cultura" in senso proprio) è nota con il nome di San Ciriaco, dal nome di una località in territorio di Terralba, nell'Oristanese.

La produzione ceramica si caratterizza per il tipico profilo dei vasi. Anche la famosa coppa in steatite verde rinvenuta nella necropoli di tombe a circolo megalitico di Li Muri presso Arzachena, in principio ritenuta pertinente alla cultura di Ozieri, viene oggi riferita alla facies San Ciriaco per la forte somiglianza con le sue produzioni ceramiche.

È in questa fase che vengono scavate le prime domus de janas ("case delle fate"), le tipiche tombe a grotticella artificiale, e vengono realizzati, oltre alle tombe a circolo megalitico, i primi dolmen e menhir.

Neolitico finale

Nel Neolitico finale (3200-2800 a.C.) si collocano le manifestazioni materiali di una delle culture più importanti della storia sarda, la cultura di Ozieri o di San Michele, nomi tratti dalla grotta di San Michele ubicata presso l'attuale abitato di Ozieri.

Si tratta della prima cultura della storia della Sardegna a cui può essere legittimamente associato l'aggettivo "basica": è cioè la prima cultura le cui testimonianze archeologiche parlano esplicitamente di una presenza sull'intera superficie dell'isola.

In questa fase cresce notevolmente il numero e l'estensione dei villaggi, in risposta alle impellenze demografiche in crescita e allo sfruttamento, sempre più intenso ed esteso, delle risorse agricole.

Ricaviamo importanti informazioni sulla struttura delle capanne lignee da alcune tombe realizzate imitando proprio la forma delle strutture abitative. Tipica appare in questo senso la capanna rettangolare con copertura a doppio spiovente sorretta da una solida trabeazione lignea.

Le tipologie tombali si diversificano sempre più: abbiamo così le domus de janas, le tombe a circolo, le allées couvertes, a cui spesso si accompagnano dolmen e menhir.

Le piccole sculture rappresentanti la "dea madre", associate ai contesti funerari, passano dalle forme naturalistiche steatopigie, tipiche dello stile Bonu Ighinu, ad uno schema fortemente stilizzato, denominato "a croce".

Le produzioni ceramiche si arricchiscono di decorazioni con motivi a cerchi, a spirali, a festoni, a stella e figure umane, che trovano significativi confronti extrainsulari, in particolare con l'area cicladico-cretese.

Oltre alla tradizionale lavorazione della selce e dell'ossidiana, abbiamo le prime attestazioni dell'estrazione e della lavorazione di metalli, in particolare del rame, come testimoniano lame di pugnali e monili rinvenuti nei corredi funerari.

Eneolitico

L'Età del primo Bronzo e della Pietra
Il termine Eneolitico, composto dal termine latino "aeneus", bronzo, e dal termine greco "lithos", pietra, designa l'Età del primo Bronzo e della Pietra, in riferimento alle prime produzioni di bronzo arsenicale, prodotto in lega con l'arsenico.

Eneolitico iniziale
L'acquisizione della capacità di estrarre e lavorare i metalli (il rame innanzi tutto, ma anche il piombo e l'argento) è l'evento che segna il passaggio dal Neolitico all'Eneolitico iniziale (2800-2600 a.C.), a cui va ascritta la facies Sub-Ozieri identificata per la prima volta nei siti di Su Coddu (Selargius) e di Terramaini (Pirri), entrambi nel Cagliaritano.

Eneolitico medio
Sembra certa l'attribuzione all'Eneolitico medio delle statuette di "dea madre" del tipo cosiddetto "a traforo". A questo momento cronologico e culturale va ricondotto anche l'altare di Monte d'Accoddi (Sassari). Si tratta di una piattaforma tronco-piramidale su cui venne edificato un sacello con rampa d'accesso. La forma di questo monumento evoca le "ziqqurat" mesopotamiche.

Eneolitico recente
Con il passaggio all'Eneolitico recente (2400-2100 a.C.) si assiste alla comparsa della cultura di Monte Claro, che trae il nome dal colle di Cagliari in cui vennero scoperte alcune tombe con le sue tipiche produzioni ceramiche. I dati archeologici testimoniano, per questa fase, l'affermarsi dello spazio abitativo organizzato del villaggio.

Eneolitico finale
A chiudere l'Eneolitico (2100-1800 a.C.) giunge l'importante cultura detta del Vaso Campaniforme. Il nome deriva dalla forma "a campana rovesciata" del tipico bicchiere, riccamente decorato, che caratterizza i contesti archeologici attribuibili a tale cultura. La cultura del Vaso Campaniforme appare presente in molte aree d'Europa.

Eneolitico iniziale

L'acquisizione della capacità di estrarre e lavorare i metalli (il rame innanzi tutto, ma anche il piombo e l'argento) è l'evento che segna il passaggio dal Neolitico all'Eneolitico iniziale (2800-2600 a.C.), a cui va ascritta la facies Sub-Ozieri identificata per la prima volta nei siti di Su Coddu (Selargius) e di Terramaini (Pirri), entrambi nel Cagliaritano.

Nelle ceramiche attribuite a questa facies si attenua fortemente la presenza dei motivi decorativi tipici della cultura di Ozieri, a vantaggio dell'impiego di schemi molto più semplici, alcuni dei quali dipinti su vasi fabbricati con argille molto chiare. Tra le forme vascolari, si segnalano come certamente tipici il grande tegame biansato e i vasi carenati con perforazioni alla carena.

Eneolitico medio

A questa fase (2.600-2.400 a.C.) appartengono le culture di Filigosa e di Abealzu. I manufatti ceramici pertinenti a queste culture provengono quasi esclusivamente da contesti funerari e consistono in vasi dalle forme tipiche.

La cultura di Filigosa trae il nome dalla tomba I dell'omonimo sito in territorio di Macomer. Tipici di questa cultura sono i vasi in genere di piccole dimensioni, non decorati o decorati ad impressione o ad incisione; pesi da telaio; fusaiole; punte di freccia in ossidiana; collane in argilla; osso e conchiglia; oggetti in rame e argento.

La cultura di Abealzu (leggermente più tarda) trae il proprio nome dall'omonima necropoli in territorio di Osilo.
Tipici di questa cultura sono i vasi a fiasco decorati con forme mammellari, che trovano confronti con vari oggetti dell'area peninsulare e dell'area franco-svizzera.

Di grande rilievo sono inoltre i menhir antropomorfi e le statue-menhir, rinvenute a Goni e nel Sarcidano-Mandrolisai. Le statue-menhir vengono spesso definite "armate" per la presenza di un pugnale a doppia lama, interpretato come simbolo del potere, e di una figura nella parte alta della statua, denominata "capovolto" e interpretata come simbolo funerario.

Sembra certa l'attribuzione all'Eneolitico medio (forse pertinenti alla cultura di Filigosa) delle statuette di "dea madre" del tipo cosiddetto "a traforo".

A questo momento cronologico e culturale va ricondotto anche l'altare di Monte d'Accoddi (Sassari). Si tratta di una piattaforma tronco-piramidale su cui venne edificato un sacello con rampa d'accesso. La forma di questo straordinario monumento evoca le "ziqqurat" mesopotamiche.

Eneolitico recente

Con il passaggio all'Eneolitico recente (2400-2100 a.C.) si assiste alla comparsa della cultura di Monte Claro, che trae il nome dal colle di Cagliari in cui vennero scoperte alcune tombe con le sue tipiche produzioni ceramiche.

I dati archeologici testimoniano, per questa fase, l'affermarsi dello spazio abitativo organizzato del villaggio (due esempi: San Gemiliano di Sestu; Monte Olladiri di Monastir) e un intensificarsi dello sfruttamento agricolo del territorio.

Pertinenti alla cultura di Monte Claro sono anche le prime costruzioni propriamente definibili "megalitiche", come la "capanna" di Villagreca. All'interno di questa categoria di edifici, appaiono di particolare rilevanza le cosiddette "muraglie megalitiche", attestate nelle località di Monte Baranta (Olmedo) e di Monte Ossoni (Castelsardo), signicative in quanto interpretabili come segno tangibile del sorgere di nuove e più eclatanti esigenze difensive rispetto al passato.

Le tipologie delle sepolture variano dagli ipogei a pozzetto centrale da cui si dipartono uno o più vani (come nei siti di Monte Claro e di Sa Duchessa a Cagliari), ai dolmen (come a Motorra, Dorgali) e alle ciste litiche (come a San Gemiliano di Sestu).

Particolarmente riconoscibili appaiono le produzioni ceramiche. Si tratta di vasi di grandi dimensioni (le situle), tripodi, scodelle, ciotole, caratterizzati dal colore delle superfici che varia dal rosso-nocciola al nocciola chiaro e al bruno-nerastro. Tipica inoltre la decorazione a costolature o scanalature verticali e orizzontali, nonché la decorazione "a stralucido" che contraddistingue alcune forme.

Eneolitico finale

A chiudere l'Eneolitico (2100-1800 a.C.) giunge l'importante cultura detta del Vaso Campaniforme. Il nome deriva dalla forma "a campana rovesciata" del tipico bicchiere, riccamente decorato, che caratterizza i contesti archeologici attribuibili a tale cultura.

La cultura del Vaso Campaniforme appare presente in molte aree d'Europa: oltre che in Sardegna, abbiamo attestazioni in Sicilia, in parte dell'Italia settentrionale, nelle coste meridionali della Francia, in Spagna, nella valle del Reno, in Germania, in Polonia, in Ungheria, nei Paesi Bassi, in Belgio, in Inghilterra, in Scozia, in Irlanda.

Le produzioni ceramiche sono caratterizzate, oltre che dal già citato bicchiere, da un'interessante varietà morfologica e da una tipica tendenza a ricoprire le superfici vascolari con una fitta decorazione.

Altrettanto interessante è inoltre un altro manufatto, che compare per la prima volta in Sardegna proprio in contesti campaniformi: il "brassard", una particolare placca rettangolare utilizzata dagli arcieri per proteggere il polso dalla vibrazione della corda dell'arco allo scoccare della freccia.

Le testimonianze archeologiche rendono plausibile l'ipotesi che i portatori della cultura del Vaso Campaniforme fossero metallurghi itineranti, capaci di interagire pacificamente con le popolazioni locali con cui entravano in contatto senza però perdere la propria identità culturale.

Nuragico (1.800-238 a.C.)

Macomer, nuraghe Santa Barbara

Il passaggio dall'Eneolitico all'Età del Bronzo rappresenta un momento cruciale della storia sarda. Dalle culture precedenti si passa infatti alla civiltà nuragica e già il cambio terminologico "cultura/civiltà" intende esprimere la natura profonda di tale mutamento.

La civiltà nuragica deve il suo nome al termine con cui in sardo viene chiamato il monumento considerato più rappresentativo di tale civiltà, il "nuraghe" appunto.
Si tratta di un edificio a torre, costruito con l'impiego di pietre di grandi dimensioni (utilizzate grezze o più o meno regolarmente lavorate), al cui interno si trovano una o più camere sovrapposte caratterizzate dalla tipica copertura denominata a "falsa cupola" o "tholos".

Si presenta sia nella versione monotorre sia nella versione complessa, con torre centrale ed altre di contorno. Intorno a numerosi nuraghi vengono poi edificati i villaggi di capanne in pietra.

Esistono anche altri tipi di edifici: i "protonuraghi" (noti anche con gli appellativi di "pseudonuraghi" o "nuraghi a corridoio"), le "tombe di giganti", i "templi a pozzo" e le "fonti sacre", i tempietti a "megaron".

I dati archeologici consentono di affermare che la civiltà nuragica si reggeva su un'economia agro-pastorale, ma praticava anche un significativo sfruttamento delle risorse minerarie (in particolare rame e piombo).

Dal punto di vista sociale, la civiltà nuragica sembra essere stata caratterizzata da una struttura fortemente gerarchizzata, il cui vertice doveva essere occupato dai guerrieri, ma anche da personaggi legati alle pratiche cultuali, in particolare al culto delle acque che doveva essere praticato nei templi a pozzo.

Bronzo antico

Sulla soglia d'ingresso alla civiltà nuragica si colloca, inquadrata nel Bronzo antico (1800-1600a.C.), la cultura detta di Bonnanaro dal nome del paese, in Logudoro, dove si trova la necropoli ipogeica di Corona Moltana in cui ebbe luogo il primo rinvenimento di reperti tipici.

Questa cultura, considerata dagli studiosi come la prima fase della civiltà nuragica, mostra un significativo mutamento nella produzione ceramica, in quanto al perdurare di molte delle morfologie vascolari peculiari della cultura campaniforme si associa la scomparsa della sovrabbondante decorazione che aveva caratterizzato le produzioni campaniformi.

Le conoscenze attuali per ciò che concerne gli spazi abitativi pertinenti alla cultura di Bonnanaro sono piuttosto esigue e quasi sempre relative a siti in cui la presenza di materiali Bonnanaro non appare esclusiva, ma anzi è da interpretarsi come testimonianza di una pratica di rifrequentazione di siti preesistenti che appare tipica di tale cultura.

Per questo motivo merita di essere rimarcato il notevole valore documentario dell'unico sito a carattere abitativo certamente ascrivibile in forma esclusiva alla cultura di Bonnanaro: si tratta di un insieme di capanne realizzate con muretti a cui si sovrappongono le strutture lignee con funzione di copertura, ubicato a Sa Turrìcula di Muros (Sassari).

Per quanto riguarda i rituali funerari, alle genti di cultura Bonnanaro vanno ascritte sia la pratica del riutilizzo delle domus de janas realizzate e utilizzate nelle fasi cronologiche precedenti, sia la realizzazione di strutture tombali monumentali, come le allées couvertes, i corridoi megalitici che, nel loro sviluppo architettonico, porteranno alla nascita delle tombe dei giganti, di cui in alcuni casi giungono addirittura a rappresentare il nucleo strutturale di origine.

Merita infine una segnalazione la pratica medica della trapanazione in vita del cranio con sopravvivenza del soggetto sottoposto all'operazione, attestata dalla ricalcificazione ossea. Ne sono testimonianza i resti di una donna sepolta nella grotta naturale di Sisaia (Oliena), in associazione ad un povero corredo costituito da una ciotola, un tegame, una macina di granito e tracce di legno combusto.

Bronzo medio

Il passaggio dal Bronzo antico al Bronzo medio (1600-1300 a.C.) segna l'inizio vero e proprio nella fase culturale che denominiamo civiltà nuragica.

Il suo monumento-simbolo è il nuraghe, un edificio a torre, in pietre di grandi dimensioni più o meno regolarmente lavorate, al cui interno troviamo una o più camere sovrapposte caratterizzate dalla copertura a "falsa cupola" o" tholos".

Si presenta sia nella versione monotorre sia in versioni planimetricamente complesse in cui ad una torre centrale si aggiungono torri di contorno raccordate tra loro da cortine murarie. A queste strutture complesse, denominate "bastioni", si aggiungono poi ulteriori cinte murarie anch'esse turrite, denominate "antemurali".

Intorno a numerosi nuraghi vengono poi edificati i villaggi di capanne in pietra con copertura in frasche o lastrine litiche, talvolta organizzati come santuari federali.

Esistono anche altri tipi di edifici: i protonuraghi o pseudonuraghi o nuraghi a corridoio, le tombe di giganti, le strutture templari.

I protonuraghi sono edifici che differiscono in maniera significativa dai nuraghi classici: di aspetto più tozzo e di planimetria generalmente irregolare, al loro interno non ospitano la grande camera circolare tipica del nuraghe, ma uno o più corridoi e qualche rara celletta coperta a falsa volta.

Le tombe di giganti, adibite alle sepolture collettive, sono caratterizzate dalla planimetria a forma di testa taurina. Due sono i tipi principali: quello con camera ed esedra ad ortostati, come nel caso di Li Lolghi (Arzachena), e quello con camera ed esedra in muratura a filari, come la tomba di Domu 'e s'Orku (Siddi).

I templi nuragici sono ripartiti in tre categorie: i "templi a pozzo" (strutture ipogeiche con copertura a tholos riservate al culto delle acque), le "fonti sacre" (che svolgevano analoga funzione ma pescavano la falda acquifera direttamente al livello del piano di calpestio); i tempietti a "megaron" (che traggono il nome dalla somiglianza strutturale con il "megaron" greco).

Bronzo recente e finale

Nelle fasi del Bronzo recente e finale (1300-900 a.C.) la civiltà nuragica raggiunge l'apogeo della propria parabola storica.

Per ciò che concerne la situazione isolana, le presenze monumentali giungono ad occupare e controllare ogni porzione di territorio, consentendo il pieno ed efficace sviluppo delle potenzialità sociali, politiche ed economiche di cui le genti nuragiche erano portatrici.

Vengono costruite altre tombe di giganti, che sperimentano nuove soluzioni architettoniche, e vengono eretti molti nuraghi, mentre altri edifici più antichi vengono trasformati da nuraghi monotorre in nuraghi polilobati, cioè a più torri.

Per quanto rivelino fasi più antiche, assumono la loro forma definitiva nuraghi come Su Nuraxi di Barumini (classificato dall'UNESCO tra i monumenti che costituiscono il patrimonio culturale dell'umanità), Santu Antine di Torralba, Losa di Abbasanta, Arrubiu di Orroli.

Molti dei villaggi nati nella fase precedente, specie quelli associati topograficamente con nuraghi, subiscono una crescita dimensionale significativa (un esempio eclatante di tale fenomeno ci viene offerto dal villaggio di Su Nuraxi di Barumini). Non sono però affatto rari, come gli studi e le ricerche più recenti dimostrano in maniera sempre più decisa, i villaggi topograficamente autonomi, nati cioè non in prossimità di un nuraghe. Anche questo dato può legittimamente essere interpretato come segno eloquente dell'intensificarsi del controllo territoriale nuragico che caratterizza questa fase cronologica.

In questa fase cronologica si concentra inoltre la realizzazione di edifici sacri, sia di quelli legati al culto delle acque, come i templi a pozzo (ad esempio Sant'Anastasia di Sardara, Santa Vittoria di Serri, Santa Cristina di Paulilatino, Predio Canopoli di Perfugas) e le fonti sacre (come Su Tempiesu di Orune, Rebeccu di Bonorva); sia dei tempietti a "megaron" (come Cuccureddì di Esterzili, Serra Orrios di Dorgali), la cui specifica valenza cultuale non è ancora del tutto chiara.

In prossimità di alcuni templi nuragici particolarmente importanti (come nel caso di Santa Vittoria di Serri) nascevano i "santuari federali", vasti villaggi interpretati come aree in cui dovevano aver luogo periodici incontri tra fedeli provenienti da zone diverse in occasione di festività particolarmente importanti per la religiosità isolana.

In questa fase si intensificano inoltre i contatti economici e politici con popolazioni coeve del Mediterraneo, in particolare con Micenei e Ciprioti, interessati alle risorse minerarie della Sardegna. Significativi in proposito i rinvenimenti di lingotti a "panella" e a "pelle di bue".

Prima età del ferro

Il passaggio dal Bronzo finale all'Età del Ferro (900-500 a.C.) è contrassegnato da profondi mutamenti, innescati da vari fattori, tra i quali va certamente annoverato l'insediamento stabile in Sardegna dei Fenici.

Mutano le produzioni ceramiche, che tornano ad essere riccamente decorate nello stile detto "geometrico" e "orientalizzante".

Muta l'assetto di alcuni nuraghi, che subiscono seri rimaneggiamenti quando non addirittura il parziale smantellamento di torri e bastioni, come testimoniato dal nuraghe Genna Maria di Villanovaforru.

Muta l'assetto dei villaggi, con il passaggio dalla capanna circolare isolata al complesso di ambienti delimitati da un unico perimetro murario con cortile centrale comune (i cosiddetti "isolati").

La produzione di armi in bronzo subisce un incremento, come pure quella dei bronzetti. Le statuine in bronzo, create con funzione di ex voto, raffigurano varie figure: arcieri, opliti, pugilatori, lottatori, varie figure femminili, vari animali, oggetti legati alla vita quotidiana, modellini di nuraghe, navicelle e altro ancora.

Merita una particolare menzione il rinvenimento delle grandi statue in pietra presso la necropoli di Monti Prama (Cabras). Si tratta infatti di manufatti artistici che (ad esclusione delle sculture della Grecia arcaica) non trovano analogie tra le produzioni mediterranee coeve, anche se, va detto sin d'ora, proprio la cronologia di queste opere rappresenta un serio problema scientifico.

Le sculture di Monti Prama vennero rinvenute presso una necropoli ad inumazioni singole, e già questo fatto rappresenta un dato di rilievo, dal momento che in età nuragica la norma era rappresentata dalle sepolture collettive all'interno delle "tombe dei giganti". Ne venne rinvenuta una trentina circa di esemplari, frammentari.

Queste sculture raffigurano, seguendo uno stile iconografico assolutamente coerente con quello adottato per la piccola statuaria in bronzo, varie figure umane maschili: arcieri, opliti, pugilatori. Oltre alle figure umane però vennero rinvenuti (e anche questo è un dato rilevante) diversi esemplari dei cosiddetti 'modellini di nuraghe', ovvero sculture interpretabili come raffigurazioni in scala ridotta di questa tipologia monumentale.

La realizzazione - in pietra o in bronzo - di modellini di nuraghe rappresenta uno dei segni più eclatanti ed eloquenti dei profondi mutamenti in atto all'interno del sistema culturale nuragico in questo periodo, soprattutto se posto nella dovuta relazione con un altro fenomeno di grande rilievo: il cessare della realizzazione di nuovi nuraghi, l'abbandono di alcuni di essi e la parziale distruzione di alcuni monumenti con sovrapposizione di nuove capanne (ad opera, è opportuno precisarlo, degli stessi nuragici).

In un simile quadro di mutamenti culturali, appare legittimo interpretare la realizzazione dei modellini di nuraghe, così come delle grandi statue di Monti Prama, come espliciti simboli della memoria culturale a cui veniva affidato il compito di arginare il rischio di deriva identitaria che ogni mutamento culturale porta inevitabilmente con sé.

Fenicio-punico (800-238 a.C.)

Cabras, area di Tharros

Il periodo fenicio-punico comprende una prima fase storica (IX sec. a.C.-metà del VI sec. a.C.) in cui la Sardegna viene interessata dal fenomeno di colonizzazione del Mediterraneo occidentale attuato dai Fenici. Successivamente (seconda metà del VI sec. a.C.-238 a.C.) l'isola passa sotto il controllo più diretto e invasivo dei Punici.

I Fenici sono la popolazione semitica che occupava le coste del Libano sin dal III millennio a.C.Fonte principale dell'economia dei Fenici erano le intense attività commerciali e marittime. Per sostenerle, essi fondarono numerose colonie sulle coste del Mediterraneo, comprese quelle sarde.

Nasce in questa fase (tra il IX e il VII secolo a.C.) una serie di empori commerciali fenici che poi assumono i connotati di vere e proprie realtà urbane. L'arrivo dei Fenici in Sardegna sembra essere stato un fenomeno pacifico.

Invece l'incontro nell'isola, avvenuto intorno alla metà del VI sec. a.C., tra Fenici e Cartaginesi, dunque tra individui che si riconoscevano nello stesso modello politico, economico e sociale, provoca quel conflitto che non si era manifestato nel contatto tra le genti nuragiche e fenicie.

L'esito finale di questo scontro fu il passaggio della Sardegna sotto il controllo di Cartagine.

Età fenicia

Fenici in Sardegna
Con l'arrivo dei Fenici in Sardegna, il mondo nuragico entra in contatto diretto con il modello urbano da tempo affermatosi nel bacino del Mediterraneo. I dati archeologici attestano contatti commerciali e culturali tra Sardi, Fenici e Greci in centri indigeni, come nel caso del nuraghe e relativo villaggio di Sant'Imbenia, nella baia di Porto Conte (Alghero).

Il periodo precoloniale
I primi segnali della presenza fenicia in Sardegna sono inquadrabili cronologicamente a partire dal XII sec. a.C. fino ad almeno la prima metà dell'VIII sec. a.C. e sono pertinenti alla fase cosiddetta "precoloniale". Con questo termine si intende fare riferimento alla creazione da parte dei Fenici di insediamenti classificati nella letteratura specialistica con il termine di "empori".

Età punica

Cartaginesi in Sardegna
A movimentare la situazione di relativo equilibrio instauratasi in Sardegna in età fenicia tra forze culturali differenti, arrivano nell'isola, intorno alla metà del VI sec. a.C., i Punici, ovvero i "fenici" di Cartagine, la potente colonia fenicia fondata nel Nord Africa verso la fine del IX sec.a.C. Il passaggio della Sardegna sotto il dominio cartaginese accentuò ulteriormente il fenomeno di integrazione tra Sardi e Fenici. Tale fenomeno rimase attivo a lungo anche dopo la conquista romana dell'isola.

Il rito del tofet
Il termine "tofet" designava nella Bibbia una località ubicata presso Gerusalemme in cui si riteneva venisse praticato il sacrificio dei bambini. In seguito il temine è passato a designare tutte le aree sacre dei centri urbani fenicio-punici destinate alla deposizione delle urne cinerarie contenenti i resti di bambini, posti in questo luogo per essere affidati alla protezione della dea Tanit.


È probabile che già nel VI sec. a.C. il primo trattato tra Roma e Cartagine sancisse la possibilità per Roma di esercitare i propri traffici commerciali in Sardegna. Nel IV sec. a.C. si può ipotizzare la fondazione della colonia romana di Feronia (Posada) sulla costa orientale dell'isola.

È il secondo trattato tra Roma e Cartagine (348 a.C.) che proibisce ai Romani di accedere e di fondare città in Sardegna.

La fine della prima guerra punica, conclusasi con la vittoria di Roma su Cartagine, determina il passaggio della Sardegna sotto il dominio romano. Il passaggio non rientrava tra le clausole del trattato di pace stipulato nel 241 a.C., ma scaturì dalla decisione di Roma di aderire alla richiesta di aiuto dei mercenari di Cartagine di stanza in Sardegna, ribellatisi a causa dell'impossibilità per Cartagine di far fronte alle loro richieste di pagamento.

Nel 227 Roma crea una nuova provincia comprendente la Corsica, la Sardegna e le isole circostanti. Viene così sancito formalmente l'effettivo controllo di Roma sulla Sardegna, che rimarrà dominio romano sino al passaggio (avvenuto tra il 460 e il 467 d.C.) sotto il controllo dei Vandali.

Il periodo di dominazione romana della Sardegna è una fase storica che contribuirà significativamente alla definizione dei connotati culturali dei sardi. Indiscutibile testimonianza di questo dato di fatto ci viene offerto dal panorama linguistico isolano, profondamente segnato ancora oggi dalle proprie origini latine.

Età romana

La conquista romana
La storia dei rapporti tra Roma e la Sardegna ha inizio molto prima del momento in cui, nel 238a.C., l'isola passa sotto il dominio diretto dei Romani, per poi diventare - nel 227 a.C. - una nuova provincia di Roma.

Tra Cartagine e Roma
Il percorso storico che condusse Roma ad assumere i connotati di una grande potenza fu segnato significativamente dai rapporti con Cartagine. Nel momento in cui Roma comincia ad affacciarsi con maggiori ambizioni politiche, economiche e militari sul Mediterraneo occidentale, la potenza cartaginese è al suo apice.

La rivolta di Ampsicora
Il passaggio della Sardegna sotto la dominazione romana fu una conseguenza, anche se indiretta, della sconfitta subita da Cartagine nella prima guerra punica. Parliamo di "conseguenza indiretta" nel senso che il trattato di pace stipulato nel 241 a.C. tra Roma e Cartagine non prevedeva per quest'ultima la perdita di controllo sulla Sardegna.

La romanizzazione
Il passaggio della Sardegna dalla sfera di controllo cartaginese a quella romana fu una conseguenza della prima guerra punica (264-241 a.C.). Nell'impossibilità di soddisfare le richieste economiche dei mercenari di stanza in Sardegna, Cartagine fu costretta nel 238 a.C. a cedere ai Romani il controllo dell'isola.

Le origini del cristianesimo
La Sardegna, al centro delle più importanti rotte commerciali mediterranee, costituiva in età romana il terreno ideale per una tempestiva e precoce diffusione del cristianesimo. Inoltre nell'isola, a partire dalla piena età imperiale, erano presenti numerose comunità ebraiche (Carales, Sulci, Tharros, Turris Libisonis, Forum Traiani).



Tra il 460 e il 467 la Sardegna passa sotto il controllo dei Vandali. Nel 534 l'isola viene riconquistata da Giustiniano e ritorna a far parte dell'impero romano, il cui baricentro si era però spostato da Roma a Costantinopoli. Inizia l'età bizantina, destinata a protrarsi fino al 1000 circa e alla nascita dei quattro giudicati.

I Vandali erano una popolazione di origine germanica che, migrata verso sud nelle terre dell'impero romano, aveva stabilito il proprio regno dapprima in Spagna, poi in Africa settentrionale.
La presenza vandalica in Sardegna si limita al controllo dei centri costieri e non incide sul tessuto amministrativo e culturale, che mantiene caratteri di continuità con la tradizione tardoantica.

L'isola viene cristianizzata a partire dai primi secoli. Nel II secolo si ha notizia di cristiani condannati ai lavori forzati nelle miniere sarde. Nel IV secolo si ha la prima notizia di un vescovo isolano (a Cagliari), a cui ne seguono altre nel V.
È questa anche l'epoca dei primi martiri locali (San Saturnino di Cagliari, Sant'Antioco, San Lussorio di Fordongianus, San Gavino di Porto Torres).

A seguito della dipendenza politica dall'impero romano con sede a Costantinopoli, l'isola viene affidata a due autorità: il "praeses", che svolgeva un ufficio di tipo civile, e un "dux", che si occupava degli affari militari e che, a partire dall'800 circa, dovette assorbire le prerogative del primo, generando la figura dello "iudex" (giudice o re).

Età vandalica

Vandali in Sardegna
Le fonti documentarie sono scarse ed è pertanto l'archeologia che fornisce gli strumenti per ricostruire la storia sarda nel secolo della conquista vandalica. La continuità dei flussi commerciali con Roma e con l'Africa settentrionale indica che il tessuto economico tardoromano si mantenne vitale. Le città costiere non perdono la loro importanza. Il territorio deve però riorganizzarsi secondo nuove coordinate, dettate dalla presenza cristiana.

Le fortificazioni tardoantiche
Fra la metà del V e la metà del VI secolo Africa e Sardegna sono strettamente e nuovamente coinvolte in una storia comune. Nel V secolo i Vandali, provenienti dalla Spagna, varcano lo stretto di Gibilterra e si spostano lungo le coste dell'Africa mediterranea. Nel 439 Genserico conquista Cartagine.

Età bizantina

Bizantini in Sardegna
Nei secoli della "lunga età bizantina", l'isola vive un corso storico differente rispetto a quello dei territori italici e dell'Occidente in genere. Non viene occupata da popolazioni barbariche né dagli Arabi, non entra a far parte dei domini carolingi e mantiene un'ininterrotta dipendenza politico-amministrativa da Costantinopoli.

Le iscrizioni greco-bizantine
Nella Sardegna meridionale si conservano alcune iscrizioni medioevali in lingua greca, la cui importanza risiede nel fatto che vi si leggono i nomi dei locali rappresentanti dell'impero romano di Costantinopoli. Si tratta forse di nomi propri (Torcotorio, Salusio, Orzocco), che poi diventeranno titoli dinastici dei Lacon-Gunale, giudici di Cagliari.


Attorno alla metà del Mille la Sardegna risulta divisa in quattro regni o giudicati, retti da un re o giudice. I giudici erano i rappresentanti locali dell'imperatore bizantino che, attorno al 1000, si resero autonomi. Ne derivò una partizione del territorio nei quattro regni di Cagliari, Arborea, Torres e Gallura, a loro volta divisi in curatorie.

Di pari passo si assistette alla riorganizzazione della Chiesa. Le vaste diocesi dell'età bizantina vennero frazionate in nuove circoscrizioni ecclesiastiche: arcidiocesi e diocesi rette da arcivescovi e vescovi, cui facevano capo le parrocchie.

È in questo contesto che i giudici, attraverso donazioni, favorirono l'arrivo nell'isola dei Benedettini (da Montecassino, San Vittore di Marsiglia, Camaldoli, Vallombrosa, Cîteaux) che insediarono i propri monasteri nel territorio sardo. Si assistette a una rinascita della cultura sotto l'ala protettrice della Santa Sede.

Da non trascurare anche la presenza sempre più stabile e radicata delle repubbliche di Pisa e Genova, la cui attività commerciale nell'isola portò a conflitti con i poteri locali. La loro presenza interferì spesso a livello politico e arrivò a determinare la fine di tre giudicati (Cagliari, Torres e Gallura), che dopo il 1250 caddero in mano a signori pisani o genovesi.

Queste circostanze storiche contribuirono alla circolazione di nuove correnti artistiche nell'isola, che si innestarono nel sostrato locale e che hanno lasciato le tracce più significative nell'attività architettonica sia militare sia, soprattutto, ecclesiastica.

Età giudicale

I quattro regni della Sardegna medievale
L'espressione artistica che meglio esprime l'originalità della Sardegna giudicale è l'architettura romanica, contraddistinta tanto dall'adesione al linguaggio internazionale europeo, quanto dall'elaborazione di caratteri locali.

Le origini dei giudicati
In seguito alla conquista giustinianea del 534 la Sardegna divenne bizantina. Due autorità amministravano l'isola: un "praeses" per le questioni civili e un "dux" per quelle militari. Il "praeses" aveva anche il controllo politico e giudiziario dell'Isola, tanto da essere definito "iudex insulae". Il "dux" o "magister militum" si occupava invece della manutenzione delle opere fortificatorie.

I giudicati come regni
I giudicati, le quattro entità istituzionali nelle quali la Sardegna risulta divisa dopo la metà del Mille, erano organismi configurati dal punto di vista giuridico come veri e propri stati. Al vertice della struttura stava il giudice ("iudike, iuighe"), titolo ordinariamente ereditario "di diritto". Una testimonianza diretta del valore giuridico di tale titolo ci giunge dai sigilli in piombo.

Il ruolo di Pisa e Genova
A partire dalla seconda metà dell'XI secolo, una serie di fattori, quali l'attività dei monaci benedettini e il trasferimento di architetti e maestranze continentali, modificano in senso latino l'assetto economico e culturale della Sardegna. Mutano i segni della rappresentatività, quali quelli architettonici ma gradualmente anche gli equilibri interni e reciproci nei quattro giudicati.


Nel 1323 l'infante Alfonso d'Aragona sbarca in Sardegna per concretizzare l'atto di infeudazione voluto da papa Bonifacio VIII in favore di Giacomo II d'Aragona, con la creazione nel 1297 del "Regnum Sardiniae et Corsicae" e la sua concessione al sovrano aragonese.
Dapprima la città di Villa di Chiesa (Iglesias), poi nel 1326 il Castello di Cagliari vengono conquistati a scapito dei Pisani.

Un nucleo di resistenza alla conquista dell'isola è costituito dai signori pisano-genovesi delle famiglie Doria e Malaspina e dal giudicato di Arborea, col quale l'Aragona ingaggia una lunga guerra, dalla quale esce vittoriosa soltanto nel 1410.

Da questo momento in poi sarà la penisola iberica a costituire il principale punto di riferimento per l'isola, in particolare la Catalogna, sia dal punto di vista politico amministrativo (vengono infatti importate in Sardegna le principali istituzioni catalane), sia da quello culturale. Ma un taglio netto con la cultura italiana avviene soltanto a Cagliari, mentre nel giudicato arborense e nel resto dell'isola il cambiamento è più graduale.

Nel 1479 il sovrano Ferdinando II (1479-1516) promulga una serie di riforme istituzionali volte a trasformare la Corona di Spagna in un grande stato europeo. Nel suo disegno di omogeneizzazione culturale rientra anche la promozione di nuove fabbriche che dovevano testimoniare la nuova unità nazionale attraverso la monumentalità e la ricchezza esornativa. Si configura così un gusto artistico, detto dei Re cattolici, nel quale si fondono stilemi gotici, mudéjar e rinascimentali.

In Sardegna non si ha tuttavia un riscontro immediato della nuova politica artistico-culturale: il gotico nella sua accezione isolana continua almeno fino al XVII secolo a caratterizzare le architetture sia religiose che civili, coesistendo, dalla fine del Cinquecento, con la nuova ideologia rinascimentale importata dalla Compagnia di Gesù (nell'isola dal 1559) e dagli ingegneri militari e in linea con le direttive artistiche di Filippo II (1556-1598). Con l'erede di Carlo V si compie infatti definitivamente il processo di ispanizzazione dell'isola: sul piano artistico si verifica una sintesi formale - con lo stile detto plateresco - tra i linguaggi gotico e classicistico, che caratterizzerà l'architettura locale fino alla fine del Seicento.


Età aragonese

Catalani e Aragonesi in Sardegna
Il dominio catalano-aragonese ha condizionato l'assetto socio-politico ma anche le caratteristiche culturali dell'arte in Sardegna, determinando la persistenza dell'architettura gotico-catalana e del polittico ispanico di matrice tardogotica - il retablo - fino al Seicento inoltrato.

La conquista aragonese
Nel 1297 il papa Bonifacio VIII istituì ex novo il "Regnum Sardiniae et Corsicae" infeudandolo al sovrano d'Aragona Giacomo II. La conquista territoriale della Sardegna ha inizio però soltanto nel 1323 con lo sbarco dell'esercito aragonese, comandato dall'infante Alfonso, nel golfo di Palma di Sulcis. L'occupazione del territorio avviene con lentezza, ma capillarmente.

La battaglia di Sanluri
La lunga guerra per il dominio sulla Sardegna tra il regno di Arborea e la Corona d'Aragona, iniziata da Mariano IV de Bas-Serra nel settembre del 1353 e proseguita dai suoi eredi, fu intervallata da brevi periodi di tregua ed ebbe una svolta decisiva nel 1409 con la battaglia di Sanluri, dalla quale l'esercito giudicale uscì pesantemente sconfitto.

Età spagnola

Spagnoli in Sardegna
Bisogna attendere i primi anni del Cinquecento per assistere alla formazione di una scuola pittorica locale che ha il suo massimo esponente in Pietro Cavaro, membro di una famiglia di pittori cagliaritani attivi per oltre un secolo nelle botteghe del quartiere di Stampace.

L'invenzione dei Corpi Santi
Alla fine del Cinquecento la polemica tra gli arcivescovi di Sassari e Cagliari per il primato sulla Chiesa sarda assunse un'asprezza di toni tale da avere ripercussioni oltre che sul piano politico anche sul processo di assimilazione del nuovo gusto artistico. Sin dal 1409 i presuli di Cagliari si erano infatti attribuiti il privilegio di "primate di Sardegna e Corsica".

La Sardegna dei Savoia
Fra il 1714 e il 1718 l'isola passa prima sotto il controllo austriaco, poi sotto quello piemontese. Con il possesso della Sardegna i Savoia acquisiscono il titolo reale. Per tutto il secolo perdura l'arte tardobarocca, a opera di architetti e artisti che provengono dal continente italico.

Sa die de sa Sardigna Sa die de sa Sardigna è la festa del popolo sardo che ricorda i cosiddetti "Vespri Sardi", cioè l'insurrezione popolare del 28 aprile 1794 con il quale si allontanarono da Cagliari i Piemontesi e il viceré Balbiano in seguito al rifiuto del governo torinese di soddisfare le richieste dell'isola titolare del Regno di Sardegna.

Età sabauda


I Savoia in Sardegna
Con la conclusione della "guerra di successione spagnola", il 2 agosto 1718 ha termine, con il patto di Londra, il predominio spagnolo in Sardegna, che viene assegnata alla casa ducale dei Savoia che insieme al dominio territoriale dell'isola acquista anche il titolo regio.

Gli ingegneri militari
Il definitivo passaggio della Sardegna ai Savoia nel 1718 non segna un'interruzione delle fabbriche in corso, contrassegnate dall'adesione al linguaggio tardobarocco, destinato a perdurare sino alla fine del secolo in una serie di chiese che coniugano elementi di tradizione locale con modi del manierismo cinquecentesco e del barocco seicentesco.

Il primo Settecento
Nella prima metà del '700, nonostante la decisione del governo sabaudo di seguire una linea di condotta rispettosa delle istituzioni, delle leggi e delle consuetudini sarde, le azioni adottate si discostano di fatto dalle primitive intenzioni, sia per precise scelte che per difficoltà concrete. Un esempio è la diversa considerazione, rispetto alla monarchia spagnola, del viceregato.

L'arte d'importazione
Il passaggio del Regno di Sardegna dagli Asburgo di Spagna ai Savoia, per quanto attiene il discorso sui prodotti artistici, non comporta sostanziali mutamenti circa i tradizionali rapporti con le città italiane del Mediterraneo, fatta eccezione naturalmente per l'inserimento nel quadro culturale delle scelte estetiche dei nuovi sovrani.

Il primo Ottocento Il 3 marzo 1799 il re di Sardegna Carlo Emanuele IV di Savoia sbarca a Cagliari con una corte di familiari e collaboratori in seguito alla fuga dal Piemonte, invaso dalle truppe di Napoleone Bonaparte. La presenza della corte nell'isola, protrattasi fino al 1814, da un lato imprime vigore alla restaurazione politica e civile, dall'altro fa guadagnare ai Savoia un nuovo consenso.


Nella seconda metà dell'Ottocento la Sardegna condivide il clima di rinnovamento urbano che caratterizza tutta la penisola, impegnata nella creazione della moderna città borghese nell'Italia postunitaria.

Fondamentale in questo senso la figura di Gaetano Cima che, insegnante di Architettura nell'Ateneo di Cagliari dal 1840 al 1864, forma tutta una generazione di tecnici sempre più qualificati e consapevoli dell'importanza della fase progettuale, improntata a principi di ordine, simmetria e proporzione.

Tuttavia l'edilizia pubblica continua a lungo a caratterizzarsi in senso storicista con una tendenza spiccata al monumentalismo e all'eclettismo degli stili, improntati ai revival. Emblematiche a Sassari e a Cagliari le decorazioni di sale di rappresentanza affidate rispettivamente a Giuseppe Sciuti e a Domenico Bruschi, e a Cagliari l'edificazione del nuovo Palazzo Civico, che unisce elementi neogotici ed elementi Liberty.

Un rinnovato impulso architettonico e urbanistico venne dal regime fascista. Accanto alle grandi opere stradali, idrauliche e portuali furono numerosi gli edifici pubblici costruiti durante il Ventennio: gli istituti universitari, i palazzi di governo, le scuole, sono solo alcune delle realtà architettoniche ispirate a quello stile ufficiale e accademico, che caratterizzò l'edilizia pubblica di tutta la penisola.

Non mancano però costruzioni che rispondono in pieno ai canoni del Razionalismo. Fondamentale fu poi la creazione delle città di fondazione di Arborea, Fertilia, Carbonia e Cortoghiana, unici casi in cui si ebbe modo di concretizzare una nuova visione degli spazi e delle architetture urbane.

Età post-unitaria

L'Italia delle Nazioni
È nel clima conservatore della fine dell'Ottocento e dei primi del Novecento che ha inizio in Sardegna il cammino dell'arte moderna. Nell'arco di un ventennio gli artisti, persuasi della specifica identità del popolo sardo, prendono coscienza del valore culturale della propria opera.

La città postunitaria
All'indomani dell'Unità d'Italia la conformazione urbana della Sardegna rivelava la sua struttura estremamente fragile per una serie di aspetti e problematiche. La gran parte della popolazione risiedeva nei piccoli comuni disseminati per tutta l'isola, mentre solo una minima parte nei centri più consistenti, soltanto i maggiori dei quali, Cagliari e Sassari, superavano i 5000 abitanti.

Una nuova immagine della Sardegna
È negli anni a cavallo tra '800 e '900 che si fa strada nel ceto intellettuale l'idea del valore dell'arte come strumento per la formazione dell'identità. In sintonia con il movimento culturale teso al riscatto della Sardegna, che ha tra i suoi protagonisti Deledda, S. Satta e Ruju, emerge un movimento artistico che punta a costruire una nuova immagine dell'isola.

Ciusa, Biasi e Figari
Sono tre gli episodi che la letteratura artistica ha indicato, in momenti diversi, come punto di inizio della storia dell'arte del Novecento in Sardegna. Il primo è l'Esposizione tenutasi a Sassari nel 1896, cui parteciparono numerosi artisti sardi e della penisola e che rappresenta il primo incontro ufficiale di questo tipo.

Le opere pubbliche del regime
Il fascismo eredita alcuni dei problemi irrisolti della città "borghese": la contrapposizione crescente fra centro e periferia e l'attenzione prevalente per la singola architettura con scarso interesse per il contesto; dal divario sempre più visibile tra architetture di pregio e edilizia corrente ad una preoccupazione per il disegno formale della città più che per le sue esigenze reali.

Negli anni difficili del secondo dopoguerra, la cultura sarda si caratterizza per l'intensità dell'impegno civile. L'obiettivo del riscatto sociale e culturale dell'isola accomuna gli artisti che militano sul fronte del realismo e quelli che puntano all'aggiornamento dei linguaggi sulla scorta delle avanguardie.
Malgrado il fervore di dibattito che percorre gli anni Cinquanta e Sessanta, però, l'innovazione non assume toni radicali: la Sardegna "salta" il momento concettuale distinto dal superamento delle barriere tra le tecniche e dallo sconfinamento dell'arte nella vita quotidiana, per attestarsi su ricerche di tono informale e analitico.
Con il consolidarsi di un sistema dell'arte dominato dalla logica del mercato internazionale, inoltre, gli artisti sardi scontano l'assenza nella regione di gallerie e canali espositivi riconosciuti all'esterno.
Tra gli anni Ottanta e Novanta, all'emergere di una nuova leva artistica, per la quale il rapporto con l'identità ha cessato di costituire la preoccupazione dominante, fa riscontro il sorgere di strutture museali e didattiche per l'arte contemporanea e di una diffusa attività critica.
In campo architettonico e urbanistico, la Sardegna non va esente dai mali endemici dell'Italia repubblicana. La crescita incontrollata delle città, l'edilizia a basso costo, la sistematica alterazione, quando non distruzione, dei contesti tradizionali soltanto di rado si accompagnano alla capacità di progettare e costruire con intelligenza il nuovo.

Età repubblicana

Made in Sardinia
La rinascita dell'artigianato sardo, nel corso del Novecento, viene spesso interpretata come un ritorno alle radici primitive dell'arte dopo il decadimento causato nei secoli dall'influsso pisano, spagnolo e piemontese.

La ricostruzione
In Sardegna le operazioni della seconda guerra mondiale si conclusero di fatto con l'armistizio dell'8 settembre 1943 e con il passaggio delle truppe tedesche in Corsica. L'arrivo degli Alleati (attorno alla metà del settembre 1943) e la nomina nel gennaio 1944 del generale Pietro Pinna ad Alto Commissario per la Sardegna, segnavano uno stacco netto rispetto all'anteguerra.

L'isola delle vacanze
Il boom turistico in Sardegna è rappresentato dalla "vicenda Costa Smeralda" che, su un territorio esteso per circa 50 km tra Arzachena e Olbia, ha innescato un meccanismo di trasformazione totale di luoghi disabitati che per le sue conseguenze ha corrispondenza con quelli della bonifica di Sassu e della fondazione di Carbonia durante il Ventennio.

Il rinnovamento dei linguaggi A segnare l'ingresso "ufficiale" in Sardegna dell'arte contemporanea è, nel 1957, la premiazione alla I Biennale di Nuoro, tra accese polemiche, di un dipinto astratto di Mauro Manca. Dietro l'impulso di Manca, direttore dell'Isituto d'Arte di Sassari, e dei giovani cagliaritani del Gruppo Transazionale, l'isola si apre ai linguaggi dell'informale e dell'arte programmata.

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