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giovedì 28 giugno 2012

Scuola digitale nessuna buona notizia.

Fonte www.scuolasarda.it


Il progetto scuola digitale della regione è ormai immerso in un caos totale. Le mosse della regione sono state nell'ordine:

1- con le giornate di Oristano hanno tentato di far acquistare ai presidi una LIM  che nessuno ha mai visto e che probabilmente vale poco e niente. Come sapete gli è andata male.


2- Hanno cercato, riunendo i cosiddetti facilitatori a Macomer, di riproporre l'operazione a favore della LIM famigerata, con un trucchetto. L'assessorato all'istruzione e il gruppo che sta gestendo il progetto, dopo aver comunicato che la regione non avrebbe mai modificato il disciplinare tecnico pro-oliboard, ha passato il capitolato ai facilitatori e questi, più realisti del re, hanno cercato di riproporlo alle scuole punto ordinanti, in maniera del tutto irrituale, senza alcuna lettera di trasmissione, senza uno straccio di comunicazione ufficiale, senza niente.
Finora hanno trovato un solo campione, il preside della scuola di Tonara (con relativo facilitatore) che ovviamente si prenderà il ricorso delle ditte escluse e non solo.   Anche in questo caso gli è andata male.


3- Ultim'ora: circola la voce, ma è solo una voce (dall'assessorato si sono ammutoliti), che la Regione darebbe alle scuole la libertà di modificare il capitolato tecnico pro-oliboard (come sono buoni), se queste sono in grado di costruirne uno nuovo.
Poichè la stragrande maggioranza non è in grado (onestamente bisogna riconoscerlo), la speranza è che molti si prendano il capitolato pro-oliboard e procedano all'acquisto.
Ovviamente anche in questo caso ci saranno una marea di ricorrenti. Più che lavorare per la riuscita del progetto, il gruppo del'assessorato ha lavorato finora,  benissimo e brillantemente per il suo sicuro fallimento.
Naturalmente, per convincere i presidi ad acquistare in fretta, si usa sempre lo stesso argomento, lo stesso di un anno fa: se non procedete all'acquisto rischiamo di perdere i fondi europei. Come mai non li hanno persi già l'anno scorso, visto che l'argomento è vecchio di un anno?
Inoltre, poichè i ritardi sono da ascrivere totalmente all'assessorato, nel caso si dovessero perdere i finanziamenti, propongo  una class action nei confronti di chi  ci ha portati in questa situazione ( si badi bene, delle persone e non dell'ente regione).
Sono diversi quelli che mi chiamano per avere consigli su come modificare il disciplinare di gara e procedere all'acquisto. A mio avviso, anche se questa operazione è lodevole, si colloca in un clima di caos totale, per non dire di opacità e di turbativa, che certamente, comunque si alteri il disciplinare, favorisce i ricorsi di chiunque.

Vorrei trovare il tempo per scrivere qualcosa su questi argomenti:

2- i soldi (spesi ?) previsti per il  sito www.semidas.it 
4- infine, come si esce da questa situazione ? Non mi dimentico neanche dell'altro bando di 29 milioni ( ma sono ancora tali ?) sui contenuti che, se non fosse uno sperpero di denaro pubblico, definirei esilarante almeno per la questione "Topolino".

mercoledì 27 giugno 2012

Un pizzico di retorica



In italiano ci sono parecchi modi di dire che usano la parola "retorica": e quasi tutti hanno un senso negativo. Mamma mia, quanto sei retorico!, diciamo a chi parla troppo, dice cose banali, fa troppi giri di parole o comunque usa una forma linguistica scontata e non naturale. Oppure, per scusarci quando diciamo qualcosa che probabilmente dicono tutti, introduciamo il discorso con un forse sarà retorico ma io penso che... Per non parlare poi di quando vogliamo criticare un film, un racconto, un gesto o un rito (un po' retorico, no?) e di quando andiamo a cercare il pelo nell'uovo e notiamo subito quelpizzico di retorica che andrebbe evitato.
Insomma: la parola retorica ha sempre qualche aspetto negativo, ma la retorica (quella vera), cioè l'arte che studia le proprietà del discorso, di negativo ha ben poco.
Secondo la tradizione la retorica studia dunque il discorso e in particolare i temi e gli argomenti (inventio), la disposizione delle parti (dispositio) e la scelta e la disposizione delle parole (elocutio).
In pratica, più comunemente, intendiamo per retorica tutti quegli artifici che ci consentono di esprimerci meglio o, soprattutto, di riuscire ad ottenere qualcosa dal nostro parlare.
I termini che definiscono le "figure retoriche", cioè ciascuno di questi artifici, sono numerosi e anche un po' difficili (vengono quasi tutti dal greco e sono spesso "impronunciabili"!) Ma i singoli artifici sono poi quasi sempre molto meno complicati di quello che sembrano e, alla fin fine, ognuno di noi può accorgersi di quanto il proprio parlare sia davvero pieno di retorica.
Le figure retoriche più particolari (e divertenti) sono certamente quelle che si usano per dire e non dire, quelle che usiamo per convincere, per sostenere una tesi, per ironizzare o per "farci belli". Fra queste ricordiamo in particolare:   

 Adynaton:  È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel regno dei cieli. Questa celebre frase del Vangelo è una tipica figura retorica che di chiama adynaton(parola greca che significa cosa impossibile). L'adynaton sottolinea l'impossibilità che una determinata cosa succeda e, per rafforzare questa convinzione di impossibilità, subordina questo accadimento a un altro decisamente impossibile. 
Allegoria:  L'intero viaggio di Dante Alighieri nella Divina Commedia  può essere un buon esempio per rappresentare una allegoria (dalla parola greca che significa parlare altrimenti). L'allegoria è una specie di metafora animata e prolungata: una storia, una azione, anche un'intera composizione in cui il significato letterale dei singoli accadimenti passa in second'ordine rispetto al significato simbolico (mi ritrovai in una selva oscura che la diritta via era smarrita).Allusione:  Una vittoria di Pirro (per il significato di questa espressione vedi la lettura di MatDid: La vittoria di Pirroè una chiara allusione a una vittoria che in realtà vera vittoria non è. Si tratta in sostanza di un riferimento più o meno velato a un qualcosa che non si vuol dire apertamente. Quando il Ministro per le Riforme e segretario del partito della Lega onorevole Umberto Bossi ha chiamato gli immigrati"Bingo-Bongo", per esempio, ha usato in modo decisamente infelice la figura retorica della allusione. 
AntifrasiA una persona che ha fatto qualcosa di davvero stupido possiamo dire:  Ma come sei intelligente! e qualche volta, quando la situazione diventa più difficile, diciamo ora viene il bello!: intendendo proprio l'esatto contrario di quanto abbiamo detto. È questo un caso di antifrasi (dalla parola greca che significa espressione contraria).Antonomasia: il procedimento per cui si sostituisce un nome con una perifrasi - o anche con una qualità - che caratterizza quel determinato nome. In particolare si parla di antonomasia in espressioni come l'eroe dei due mondi (che è evidentemente Giuseppe Garibaldi, l'eroe dei due mondi per antonomasia) o, nel linguaggio giornalistico, quando si scriveva l'avvocato parlando del Presidente della Fiat Gianni Agnelli.
Aposiopesi: vedi reticenza.
Disfemismo: è il fenomeno - usatissimo nell'italiano parlato - per cui una espressione negativa viene usata affettuosamente al posto di una positiva. E tuttavia prende valore positivo al di là del suo significato letterale. Così possiamo chiamare un bambino dicendogli vieni qui, delinquente!;  oppure possiamo parlare di un amico che si chiama Gaetano chiamandolo Gaetanaccio, senza avere nei suoi confronti alcuna volontà offensiva. Il procedimento è valido in alcune regioni italiane anche per parole volgari e offensive che nel parlato amichevole assumono un significato di quasi-complimento.
Epanodo: consiste nel riprendere una parola o una frase già detta per arricchirla con nuovi particolari. Si dice invece epanortosi la ripresa di una parola che viene un po' modificata o corretta, magari attraverso espressioni come ma che dico? oppure anziquesto governo governa male; anzi questo governo non governa!
Eufemismo: sostituzione di una espressione troppo cruda o negativa con un'altra che ha un valore più attenuato ma che suona un po' come volontà di non essere troppo "brutali". È un eufemismo ad esempio dire che una determinata persona non manifesta un'intelligenza troppo viva o brillante(invece di dire persona un po' stupida), ma sempre di eufemismo si tratta quando sostituiamo parole "tabù" con espressioni figurate: un brutto male per tumore o andarsene per morire, ad esempio. Eufemismo è anche dire cribbio! per Cristo! o sostituire l'esclamazione e che diavolo con e che diamine!.
IperboleMa quanto tempo ci metti a prepararti? È un secolo che ti aspetto! L'iperbole è un'espressione esagerata, per difetto o per eccesso. Infatti è iperbolica anche l'espressione: vado a comprare le sigarette: due secondi e torno a casa!
Ipotiposi: significa descrivere qualcosa con particolare vivacità. Se dico che dopo due settimane di vacanza stavo così bene che mia sorella per riconoscermi mi ha dovuto fare l'esame del Dna, per esempio, la descrizione è così colorita che può rientrare in questa definizione.
Ironia: in retorica significa dire esattamente il contrario di ciò che si pensa presupponendo che chi ascolta sappia capire il senso reale del discorso: Con il governo Berlusconi l'Italia ha fatto grandi progressi e in tutto il mondo siamo ammirati per la nostra politica, nazionale e internazionale.
Metafora: probabilmente è la figura retorica più nota e più studiata: si tratta di un procedimento per cui usiamo una parola concreta per definire un concetto astratto senza ricorrere a nessun suggerimento che permetta direttamente di intuire la relazione: un mare di persone, il fantasma di una vecchia ideologia, l'ombra di una persona ecc.
Metonimia: il significato  letterale è "cambiamento del nome". Parliamo di metonimia quando sostituiamo una parola con un'altra che è a lei legata da una relazione: soldi guadagnati col sudore(rapporto di causa effetto tra lavoro e sudore), bere un bicchiere (rapporto contenuto contenitore tra vino e bicchiere), possedere un Guttuso (rapporto opera autore tra quadro e Guttuso) e così via.
Ossimoro: accostamento di due termini in contraddizione fra loro che tuttavia assumono un forte valore semantico proprio da questa paradossale diversità: un silenzio assordante, un giovane vecchio o, come recitava il titolo di una vecchia canzone ghiaccio bollente.
Paradosso: parola comune anche in italiano parlato oltre che in quello specialistico della retorica. Si tratta di un'affermazione che può sembrare assurda o comunque contraria al buon senso e che tuttavia potrebbe dimostrarsi vera. Si usa in particolare come tecnica per convincere gli altri delle proprie argomentazioni.
Paralessi: o preterizione: artificio retorico per cui si fa finta di non capire o si finge di tralasciare qualcosa o di non dirla. Il tutto per fare in modo che questa cosa venga comunque fuori. Tipico caso un'espressione come non starò qui a ricordare i danni provocati da alcuni politici. Voglio però parlare di un caso in particolare... 
Perifrasi: giro di parole, circonlocuzione per dire con parole diverse qualcosa che potrebbe forse essere detta in modo più breve. Può avere un effetto poetico letterario (i quartieri dove il sole del buon dio non dà i suoi raggi, sono i quartieri del porto di Genova, pieni di vicoli stretti sempre in ombra) o anche comico (sono caduto da cavallo e mi sono fatto là dove non batte mai il sole, al sedere).   
Reticenza: sospendere una frase, non dire una conclusione lasciando che gli ascoltatori traggano da soli le loro conclusioni e percepiscano spesso la minaccia di certi fatti: prova a disubbidirmi e vedrai!
Sillessi: vero e proprio artificio retorico per cui si attribuiscono a più soggetti determinate caratteristiche o azioni che invece sono proprie solo di alcuni soggetti e non di tutti: gli americani e gli europei sono presenti militarmente in Iraq per esempio è una affermazione che può essere fatta, ma sorvola sul fatto che non gli europei ma solo una parte degli europei è presente in Iraq.
Similitudine: figura retorica che esprime, spiega o illustra un concetto attraverso il paragone con un altro: entrare in un ristorante come lupi affamati che scendono dalle montagne.
Sineddoche: Sostituzione di un termine con uno figurato che ha un significato più ristretto rispetto al primo: ferro per armi, vela per nave, l'uomo per gli uomini ecc.
Sinestesia: Accostamento di due parole appartenenti a sfere sensoriali diverse: un colore freddo, un sapore vivace, una musica ruvida ecc.
Sospensione: vedi anche reticenza. Lasciare volutamente in sospeso un discorso. Se le cose andranno così... va bene, non voglio aggiungere altro.
Zeugma: collegare a uno stesso verbo due enunciati che richiederebbero naturalmente due verbi specifici: quando mi sentirai piangere e soffrire allora capirai il male che mi hai fatto. 

Ma se le figure retoriche indicate finora hanno tutte la caratteristica di dire qualcosa con parole "diverse" da quelle che sarebbero necessarie per esprimere semplicemente un concetto, molte altre figure retoriche dicono le cose che intendono con le parole "giuste" e tuttavia permettono di rafforzare il nostro pensiero attraverso altre strategie: 

 Anticlimax:  procedimento contrario al climax (vedi) e cioè la disposizione di parole o frasi in modo tale che decrescano di intensità: ottimo, migliore, buono.
Antitesisi parla di antitesi (dalla parola greca che significa "contrapposizione") quando per rafforzare un concetto neghiamo il suo contrario: parlo di realtà, non di fantasia!
Apostrofe: interrompere il normale svolgimento del discorso con un'invocazione  (o anche un'invettiva) direttamente rivolta a qualcuno o qualcosa. l'apostrofe più nota è forse quella di Dante contro Pisa:  ... Ahi Pisa, vituperio de le genti! ...
Climax: progressione di elementi della frase o di frasi che salgono di intensità: buono, migliore, ottimo! per esempio; o con i numeri possiamo dire decine, centinaia o forse migliaia!
Diafora: si dice diafora il procedimento per cui una parola viene usata due volte ma con un significato diverso. Si presta perciò a numerosi giochi di parole e può essere utilmente impiegata in slogan pubblicitari: un uomo senza senso potrà mai perdere i sensi?
Dilogia: formula retorica per cui una parola viene ripetuta più volte, in momenti diversi, per dar maggiore forza espressiva al discorso.
Dittologia: è l'uso di due parole dallo stesso significato unite fra loro dalla congiunzione "e". La dittologia da una parte rafforza il significato della parola, dall'altro conferisce alla frase un maggiore peso dal punto di vista ritmico: dare una risposta ferma e decisaun comportamento superbo e spaccone o, da un verso poetico di Petrarca un vecchierel canuto e bianco.
Domanda retorica: frase interrogativa che contiene già in sé una evidente risposta.
Endiadi: da un'espressione greca che significa "una cosa per mezzo di due". È la figura grammaticale attraverso la quale possiamo usare due termini - correlandoli fra loro attraverso la congiunzione "e" - per esprimere una sola idea o un concetto che potrebbe essere manifestato da un'unica espressione: se per esempio diciamo la decisione e la volontà invece di dire la decisa volontà questo è un caso di endiadi.
Enfasi: fra queste parole riferite a figure retoriche e grammaticale, il termine "enfasi" è uno dei pochi che ha un certo uso anche al di fuori del linguaggio specialistico, forse perché gli italiani esagerano spesso. infatti "enfasi" significa esagerazione, una qualche volta eccessiva vivacità nel parlare o nello scrivere, una teatrale manifestazione del proprio pensiero. per questo possiamo parlare di enfasi del tono di voce, di enfasi gestuale o anche di enfasi oratoria, del modo di parlare.
Come figura sintattica è quindi un'espressione che si caratterizza per la volontà di sottolineare una accesa partecipazione sentimentale a quanto si sta dicendo: Tu, proprio tu, mio dio!, dici questo?  

Epifonema: Da una parola greca che significa "esclamare" e la frase enfatica che conclude un discorso in modo sentenzioso o, appunto, retorico: ... e solo così avremo un futuro degno di questo nome!  
Invettiva: Frase o discorso violento rivolto direttamente contro qualcuno o qualcosa.
Vedi anche 
apostrofe.
Ipallage: Da una parola greca che significa "scambiare". L'ipallage consiste infatti in uno scambio di relazione logica tra due termini di uno stesso discorso. per cui - nel linguaggio marinaresco - possiamo dire dare le vele ai venti, ma, con un piccolo artificio retorico, anche dare i venti alle vele.
Iterazione: significa "ripetizione" ed è un procedimento molto usato nell'arte oratoria: si ripetono più volte le stesse parole o le stesse frasi, rispettando un certo ritmo del discorso, sia per fissare concetti negli ascoltatori, sia per mantenere la coesione dell'intero argomentare.

Litote: definire una caratteristica attraverso la negazione del suo contrario. Si usa spesso dire: non è male!, non è irrilevante, non è inutile ecc. per dire che è bene, è rilevante, è utile.
Premunizione o prolessi: reazione preventiva a possibili obiezioni di chi ci ascolta: e se qualcuno pensasse che io parlo per interesse risponderò chiaro e tondo che non ho vantaggi personali da queste mie affermazioni!La prolessi è anche l'anticipazione di un termine che nella costruzione normale andrebbe dopo, anticipazione che permette naturalmente una forte sottolineatura del termine stesso: questo ho fatto e non me ne pento! dove la parola "questo" è così fortemente accentuata.
Reiterazione: ripetizione di uno stesso argomento con altre parole. Spesso si introduce con formule come in altre parole..., cioè..., in parole povere..., in soldoni... ecc.Ripetizione: frequentissima nel parlato può avere valore enfatico, minaccioso, ironico: vieni, vieni che ti sistemo io!  

Figure retoriche che invece si riferiscono quasi esclusivamente alla costruzione della frase e si usano per rendere il proprio discorso più ritmico e "fisicamente" più consistente, spesso per necessità poetiche o letterarie, sono:


Allitterazione
:  Fiesta ti tenta tre volte tanto 
è il vecchio slogan pubblicitario di una merendina. L'artificio retorico della allitterazione (dal latino ad + literam) consiste nel ripetere in due o più parole la stessa lettera o sillaba iniziale.

Anadiplosi:  L'anadiplosi (dalla parola greca che significa raddoppio) consiste nel ripetere all'inizio di una frase una più parole che si trovavano nella conclusione della frase precedente. Questo artificio fa parte sia della tradizione poetica in cui non di rado un verso riprende termini del verso precedente, sia della tradizione oratoria.
Anafora:  Per me si va nella città dolente, per me si va nell'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente. Questi famosi versi di Dante Alighieri, con la ripetizione dello stesso gruppo di parole all'inizio di ogni verso (per me si va...) rappresentano un esemplare caso di anafora (dalla parola greca che significa ripetizione). L'artificio è molto diffuso anche nel linguaggio oratorio moderno (vedi in MatDidMi ha scritto Berlusconi)
Anastrofe:  È il rivolgimento dell'ordine naturale di due parole, fatto per esigenze poetiche, qualche volta di rima, oppure solo per mettere in risalto uno dei due termini. Si usa soprattutto in poesia; in prosa rende lo stile del discorso estremamente arcaico (di lui più grande fu solo dio!). Viene dalla parola greca che significa appunto inversione. 
Antistrofefigura retorica usata specialmente in poesia, quando due o più versi finiscono con la stessa parola. Possiamo usarla anche in prosa per sottolineare un determinato atteggiamento: chi ha deciso sei tu, chi ha sbagliato sei tu e adesso chi deve riparare sei tu! 
Chiasmo: è la figura retorica per cui due espressioni sono contrapposte in modo tale che la seconda abbia gli elementi che la compongono disposti in posizione contraria rispetto alla prima: io solo combatterò, morirò solo io! (in queste due frasi ad esempio abbiamo 1. io + solo + un futuro verbale2. un futuro verbale + solo + io)
Circolo: concludere una frase o un periodo con la stessa parola con cui si è cominciato.
Epanadiplosi: Iniziare e terminare un verso o una frase con la stessa parola. Viene da un termine greco che significa appunto "ripetizione"
Epifora o epistrofe: Ripetizione di una o più parole che alla fine di più versi o di più parti del periodo.
Hysteron proteronin greco significa "l'ultimo (al posto del) primo". procedimento per cui l'ordine delle parole è invertito per creare una particolare tensione espressiva.
Inversione: fenomeno analogo al precedente: le parole nel periodo sono disposte in un ordine diverso da quello normale.
Iperbato: Alterazione dell'ordine naturale delle parole in una frase o delle frasi in un periodo.
Isocòlo: Nella retorica classica è un periodo costituito da membri simmetrici: stesso numero di vocaboli, stessa disposizione e stesso ritmo.
Isterologia: inversione dell'ordine delle frasi per cui diciamo prima ciò che andrebbe detto dopo.
Omoteleuto o omeoteleuto: uso di parole che, disposte nel periodo in modo simmetrico, terminano con la stessa sillaba.
Paronimia: rapporto tra paronimi, cioè fra parole che hanno un aspetto simile ma un significato diverso:sposati e spossati, per esempio. 
Paronomasia: accostamento di due parole simili con significato diverso. Questo accostamento crea un effetto stilistico rilevante: chi dice donna dice danno, traduttore traditore, amore amaro, padre padrone ecc.
 

Infine non bisogna dimenticare che la retorica è anche un ottimo strumento per chi vuole giustificare un proprio errore di grammatica o di sintassi! Bisogna infatti dire che non c'è errore che non possa - in un modo o nell'altro - trovare una giustificazione o una motivazione: basta che l'autore dica che la sua è una consapevole e motivata "scelta retorica".
Quelle che seguono ora sono figure retoriche "grammaticali" ovvero scelte che qualche volta contraddicono la cosiddetta "grammatica tradizionale" ma che sono tollerate, appunto, dall'arte retorica (attenzione, studenti stranieri! Non crediate di cavarvela a un test d'esame dicendo "Ma io non ho sbagliato il congiuntivo... ho fatto solo una scelta retorica anticonvenzionale!" Quello che è concesso a uno scrittore non sempre è concesso a voi!) 


Anacoluto:  Quelli che muoiono, bisogna pregare Iddio per loro è un'espressione tratta dai Promessi Sposi di Alessandro Manzoni che ben rappresenta un anacoluto (dalla parola greca che significa che non segue). È una costruzione sintattica che manca dei necessari nessi logici e sintattici. Un anacoluto, perciò, è considerato "errore" quando viene pescato in una composizione scritta di uno studente (italiano o straniero), in un articolo giornalistico senza pretese letterarie o nel discorso "a braccio" di qualche politico. Nello stesso tempo può essere una raffinatezza stilistica quando l'autore lo usi per ottenere un effetto poetico o anche per  riprodurre forme che si avvicinano al parlato. Un piccolo anacoluto può anche trovarsi nel titolo di un noto libro moderno: Io speriamo che me la cavo.Anfibologia:  Paolo fu grande amico di Pietro e amò appassionatamente sua moglie: la moglie di chi? Ecco un caso di anfibologia che significa appunto ambiguità. Consiste quindi in una frase che può avere due significati diversi ed è per questo un artificio retorico particolarmente adatto a enunciati umoristici o anche a slogan di carattere pubblicitario.
Asindeto: è una forma di coordinazione tra frasi  o tra vari elementi di una frase senza uso di congiunzioni: si vestì, mise in tasca il suo coltello, aprì la porta di casa, uscì.
Costruzione "ad sensum": si dice un milione di persone va o un milione di persone vanno? Be', se uno studia lingua e grammatica dovrebbe dire un milione di persone va; ma se siamo molto consapevoli di quello che stiamo dicendo o scrivendo allora possiamo permetterci una costruzione ad sensum e dire un milione di persone vanno
Dialisi: parola più nota in medicina che non in retorica. La dialisi è in medicina quel procedimento di filtraggio a cui si sottopongono le persone ammalate ai reni. In retorica è invece il procedimento per cui un discorso è interrotto da una serie di incisi. Dalla parola greca che significa "separare".
Ellissi: eliminazione di alcuni elementi della frasi che possono essere sottintesi senza che il senso sia compromesso. Parliamo per esempio di ellissi del verbo in una frase come tutto bene? dove è evidente la mancanza di un verbo come va.
Enallage: da una parola greca che significa "cambiamento", l'enallage è quella figura grammaticale che consente di usare una parte del discorso al posto di un'altra, mettendo un aggettivo al posto di un avverbio per esempio. Si trova frequentemente in frasi come parlare chiaro (invece che parlare chiaramente) o respirare profondo.
Epanalessi: Da una parola greca che significa "riprendere", l'epanalessi è la ripresa di un termine già detto che viene ripetuto certamente per sottolinearlo, ma soprattutto per la chiarezza sintattica del discorso. Con un esempio possiamo vedere che la frase ricordiamo sempre i consigli ricevuti da te quando ci siamo conosciuti, che del resto ci sono stati utili in molte occasioni pur essendo chiara acquista un'altra forza se riprendiamo il termine consigliricordiamo sempre i consigli ricevuti da te quando ci siamo conosciuti, consigli che del resto ci sono stati utili in molte occasioni. 
Pleonasmo: uso di un elemento del discorso che è non-necessario o ridondante. il pleonasmo è spesso collegato in italiano a un uso ridondante dei pronomi (a me mi piace, l'hai visto questo film?, a casa ci torno domani ecc.) anche se poi sulla non-necessarietà di questi pronomi si può discutere a lungo.
Polisindeto: è il contrario dell'asindeto, e cioè è una sequenza di frasi coordinate da una stessa congiunzione: esce e prende la macchina e parte e arriva in ufficio.
 

martedì 26 giugno 2012

Delega per il ritiro delle schede di valutazione.

PROMEMORIA



L'originale del documento di valutazione si consegna ai genitori dell'alunno, la copia, firmata per ricevuta da un genitore, va consegnata dai docenti in Segreteria unitamente ai documenti non ritirati.

I genitori che non possono partecipare alla consegna il giorno stabilito potranno ritirare i documenti a partire dal giorno successivo in Segreteria.

Se si presenta una persona diversa dal genitore o dal responsabile del diritto-dovere all’istruzione e formazione, per poter ritirare la scheda deve consegnare delega scritta, che va conservata dai docenti e consegnata in segreteria insieme alla copia della scheda.

E’ importante informare le famiglie della necessità della delega.

In assenza della delega scritta, non si può consentire la firma e il ritiro della scheda.


DELEGA RITIRO SCHEDA DI VALUTAZIONE

Il sottoscritto/a _________________________________ nato/a a _______________

Il _________________________ e residente a ________________________________

via ___________________________________________________________________

Documento di identità __________________________ n. _______________________

Genitore dell’alunno/a _______________________________ della classe __________


D E L E G A

Il/la signor ___________________________ nato/a a __________________________

Il ___________________ e residente a ___________________ via _______________

Documento di identità __________________________ n. _______________________

al ritiro della scheda di valutazione del proprio figlio per l’anno scolastico 201_/201_.

Si allegano alla presente le copie dei documenti di identità.

Data _______________ Firma ___________










venerdì 22 giugno 2012

Apprendimento cooperativo in classe Migliorare il clima emotivo e il rendimento* David W. Johnson, Roger T. Johnson


Nelle classi il clima di lavoro è spesso competitivo, con alunni che vogliono dimostrare di
essere i migliori o, al contrario, scoraggiati nel confronto con i compagni.
Il volume fornisce una guida pratica per modificare questo stato di cose mediante il
metodo dell'apprendimento cooperativo .
Vengono illustrate in dettaglio le componenti tecniche e ideali di questo approccio:
o Interdipendenza positiva
o Definizione di ruoli complementari
o Responsabilità individuale
o Interazione costruttiva
o Abilità sociali
o Valutazione individuale e di gruppo.
L'assunto del libro è che l'insegnante possa incorporare questo metodo nel consueto
lavoro in classe: contiene perciò numerose proposte di attività, sia didattiche che di
gioco, volte a favorire la coesione di di buon funzionamento di gruppi di alunni.
I fratelli David e Roger Johnson hanno fornito un contributo straordinario e originale ad
un vasto movimento di ricerca e attività scolastica indicato come Cooperative Learning ,
apprendimento cooperativo .
Gli studi di psicologia sociale furono applicati al contesto scolastico da David e Roger
Johnson e da altri ricercatori che svolsero numerose ricerche in cui si confrontavano
l'apprendimento cooperativo con quello individualistico e competitivo.
Cos'è l'apprendimento cooperativo?
Cooperare significa lavorare insieme per raggiungere obiettivi comuni.
All'interno di situazioni cooperative l'individuo singolo cerca di perseguire dei risultati che
vanno a vantaggio suo e di tutti i collaboratori. L'apprendimento cooperativo è un metodo
didattico che utilizza piccoli gruppi in cui gli studenti lavorano insieme per migliorare
reciprocamente il loro apprendimento.
Perciò si distingue sia dall'apprendimento competitivo che da quello individualistico.
L'apprendimento cooperativo può essere applicato a ogni compito, ogni materia e ogni
curricolo.
L'apprendimento cooperativo rispetto ad altri tipi di insegnamento
Il metodo di insegnamento/apprendimento cooperativo viene anche indicato come uno
dei metodi “a mediazione sociale”, contrapposto ad altri “a mediazione dell'insegnante”.
Nella modalità di insegnamento "con mediazione dell'insegnante", questi è la principale
fonte della conoscenza e del sapere, stabilisce e valuta che cosa deve essere conosciuto,
fissa il ritmo dell'apprendimento, suscita la motivazione o la recupera, facilita e
individualizza l'apprendimento.
Nella modalità «con mediazione sociale» le risorse e l'origine dell'apprendimento sono
soprattutto gli allievi. Gli studenti si aiutano reciprocamente e sono corresponsabili del
loro apprendimento, stabiliscono il ritmo del loro lavoro, si correggono e si valutano,
sviluppano e migliorano le relazioni sociali per favorire l'apprendimento. L'insegnante è
soprattutto un facilitatore e un organizzatore dell'attività di apprendimento.

cooperative learning

sabato 16 giugno 2012

Scrivete poco così non sbagliate ^____^




Scrivete poco così  non  sbagliate
Alfio Zoi citava quella maestra che diceva agli alunni:
-Scrivete poco così non sbagliate!  E ci sarebbero stati meno errori da “correggere”.

Si dovrebbe evitare di far scrivere gli alunni troppo sporadicamente e/o magari soprattutto per valutarli: in tal caso essi scrivono perché “hanno  da dire qualcosa”, e non perché “hanno qualcosa da dire”, che gli interessa esprimere e comunicare, magari aiutati dall’insegnante, anche attraverso forme opportune di correzione.
E perché non “segnare”, apprezzare ed evidenziare, ad es. con una stelletta, anche e soprattutto quello che c’è di positivo in un testo, anche se è poco?
 Lo scrivente lo faceva e gli alunni ne erano incoraggiati.
Scrivere testi dovrebbe essere  un’attività significativa, bella e interessante.

Certo, tra il dire e il fare….

Continua a leggere..

venerdì 15 giugno 2012

IL PROBLEM SOLVING: NELLA PRATICA DIDATTICA









Post precedenti sul Cooperative Learning:




Ancora su...



COOPERATIVE LEARNING


L'APPRENDIMENTO COOPERATIVO COME METODOLOGIA COMPLESSIVA DI GESTIONE DELLA CLASSE

Il Cooperative Learning costituisce una specifica metodologia di insegnamento attraverso la quale gli studenti apprendono in piccoli gruppi, aiutandosi reciprocamente e sentendosi corresponsabili del reciproco percorso. L’insegnante assume un ruolo di facilitatore ed organizzatore delle attività, strutturando “ambienti di apprendimento” in cui gli studenti, favoriti da un clima relazionale positivo, trasformano ogni attività di apprendimento in un processo di “problem solving di gruppo”, conseguendo obiettivi la cui realizzazione richiede il contributo personale di tutti.

Tali obiettivi possono essere conseguiti se all’interno dei piccoli gruppi di apprendimento gli studenti sviluppano determinate abilità e competenze sociali, intese come un insieme di “abilità interpersonali e di piccolo gruppo indispensabili per sviluppare e mantenere un livello di cooperazione qualitativamente alto”


PRESUPPOSTI TEORICI-PEDAGOGICI


Il Cooperative Learning è un metodo didattico in cui gli studenti lavorano insieme in piccoli gruppi per raggiungere obiettivi comuni, cercando di migliorare reciprocamente il loro apprendimento. Tale metodo si distingue sia dall’apprendimento competitivo che dall’apprendimento individualistico e, a differenza di questi, si presta ad essere applicato ad ogni compito, ad ogni materia, ad ogni curricolo.

Il lavoro di gruppo non è una novità nella scuola, ma la ricerca dimostra che gli studenti possono anche lavorare insieme senza trarne profitto. Può infatti accadere che essi operino insieme, ma non abbiano alcun interesse o soddisfazione nel farlo. Nei gruppi di apprendimento cooperativo, invece, gli studenti si dedicano con piacere all’attività comune, sono protagonisti di tutte le fasi del loro lavoro, dalla pianificazione alla valutazione, mentre l’insegnante è soprattutto un facilitatore e un organizzatore dell’attività di apprendimento.


Quali vantaggi presenta?

Rispetto ad un’impostazione del lavoro tradizionale, la ricerca mostra che il Cooperative Learning presenta di solito questi vantaggi:
  • Migliori risultati degli studenti: tutti gli studenti lavorano più a lungo sul compito e con risultati migliori, migliorando la motivazione intrinseca e sviluppando maggiori capacità di ragionamento e di pensiero critico;
  • Relazioni più positive tra gli studenti: gli studenti sono coscienti dell’importanza dell’apporto di ciascuno al lavoro comune e sviluppano pertanto il rispetto reciproco e lo spirito di squadra;
  • Maggiore benessere psicologico: gli studenti sviluppano un maggiore senso di autoefficacia e di autostima, sopportano meglio le difficoltà e lo stress.

Che cosa rende efficace la cooperazione ?
I cinque elementi che rendono efficace la cooperazione sono:
  • L’interdipendenza positiva, per cui gli studenti si impegnano per migliorare il rendimento di ciascun membro del gruppo, non essendo possibile il successo individuale senza il successo collettivo;
  • La responsabilità individuale e di gruppo: il gruppo è responsabile del raggiungimento dei suoi obiettivi ed ogni membro è responsabile del suo contributo;
  • L’interazione costruttiva: gli studenti devono relazionarsi in maniera diretta per lavorare, promuovendo e sostenendo gli sforzi di ciascuno e lodandosi a vicenda per i successi ottenuti;
  • L’attuazione di abilità sociali specifiche e necessarie nei rapporti interpersonali all’interno del piccolo gruppo: gli studenti si impegnano nei vari ruoli richiesti dal lavoro e nella creazione di un clima di collaborazione e fiducia reciproca. Particolare importanza rivestono le competenze di gestione dei conflitti, più in generale si parlerà di competenze sociali, che devono essere oggetto di insegnamento specifico;
  • La valutazione di gruppo: il gruppo valuta i propri risultati e il proprio modo di lavorare e si pone degli obiettivi di miglioramento.



L'efficacia della metodologia cooperativa è data inoltre dal supporto di alcuni comportamenti e valori specifici.

All'interno di questo quadro generale, le diverse interpretazioni del principio di interdipendenza e delle variabili più significative nell'apprendimento (interazione, motivazione all'apprendimento, compito e ruolo dell'insegnante) hanno originato lo sviluppo di diverse correnti o modalità di Cooperative Learning.

Attualmente i maggiori gruppi di ricerca sul Cooperative Learning sono quelli di D. Johnson e R. Johnson alla University of Minnesota di Minneapolis, quello di R. Slavin alla Johnns Hopkins University di Baltimora e quello di S. Sharan alla Tel Aviv University di Tel Aviv.

Alcuni aspetti del Cooperative Learning sono ancora oggetto di discussione e di approfondimento: la situazione dei più dotati, l'inserimento di alunni con handicap grave, le modalità in relazione a specifici obiettivi trasversali, la possibilità di sviluppare questo metodo combinandolo con altri e con l'uso delle nuove tecnologie.

E' importante che anche in Italia questa metodologia continui ad essere approfondita, studiata e sviluppata e che non diventi una nuova moda che prima crea entusiasmo e poi viene presto accantonata per una presunta inefficacia dovuta più a un'inadeguata applicazione che non al metodo in sé.


COOPERATIVE LEARNING in USA

Nelle scuole statunitensi sembra emergere la tendenza a disporre i banchi a cerchio o a ferro di cavallo, oppure divisi in tanti quadrati o triangoli per 4 - 6 alunni ognuno. Nel primo caso, l'insegnante sta al centro, nel secondo si sposta daun gruppo all'altro. In certe scuole, la disposizione dei banchi, cambia più volte al giorno a seconda degli insegnanti o delle materie. E non mancano le classi dove anziché banchi si trovano tavoli, o dove i ragazzi siedono a terra sul tappeto.

Una rivoluzione che suscita perplessità in molti genitori e apre dibattiti alla radio, tv e nei giornali. Il cambiamento è cominciato una decina di anni fa e pare che le classi con i banchi in fila siano ora una minoranza. Il merito, o la colpa, vine attribuito a un discusso metodo di insegnamento, il "Cooperative learning" (imparare collaborando) praticato in circa il 60% delle scuole americane. Sebbene non sia dimostrato, esso vuole che gli allievi studino di più e meglio se distribuiti in piccoli gruppi di 4-6 appunto.

Christine Mosteller, una professoressa di storia di Washington, caldeggia la nuova disposizione dei banchi. "Le file tradizionali - afferma - avevano un che di militaresco, erano un simbolo di disciplina, come le uniformi. Falsavano il rapporto tra i ragazzi e gli insegnanti. Con i banchi disposti in modo diverso, cresce la partecipazione degli alunni". Al contrario, Anthony Navarro, il preside del liceo Mount Harmony nel Maryland, insiste sulle file: "E' l'unico modo per l'insegnante di vedere tutti gli allievi e di tenerne avvinta l'attenzione. Il nuovo metodo è caotico, e nei compiti in classe favorisce i disonesti".

Il direttore del "Cooperative learning center", il professore Roger Johnson dell'università del Minnesota, sostiene che, "non più ostaggi delle file, i ragazzi imparano il lavoro di squadra, soprattutto se divisi in gruppi". A suo parere, "questo metodo è molto più fruttifero". Johnson ritiene addirittura che la disposizione dei banchi debba cambiare con le materie "perché ciascuna richiede un diverso ambiente". Gail Womble, la direttrice didattica delle elementari Rachel Carson in Virginia, è invece dell'avviso che sia controproducente: Si formano caste di studenti - obbietta -, i più bravi in un gruppo, i meno bravi in un altro. Molti restano indietro. E si creano ostilità tra i capi gruppo".

Ma che cosa ne pensano i ragazzi? Il Washington Post ne ha intervistati alcuni, e ha scoperto che sono spaccati in due, come gli insegnanti. Justine Hoy, della media Takoma Park, preferisce il nuovo metodo: "Ci si aiuta a vicenda, ed è importante: quando le classi sono numerose, i professori non riescono a fare tutto". Ma Paul Brown, della media Dear Park, si lamenta: "Nel nuovo metodo le distrazioni abbondano, forse ci si diverte di più ma certamente si studia di meno". Ed è il giudizio di molti genitori.

Ma non è finita. Molti medici si oppongono alla disposizione dei banchi in quadrati o in triangoli perché i 4-6 alunni sono costretti a girarsi per seguire l'insegnante o guardare la lavagna, spesso per periodi assai lunghi.

E la dottoressa Kathleen Finch della Clinica di Bethesda, la clinica dei presidenti, teme che i ragazzi prendano il torcicollo. La soluzione? "L'unica saggia alternativa alle file - dice - è il ferro di cavallo".










Insegnare a studenti con problemi attraverso metodologie differenziate di gestione della classe
I PROBLEMI SU CUI INCIDERE


"Questi ragazzi non hanno voglia di studiare"; "I ragazzi non sanno comunicare, spiegare bene le cose, esprimere in modo chiaro le loro idee ..."; "Sono molto egocentrici ed immaturi..."; "Sono poco scolarizzati, non stanno attenti, sono indisciplinati e, oggi più di ieri, si muovono in continuazione..."; "E' difficile individualizzare l'apprendimento quando ti trovi a lavorare con alunni portatori di problemi così diversi tra loro: c'é chi é isolato, chi vuole prevalere sugli altri, chi é in costante ritardo nei ritmi di apprendimento e chi si confronta con un ideale talmente perfetto che non porta mai a termine il lavoro ....."; "Vorrei trovare delle soluzioni didattiche più efficaci ma è difficile farlo da soli, così come é arduo riuscire a concordare qualche intervento con i colleghi...".

Se raccogliamo le impressioni dei ragazzi invece sentiamo dire: "Questa materia é proprio noiosa ..."; "... l'insegnante dice tante cose, ma dimentica di insegnarci a studiare ..."; "Questa scuola è troppo difficile!"; "Meglio cercarsi un lavoro ben pagato che continuare a perdere tempo solamente per avere il pezzo di carta".

Queste possono essere un campione di affermazioni e percezioni che insegnanti e studenti nutrono nei confronti della scuola e dell'apprendimento. Esse fanno riferimento a problemi di comportamento, di mantenimento della disciplina, di motivazione, di impegno responsabile verso i compiti scolastici, insoddisfazione professionale, di disagio verso la scuola.

Questi sono solo alcuni dei problemi che, ogni giorno, insegnanti ed alunni si trovano a vivere sulla loro pelle e che, se non affrontati, portano al “burn out” dei docenti e al disagio e alla dispersione scolastica degli studenti.

Fin dove possono intervenire gli insegnanti curricolari, oltre a quello che abitualmente fanno per gestire la classe, per agire con efficacia anche nei confronti di quegli alunni non "certificati" ma considerati "problematici"?

Come é possibile intervenire dando risposte individualizzate lavorando con classi composte da più di 20 studenti?

Qual é il ruolo dell'insegnante di classe in relazione a quello di insegnanti di sostegno, di consulenti esterni dell'A.S.L., di eventuali figure di psicopedagogisti o psicologi scolastici presenti nell'istituzione, di assistenti sociali o altro personale della scuola?

Fino a che punto il rapporto con le famiglie diventa un tassello essenziale della gestione di situazioni problema e chi lo deve gestire?

Quali metodologie / strategie di insegnamento possono essere utili attuare per gestire situazioni problema sempre più variegate?


IL RUOLO DELL'INSEGNANTE

Ci sembra che agli insegnanti possano essere affidate alcune funzioni fondamentali:

1. quella di istruire, cioè di aiutare gli allievi ad acquisire padronanza di abilità e di conoscenze disciplinari;

2. quella di condurre la classe, cioè di definire regole e procedure, tenendo costante l'attenzione e la partecipazione durante la lezione;

3. quella di socializzare gli studenti e mantenere un buon clima di classe.

Spesso succede che non tutti gli studenti reagiscano in maniera positiva agli interventi di istruzione, gestione della classe o socializzazione e che sia necessario un lavoro suppletivo, che richiede ulteriori abilità.

Per rispondere agli interrogativi sovraesposti, infatti, sono necessarie la capacità di analizzare la situazione, di decodificare le diagnosi dei diversi specialisti, di condurre interviste finalizzate a raccogliere le informazioni utili alla costruzione di un piano di intervento.

Ma prima ancora é indispensabile l'apertura ad accorgersi che c'é un problema e che su questo problema é possibile intervenire efficacemente anche se risulta difficile; é vitale pensare che sia effettivamente possibile risolvere il problema e che il primo passo per fare ciò consista nell'affrontarlo, superando l'ansia, l'impotenza, l'inadeguatezza o la rabbia, che coglie chiunque di fronte ad una situazione nuova, complessa e stressante.

Daniela Pavan, Piergiuseppe Ellerani

giovedì 14 giugno 2012

Il metodo Jigsaw


Il metodo Jigsaw
Appunti di Anna Carletti

Il modello del Jigsaw, letteralmente puzzle o gioco di costruzioni, è stato sviluppato da Aronsons e dai suoi studenti dell’Università del Texas e dell’Università di California negli anni settanta. La sua nascita è dovuta ad un momento di crisi dell’istituzione scolastica in seguito alla riforma che aveva operato una ristrutturazione del sistema formativo, anche attraverso il brusco abbandono di scuole razzialmente distinte. Si trattava di trovare una modalità per facilitare l’integrazione di studenti ispanici e africani con i compagni anglofoni, riducendo l’alto livello di incomprensione e conflittualità esploso nelle scuole. Il metodo è stato successivamente sviluppato da Slavin che ha maggiormente centrato il lavoro sullo sviluppo di concetti piuttosto che sulle abilità e l’integrazione.
Il Jigsaw si caratterizza per l’enfasi posta sulla strutturazione dell’interazione tra gruppi eterogenei formati da 3 a 6 studenti, in cui ad ogni studente viene assegnata una parte del compito sulla quale si può preparare e confrontare in un gruppo parallelo. Come in un puzzle il lavoro svolto da ciascuno è essenziale per la piena comprensione e il completamento del prodotto finale.



Ad esempio tutti gli studenti leggono un brano da studiare. Ogni studente, nel gruppo di quattro/cinque membri, riceve un foglio di informazioni aggiuntive sul medesimo argomento. Dopo aver letto le informazioni, gli studenti  si incontrano in un 'gruppo di esperti' temporaneo, composto da tutti quelli che hanno studiato lo stesso argomento, lo discutono e ne preparano insieme l’esposizione. Quando ogni relatore ha raggiunto una certa scioltezza e fluidità nell’esporre ritorna nel rispettivo gruppo originale ed insegna agli altri compagni tutto quello che sa su quell'argomento.
A conclusione del lavoro, viene dato un quiz individuale comprensivo di tutti gli argomenti affrontati. L'insegnante informa ciascun gruppo dei miglioramenti ottenuti e dei punteggi del quiz.
Si tratta di una situazione di apprendimento fortemente strutturata e interdipendente, infatti  il solo accesso che ogni membro del gruppo ha rispetto al materiale completo dipende dall’ascolto attento,  la relazione nel gruppo di “esperti”incoraggia il coinvolgimento e l’empatia  e costituisce di per sé uno scaffolding per le abilità di studio e di esposizione. In questo gruppo l’alunno si espone e si esercita fino a quando non è abbastanza sicuro da poter effettivamente contribuire al lavoro del gruppo originale. Ciascuno svolge effettivamente una parte essenziale nell’attività di apprendimento.

Il Jigsaw in 10 mosse:
  1. dividere gli studenti in gruppi eterogenei di 3/6 membri ciascuno.
  2. Dividere la lezione in tanti segmenti quanti sono i componenti dei gruppi.
  3. Nominare uno studente per gruppo come responsabile.
  4. Assegnare ad ogni alunno una segmento, assicurandosi che ogni studente abbia accesso solo alle sue informazioni.
  5. Dare il tempo agli studenti di leggere almeno due volte la loro porzione di studio per impadronirsi della struttura del testo e dei principali concetti, senza il bisogno di memorizzarla.
  6. Stabilire il tempo di lavoro per discutere dei punti essenziali del loro pezzo e per ripetere la presentazione che faranno al gruppo.
  7. Far rientrare gli esperti nel loro gruppo di origine.
  8. Ciascuno presenta la propria parte nel gruppo e gli altri pongono domande di chiarificazione.
  9. Il docente gira tra i gruppi osservando i processi. Se sorgono dei problemi (per es. qualche membro domina sugli altri) interviene in modo appropriato. Può essere anche opportuno lasciare che il "responsabile" di gruppo si occupi di risolvere il problema. I responsabili possono essere aiutati a gestire sussurrando un suggerimento su come intervenire finche non padroneggiano da soli la situazione.
  10. Alla fine della sessione di lavoro fornire a ciascuno una breve verifica individuale (qualche domanda, un test vero/falso, un testo a completamento…), in modo da permettere agli alunni di capire che la sessione non è stata un gioco ma conta realmente per l’apprendimento.


Apprendimento cooperativo

Proseguendo il discorso iniziato nel post del 9 Aprile 2012 si ribadisce il concetto che l'apprendimento cooperativo non significa genericamente «lavorare in gruppo»: non basta infatti organizzare la classe in gruppi perchè si realizzino le condizioni per un’ efficace collaborazione e per un buon apprendimento. 

Qualsiasi insegnante che si sia cimentato qualche volta in questa pratica lo sa senza bisogno di ulteriori spiegazioni.

Con cooperative Learning si fa riferimento ad un insieme di principi, tecniche e metodi di conduzione della classe, in base ai quali gli studenti affrontano l’apprendimento delle discipline curricolari (o altro) lavorando in piccoli gruppi in modo interattivo, responsabile, collaborativo, solidale e ricevendo valutazioni sulla base dei risultati ottenuti.

L’idea di lavorare insieme non è certo nuova nella storia dell’umanità, ma mai come in questo periodo l’arte della collaborazione appare indispensabile e difficile. 
Indispensabile, se si considera l’accelerazione spaventosa in cui in questi ultimi decenni è cresciuto il numero di informazioni tecniche e scientifiche a fronte di una progressiva parcellizzazione e settorializzazione delle conoscenze individuali, il che obbliga a mettere in comune competenze, conoscenze, risorse, in progetti di ricerca e intervento condivisi.

Il tempo trascorso a scuola potrebbe rappresentare una delle poche opportunità per sperimentare rapporti di tipo collaborativo, per apprendere la flessibilità, l’abitudine a considerare altri punti di vista, la capacità di dare e chiedere aiuto, sostenere e sentirsi sostenuti: esperienze indispensabili per la salute e il benessere individuale e per l’acquisizione delle competenze sociali richieste in qualsiasi ambito lavorativo futuro. 

Di qui l’estrema attualità dell’apprendimento cooperativo in classe e della formazione di insegnanti che sappiano organizzare e condurre esperienze in tal senso con i loro alunni.



Approcci diversi e caratteristiche comuni 

Numerose sono le prospettive teoriche, le indagini, le sperimentazioni che stanno alla base delle procedure di Cooperative Learning. Volendo limitare l’esplorazione al secolo scorso, possiamo rintracciare nel pensiero di J. Dewey, nelle iniziative di F. Parker, negli studi di K. Lewin di R. Lippit e M. Deutsch e per certi aspetti di Allport (teoria del contatto) e Rogers (pearson centered learning) le radici di questo orientamento. 

Nel panorama odierno si possono distinguere modelli diversi di Cooperative Learning (il «learning together» dei Johnson, il «group investigation» della Sharan, lo «student team learning» di Slavin, lo «structural approach» di Kagan, la «complex instruction» della Cohen…), con aspetti peculiari che li differenziano gli uni dagli altri, ma con un insieme di caratteristiche condivise e fondamentali che ne designano senza alcun dubbio l’appartenenza alla composita famiglia del Cooperative Learning. Quali sono dunque queste caratteristiche? Ci facciamo guidare nella ricerca da M. Comoglio (1996) e da Y Sharan (1998)  che approdano sostanzialmente al medesimo elenco, con poche differenze: 
  • interdipendenza positiva nel gruppo 
  • responsabilità personale (Sharan) 
  • interazione promozionale faccia a faccia 
  • importanza delle competenze sociali 
  • controllo o revisione (riflessione) del lavoro svolto insieme 
  • valutazione individuale e di gruppo 
  • piccoli gruppi eterogenei. 
Interdipendenza positiva 
Significa percepire che si è legati gli uni agli altri in modo da condividere la sorte: ci si salva o si perisce insieme; non c’è successo individuale se il gruppo fallisce, come in una squadra che perde sono poco significative le prodezze individuali di un cannoniere; d’altra parte il successo di un alunno non esclude quello degli altri, come succede in genere nelle classi competitive, anzi contribuisce a migliorare il livello del gruppo. Cresce la motivazione a preoccuparsi della qualità dell’apprendimento di ogni compagno nel gruppo e la condivisione della soddisfazione per il successo di ognuno. 
Il sentimento di interdipendenza può essere alimentato agendo su diverse strutture: 

  • gli obiettivi (interdipendenza di obiettivi): vengono dati obiettivi comuni a tutto il gruppo; 
  • i compiti (interdipendenza di compito): si assegnano al gruppo compiti che nessun membro è in grado di eseguire da solo; 
  • i ruoli (interdipendenza di ruolo): si distribuiscono fra i membri i ruoli necessari ad un buon andamento del gruppo;
  • le risorse (interdipendenza di risorse): i materiali e gli strumenti di lavoro vengono forniti non individualmente ma al gruppo che ne organizza l’utilizzo;
  • la valutazione (interdipendenza di ricompensa): risulta molto forte quando il successo di ognuno dipende da quello di ogni altro membro del gruppo e quando la valutazione individuale risente sia della prestazione personale sia della valutazione che viene attribuita alla prestazione del gruppo; l’interdipendenza, invece, è molto più debole quando la valutazione assegnata al gruppo si limita alla media dei punteggi conseguiti da ogni singolo membro-.
Responsabilità personale
É necessario che l’insegnante organizzi l’attività e la valutazione seguente in modo da non lasciare spazio a chi «viaggia a rimorchio» pago di un generico voto di gruppo, o a chi tende a sovraccaricarsi di lavoro, in virtù anche delle sue maggiori competenze. É indispensabile quindi alimentare il senso di appartenenza e di interdipendenza positiva fra i membri del gruppo. 

Interazione promozionale faccia a faccia 
Questa può essere definita approssimativamente come «il clima generale di incoraggiamento e di collaborazione che si respira dentro il gruppo di lavoro, cioè la misura non solo reale, ma pure oggettivamente avvertita della fiducia e della disponibilità di ogni membro nei confronti degli altri» (M. Comoglio, 1999, pag52)

Vi concorrono fattori quali: il rispetto reciproco, l’aiuto e l’assistenza fra i membri, lo scambio di informazioni, materiali, feed-back per migliorare le prestazioni successive, le discussioni per giungere ad una migliore comprensione dei contenuti e/o dei problemi, l’impegno nello sforzo di raggiungere gli scopi 
comuni. (Johnson e Johnson 1996).
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Importanza delle competenze sociali
Tutti gli autori dei vari modelli di Cooperative Learning citati all’inizio di questo paragrafo concordano nel considerare determinanti le competenze sociali ai fini di un buon apprendimento e di una soddisfacente relazione all’interno del gruppo e quasi tutti – ad eccezione di Slavin - attribuiscono all’insegnante, pur con sfumature e accentuazioni diverse, il compito di insegnare esplicitamente tali competenze agli alunni.
Ma cosa dobbiamo intendere per competenze sociali?


Fra le diverse categorizzazioni riscontrabili in letteratura sull’argomento, proponiamo la tabella di Goldstein et Al. (1985, p 291), per la sua declinazione in abilità e comportamenti. 
Suggerimenti interessanti a questo riguardo ci vengono anche da Comoglio (1999 pp 67 –68) e dai Johnson, nell’opera citata; questi ultimi sono gli autori che certamente attribuiscono la maggior attenzione e importanza all’insegnamento diretto, da parte dell’insegnante, delle competenze sociali necessarie per la formazione e il funzionamento dei gruppi e per la realizzazione, al loro interno, di un apprendimento efficace; tali competenze includono pertanto, come è riscontrabile in parte anche nella tabella di Goldstein, l’uso di strategie metacognitive per migliorare la consapevolezza e il controllo delle conoscenze e dei processi per acquisirle. 


Controllo o revisione
Gli studenti devono abituarsi, con la guida dell’insegnante, a tenere sotto controllo l’ attività del gruppo in relazione alle competenze sociali che si vogliono esercitare, allo sviluppo dell’interdipendenza positiva, alla realizzazione degli obiettivi conoscitivi e cognitivi legati al lavoro ecc. Si esamina inoltre il processo di apprendimento, ricavando informazioni utili dall’esperienza effettuata e facendo ipotesi su come ventualmente migliorarla in seguito. 
Questa riflessione – revisione che può esser condotta in itinere e/o alla fine di ogni attività si è dimostrata una variabile importante nel miglioramento dei risultati. 

Valutazione individuale e di gruppo
Questo tema meriterebbe da solo un’ampia trattazione, a cui dobbiamo purtroppo rinunciare per ragioni di spazio; rinviamo all’accenno fatto precedentemente a proposito dell’interdipendenza di ricompensa e suggeriamo di ricercare, nelle opere dei principali autori che indichiamo alla fine dell’articolo, le differenze che caratterizzano al riguardo i vari modelli di Cooperative Learning. 

Gruppi piccoli e preferibilmente eterogenei 
La scelta a favore dell’eterogeneità del gruppo accomuna sostanzialmente gli autori di tutti i modelli citati. I Johnson e Kagan sostengono che le differenze di provenienza, cultura, sesso e competenze all’interno dei gruppi favoriscono attività di elaborazione, ragionamento, memorizzazione a lungo termine dei contenuti, producono maggiori opportunità di peer tutoring e di sostegno e migliorano le relazioni interrazziali, rendendo la classe più gestibile.
 La Sharan e la Cohen strutturano il loro modello intorno alla proposta di compiti complessi , quali una «ricerca» ( Sharan) o «temi», «compiti aperti» che prevedano una molteplicità di abilità (Cohen) proprio per garantire a tutti l’opportunità di mettere in gioco le diverse risorse che possiedono e contribuire al lavoro del gruppo. Ciononostante a volte può essere consigliabile formare gruppi più omogenei a causa dei limiti operativi che quelli eterogenei in certe condizioni possono presentare: dipendenza dal compagno più competente, scarse stimolazioni per gli alunni più esperti, difficoltà a superare differenze o stereotipie molto accentuate ecc. 
Per quanto riguarda il numero dei componenti, esso può variare da 2 a 4/5, senza superare questa cifra e tenendo presente che con l’aumentare del numero aumentano sicuramente le stimolazioni, le opportunità , ma sono necessari anche tempi più lunghi e maggiori competenze comunicative e gestionali da parte degli alunni. 


Cooperative Learning e metodo Feuerstein: possibili sinergie? 
Come si può immaginare, la conduzione della classe secondo le modalità del C.L., anche se per tempi limitati e parziali, colloca l’insegnante in un ruolo e postula competenze e comportamenti profondamente diversi da quelli che caratterizzano la lezione frontale. 
Competenze e comportamenti che non si improvvisano. 

Va da sé che un confronto continuo può avere senso e valore euristico a condizione che si parta da 
un’approfondita e sperimentata conoscenza dei metodi in questione nella loro originalità , per evitare dannose approssimazioni e inutili sincretismi.

Riferimenti bibliografici 

M.Comoglio, Verso una definizione del Cooperative Learning in «Animazione Sociale» n. 4/1996

M. Comoglio, Il Cooperative Learning. Strategie di sperimentazione, Quaderni di Animazione e Formazione, Animazione Sociale, Edizioni Gruppo Abele, Torino 1999 

D.W. Johnson e R.T. Johnson, Apprendimento Cooperativo in classe. Migliorare il clima emotivo e il rendimento, Erickson, Trento 1996 

Goldstein A.P. et al Structured Learning in L’AbateL., MilanM.A. (a cura di) Handbook of social skills training and research, New York, John Wiley e Sons, 1985 

Y.Sharan e S Sharan, Gli alunni fanno ricerca, Erickson, Trento 1998 

E.G. Cohen, Organizzare i gruppi cooperativi, Erickson, Trento 

M.Becciu, A.R. Colasanti, La promozione delle abilità sociali, Edizioni AIPRE, Roma