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lunedì 2 gennaio 2012

Le minoranze linguistiche in Italia nella prospettiva dell’educazione plurilingue


La salvaguardia delle lingue regionali o minoritarie è da molto tempo una delle preoccupazioni del Consiglio d’Europa e trova il suo fondamento nell’articolo 14 della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo fino dal 1950.
Le differenze e le diversità culturali e linguistiche rappresentano una ricchezza e in quanto tali vanno preservate e promosse per contrastare il rischio di globalizzazione e perdita di identità e per apprezzare ancora di più l’ideale di integrazione in un’Europa che va sempre più allargandosi.
Si devono una serie di misure per agevolare l’uso delle lingue regionali o di minoranza nella vita pubblica e, considerando che per restare vive le lingue devono essere usate, tali misure coprono i campi dell’insegnamento, della giustizia, delle autorità amministrative e dei servizi pubblici, dei media, delle attività e delle strutture culturali, della vita economica e sociale.
La lingua materna in cui siamo nati e abbiamo imparato a orientarci nel mondo, non è un guanto, uno strumento usa e getta. Essa innerva dalle prime ore di vita (oggi sappiamo) la nostra vita psicologica, i nostri ricordi, associazioni, schemi mentali. Essa apre le vie al consentire con gli altri e le altre che la parlano ed è dunque la trama della nostra vita sociale e di relazione, la trama, invisibile e forte, dell’identità di gruppo.
È ben legittimo considerare su piani diversi lingue che ci si presentano senza tradizione scritta e parlate da poche migliaia di parlanti e lingue che permeano di sé, spesso da secoli, la vita e la memoria storica di milioni di persone. Consideriamo un secondo criterio: il dato della scrittura. Come si sa, sono circa seimilaottocento le lingue oggi vive nel mondo. Di queste, fino a trent’anni fa, solo 750 circa avevano una tradizione. Sono diventate 2400. Si tratta in gran parte dei casi di traduzioni del Vangelo e dell’Antico
Testamento promosse dalle confessioni cristiane, specie dalla Chiesa cattolica. Il dato è interessante da almeno due punti di vista: quasi due terzi delle lingue sono ancorate solo alla trasmissione parlata, e già perciò a rischio di essere travolte dal divenire storico e sociale. D’altra parte in trent’anni è cresciuto a dismisura, si è più che triplicato il numero di lingue per le quali si è sentito il bisogno di rafforzarne l’identità ancorandole alla scrittura. Emerge così un primo aspetto delle dinamiche in atto: da un lato rischio di scomparsa nel mondo globalizzato, dall’altro volontà di rafforzamento identitario.


La diversità linguistica e culturale in Italia


A) ARBËRESH/ALBANESI: attualmente sono presenti in 7 Regioni: Abruzzo, Molise, Campania,
Calabria, Basilicata, Puglia e Sicilia.
B) CATALANI: Alghero
C) CROATI: oggi circa tremila persone vivono nei comuni di Acquaviva Collecroce, Montemitro e San Felice del Molise e parlano ancora l’antica lingua madre.
D) ELLENOFONI: In Calabria ed in Puglia esistono delle comunità greche (in quest’ultima Regione viene identificata come grika).
E) FRANCOFONI, FRANCO-PROVENZALI ED OCCITANI: nella Valle d’Aosta e in diverse vallate piemontesi in provincia di Torino, tutte contigue al territorio vallesano (Svizzera) e savoiardo (Francia), vivono i franco-provenzali che parlano il patois.
F) FRIULANI: friulano dalla popolazione dell gruppo  celtico, i Carni
G) GERMANOFONI: CARINZIANI, CIMBRI, MOCHENI, TEDESCHI E WALSER in Friuli-Venezia Giulia, in provincia di Udine, nelle piccole isole linguistiche di Sauris e Timau; al confine con l’Austria e la Slovenia nella Val Canal: in Veneto, nel comune di Sappada (Belluno),
CARINZIANI: in Friuli-Venezia Giulia, in provincia di Udine, nelle piccole isole linguistiche di Sauris e Timau; al confine con l’Austria e la Slovenia nella Val Canal: in Veneto, nel comune di Sappada (Belluno),
CIMBRI: Attualmente sono presenti in Trentino, nei paesi di Folgaria, Lavarone e Luserna, nei cosiddetti Sette Comuni dell’altopiano di Asiago e in 13 Comuni della Lessinia, in provincia di Verona,
MOCHENI: piccola comunità tedescofona
insediatasi nella valle del torrente Fèrsina (Trentino-Alto Adige), affluente di destra dell’Adige, detta anche valle dei Mòcheni, per l’idioma particolare dei suoi abitanti.,
TEDESCHI: Il Trentino-Alto Adige/Sud Tirol,
WALSER: La minoranza è presente in alcuni comuni della Valle d’Aosta ed in Piemonte, nelle province di Verbania e Vercelli,
H) LADINI: I ladini delle Dolomiti, che formano il gruppo centrale dei locatori nelle Alpi; i ladini svizzeri (i romanci), i Grigioni ed i ladini friulani del Friuli. In Italia i ladinofoni vivono nelle regioni Trentino-Alto Adige e Veneto, nelle province di Trento, Bolzano e Belluno,
I) SARDI: Una storia a sé ha la Sardegna che parla una lingua di origine neolatina. L’isolamento non solo geografico ed il sentimento di individualità e di autonomia hanno suscitato un vivace movimento di opinione teso a riconoscere alle parlate sarde lo status di lingua di minoranza da tutelare,
L) SLOVENI: Lo sloveno in Italia è parlato in 36 comuni del Friuli-Venezia Giulia, nella Val Canale, nella Valle di Resia, nelle valli del Natisone in provincia di Udine, a Gorizia, in varie località in provincia di Trieste.


CONCLUSIONI

Se pensiamo che il pluralismo linguistico e culturale, che è una caratteristica strutturale di pressoché tutte le società umane, debba essere mantenuto e sviluppato e che vada combattuta la tendenza alla semplificazione e all’omologazione per il tramite di un’educazione plurilingue e interculturale, è verso le giovani generazioni che ogni nostro sforzo va indirizzato: di genitori, di intellettuali, di insegnanti, di responsabili istituzionali, di cittadini.
Un plurilinguismo deve essere concepito non soltanto per fini pratici, utilitaristici e pragmatici, ma nella prospettiva di permettere a umani sempre più consistenti la possibilità di capire e di usare una pluralità di lingue per il proprio arricchimento culturale e per una crescita intellettuale e sociale. In questa prospettiva, la realtà e la potenzialità presenti in molte famiglie, nei tanti borghi, nei tanti paesi e in tutte le regioni di questa Italia delle Italie sono un campo ideale e produttivo per avviare in maniera corretta ed effettiva il processo di educazione in diverse lingue. Ed è questa la prospettiva che pone le lingue meno diffuse oltre le nozioni di tutela, di salvaguardia e di valorizzazione di un patrimonio prezioso, ma le mette al centro di un processo formativo di conoscenze e di competenze che investono tutti i cittadini e soprattutto i cittadini di domani.
(…) occorre, ha scritto De Mauro (1987), che la politica culturale possa e sappia partire dalle realtà e potenzialità ambientali, sappia far leva sulle concrete, reali, divergenti esigenze vitali esistenti negli individui nel territorio, nelle società regionali e locali, non per irrigidire tali realtà e potenzialità, ma per metterle a contatto e confronto, aprendole dunque alla possibilità di nuove acquisizioni, di più complesse articolazioni.

fonte: ANNALI DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE

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