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mercoledì 31 ottobre 2012

Scrivere poesie


Consigli e guide su come scrivere poesie

Come scrivere poesie? C'è un metodo migliore? Ci sono regole particolari da rispettare? Prima di tutto, bisogna tenere a mente che il vero poeta lo è prima di tutto nell'animo. Se non si è sensibili e umili, è meglio non provarci neppure. Fatta questa doverosa premessa, eccovi alcune piccole guide utili per affinare il vostro stile e scrivere poesie conoscendo le nozioni fondamentali. Non prendetele come ricetta per inventarsi poeti e diventare famosi, prendetele invece come informazioni tecniche per capire cosa iniziare a studiare e come diventare ancora più bravi.


Le basi della poesia
Le seguenti indicazioni probabilmente risulteranno ovvie e scontate a molte persone. Tuttavia, le scriviamo ugualmente perchè non sono poche le persone che ignorano i principi fondamentali della poesia.


Scrivere in versi: Il verso è l'unità metrica fondamentale della poesia. Detto in maniera "rozza": ogni tanto bisogna andare a capo, altrimenti non si scrive poesia ma prosa! Tuttavia, non si può andare a capo a caso, perchè è necessario suddividere i versi con cognizione di causa, in base al proprio stile e alla metrica adottata.
-Metrica: rappresenta l'insieme di regole da seguire per scrivere una poesia. La metrica può variare, assumendo anche uno stile personale: in quel caso si parla di metrica libera. Ad sempio, se si scrive un sonetto è indispensabile suddividere l'opera in un certo numero di terzine e quartine.
Linguaggio: questo è un aspetto che molti ignorano. Scrivere poesie non vuol dire comporre opere parlando con il linguaggio comune. Una delle differenze sostanziali tra poesia e prosa è la presenza di un modo di "parlare" differente, ad esempio con l'uso di figure retoriche o rime. Come già detto, non basta andare a capo ogni tanto per definire come poesia i propri scritti.
-Grammatica: in riferimento al punto precedente, non bisogna mai eccedere in quella che viene definita comunemente come "licenza poetica". Ricordate che le regole della grammatica italiana valgono anche per la poesia. Dunque, evitate di stravolgere parole e verbi illudendovi di aver dato vita a un modo sublime di scrivere.
-Punteggiatura: L'uso della punteggiatura è essenziale. Basta spostare una virgola o togliere un punto per stravolgere completamente il ritmo e l'efficacia di un verso. La punteggiatura è un'arma molto potente per comunicare bene, ma può essere anche letale se inserita male: usatela con saggezza.
-Ispirazione: scrivete solo se vi sentite ispirati e cercate una situazione o luogo che vi ispira davvero. Ricordate che la poesia è umiltà e sensibilità. Evitate di scrivere poesie direttamente al computer nel tentativo di "risparmiare tempo": i veri poeti scrivono in maniera tradizionale, vivendo ogni parola impressa sulla carta!


Tipi di poesia e poetica


La poesia è un genere letterario composto da moltissime sottocategorie: poema, sonetto, ballata, ecc... Ci sono davvero tante varianti e sfaccettature, tutte da scoprire e da apprezzare. Per un elenco completo vi invitiamo a visitare questa pagina di Wikipedia: poesia

Quando si scrive poesia, bisognerebbe trovare un proprio stile e una propria dimensione ideale. Cosa significa?
È semplice. Ogni persona ha dei temi o argomenti che gli stanno più a cuore e dunque è su quelli che potrebbe scrivere. Inoltre, bisognerebbe chiedersi se si vuole scrivere poesie ad esempio per sfogare i propri sentimenti o per uno scopo "sociale", ovvero per parlare dei problemi del mondo e della società.

Naturalmente, si può benissimo scrivere poesie alternando i temi e i soggetti di volta in volta, ma capire cosa ci può dare la poesia e cosa ci permette di esprimere meglio è fondamentale.

Il tipo di poesia che prediligeremo scrivere sarà quindi dettato da:
-Argomenti e valori che ci stanno a cuore
-Esperienze di vita che ci hanno segnato, in bene o in male
-Significato della parola scritta per noi
-Aspetti del nostro carattere che vogliamo portare fuori e a conoscenza del mondo
-Tutto ciò che per noi è importante esternare e comunicare

Prima di imparare la tecnica, quindi, riflettiamo su questi aspetti e su chi siamo. Queste cose influenzeranno poi il nostro stile e il modo di comporre versi. Tutto il resto lo impareremo strada facendo.


Quando scriviamo poesie, se siamo alle prime armi, di solito tendiamo a scrivere di getto e a commettere errori senza neppure rendercene conto. Vediamo insieme alcuni di questi "sbagli di gioventù".

Abusare della punteggiatura

Non è un errore "poetico", ma uno sbaglio che non va mai fatto in nessun caso, neppure se si sta scrivendo una lettera o un romanzo. In particolare, i punti esclamativi e interrogativi vanno inseriti una sola volta.

Esempio sbagliato
Esempio giusto
Dove sei ????
Dove sei?
Ciao!!!!
Ciao!


L'unica eccezione è rappresentata dai puntini di sospensione. In quel caso, si inseriscono tre punti di seguito.



Usare il linguaggio Sms

Abbreviazioni come "Cmq" , "qnd", "xchè" o "TVB" sono da evitare come la peste. Se volete essere poeti, dovete imparare a scrivere correttamente in italiano.


Usare l'apostrofo al posto dell'accento

Può sembrare banale, ma bisogna capire che l'apostrofo e l'accento sono due cose diverse. Seguendo una prassi consolidata, molte persone usano l'apostrofo al posto delle lettere accentate (esempio: sara' al posto di sarà). La cosa può essere tollerabile quando si scrive su un blog o su un sito, ma mai quando si propone un testo a un editore o quando si sta scrivendo un documento importante.



Voler spiegare tutto

Le persone insicure a volte tendono ad assicurarsi continuamente che gli altri abbiano capito cosa volevano comunicare. La stessa cosa avviene con la poesia, quando ci si domanda: "Ma questo verso è abbastanza chiaro nel significato?". Così facendo si finisce per modificare la poesia per renderla più "comunicativa".

Questo è spesso uno sbaglio, perchè dobbiamo prima capire che un po' di "mistero" rende tutto più interessante. Specificare troppo alcuni concetti porta ad allungare i versi e a renderli banali e poco scorrevoli. Così come una poesia troppo criptica rischia di diventare incomprensibile, allo stesso modo un'altra troppo semplice e "raccontata" diventa inesorabilmente pesante e prosastica.

Meglio spiegare poco e dare ai versi un'impronta stilistica con figure retoriche, musicalità e, soprattutto, parole in grado di stuzzicare emozioni e immagini. Ricordate sempre che il lettore vuole prima di tutto sognare ed elaborare le immagini e non farsele raccontare.



Scrivere solo poesie d'amore

L'animo e il cervello umano sono in grado di ricevere e vivere tanti tipi di emozioni. E allora perchè scrivere banalmente soltanto poesie d'amore? Il poeta vede e sente tante cose che le persone con poca sensibilità non percepiscono. L'amore invece viene provato da tutti nel corso della vita. Quindi, da veri poeti, perchè non esternare e mettere su carta tante emozioni ed esperienze diverse? Non si crescerà mai dal punto di vista letterario se ci si ostina a scrivere sempre e solo di un preciso argomento. Soprattutto, si rischia di diventare monotoni.



Scrivere per pubblicare

Questo è l'errore peggiore che si può commettere. I poeti non scrivono per diventare famosi e pubblicare libri!
Pubblicare è un qualcosa in più, ma non può e non deve diventare lo scopo della scrittura, in nessun caso! Si scrive per esprimere se stessi, per esternare emozioni, per scuotere le masse, per condividere un dolore o per molti altri motivi, ma mai per pubblicare.

Se poi si sente questo desiderio, non c'è nulla di sbagliato nel provarci, anzi! Ma ostinarsi nello scrivere per farsi notare e pubblicare un libro porta inesorabilmente a non migliorarsi mai e a perdere di vista tutto ciò che di bello la poesia e la scrittura in generale possono offrirci. Ci vuole umiltà per essere poeti.

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domenica 28 ottobre 2012

Lavarsi i denti anche a scuola.



La proposta è arrivata dai genitori del tempo pieno: curare l'igiene dentale dopo la mensa scolastica.

Naturalmente la proposta è stata favorevolmente accolta.
E' bello e giusto praticare l’igiene dentale e insegnarla ai bambini, ma tale pratica è rimessa alla piena discrezionalità, secondo le ASL, delle scuole che devono vigilare affinché tale procedura avvenga in modo igienicamente corretto. 
La discrezionalità delle scuole mi lascia perplessa e anche il modo igienicamente corretto.
Questo significa che l'igiene orale è facoltativa?


A parte il "buco" normativo, noi  inizieremo la prossima settimana in via sperimentale.


L'importanza dei programmi scolastici


Uno studio condotto negli Stati Uniti ha mostrato che più di 50 milioni di ore di scuola ogni anno vengono perse a causa di problemi dentali (Gift et al., American Journal of Public Health 1992; 82: 1663-1668). Tuttavia, quasi tutti i problemi di salute orale sono generalmente prevenibili. Trasmettere (il più presto possibile) l'abitudine di lavare i denti mattina e sera darà ai bambini la possibilità di avere denti e gengive più sani.

Spesso, se la responsabilità è solo nelle mani delle famiglie, molti bambini vanno a scuola al mattino e a letto la sera senza essersi lavati i denti.

Gli insegnanti ricoprono quindi un ruolo cruciale

La ricerca ha dimostrato che un programma di formazione e supervisione che insegni a lavarsi i denti a scuola può essere efficace nel ridurre i problemi a lungo termine. Con materiali semplici e giocosi, gli insegnanti possono educare i propri studenti spiegando i motivi per cui lavarsi i denti è così importante.

Trasmettendo i valori di salute e igiene, in generale, le scuole possono aiutare ad insegnare ai bambini cosa sono i denti e perché hanno bisogno di essere protetti da un lavaggio mattina e sera.



Tre fogli di lavoro per bambini, per ripetere il messaggio almeno tre volte l'anno:
Foglio di lavoro per bambini 1
Foglio di lavoro per bambini 2
Foglio di lavoro per bambini 3


Slides/diapositive per la classe

Alcune slide e diapositive da usare in classe per chiarificare i messaggi principali:
Diapositive PowerPoint




SERRAMANNA



Serramanna è un comune di 9.328 abitanti, in seguito all’istituzione delle nuove province nel 2005 è entrato a far parte della Provincia del Medio Campidano lasciando la Provincia di Cagliari.

Geografia

Serramanna è situata nella zona centroccidentale della pianura del Campidano all’affluenza tra il fiume Flumini Mannu e il Rio Leni. Il paese confina a nord col comune di Samassi e col comune di Sanluri, a sud col comune di Villasor, a ovest troviamo il comune di Villacidro con i suoi monti mentre a nord-est troviamo il comune di Serrenti e a est quello di Nuraminis.

Stemma e gonfalone

Lo stemma è stato disegnato dall’artista serramannese Flaviano Ortu dopo un lavoro di ricerca dello storico Stefano Pira.

Presenta sulla sinistra il campanile della chiesa di San Leonardo, di particolare interesse in quanto a canna ottagonale anziché quadrata come in tutto il Campidano e in tutto il territorio della Sardegna meridionale; sulla parte destra in alto, lo stemma araldico di Aldonsa de Besora (fondo nero con tre pali d’argento) che con le franchigie del 1455 concesse numerosi privilegi ai serramannesi; sulla parte destra in basso lo stemma del I° Conte di Serramanna, Antonio Brondo de Ruecas (lo stemma dei Brondo ha come simbolo araldico un albero affiancato da due teste di moro con benda sulla fronte; per motivi tecnici sorti in sede di approvazione da parte del Presidente della Repubblica appaiono solamente le teste di moro).

Storia

Periodo prenuragico

I primi insediamenti nel territorio, documentati soprattutto grazie alla scoperta del villaggio di Cuccuru Ambudu (Coordinate Gauss-Boaga fuso Ovest: E=1495032 N=4367798), risalgono ad un periodo individuabile tra l’epoca della Cultura di Ozieri e della Cultura di Monte Claro. Di notevole importanza storica è il menhir Perda Fitta, un masso in granito rappresentante la Dea Madre (h. m. 1,45; appena sbozzato con 10 coppole realizzate in rilievo negativo a rappresentare le mammelle), rinvenuto nella zona omonima (Coordinate Gauss-Boaga fuso Ovest: E=1488531 N=4364920).

Periodo nuragico

Il ritrovamento più significativo risalente all’età nuragica è il nuraghe rinvenuto durante gli scavi per la ristrutturazione della sagrestia della Chiesa campestre di Santa Maria. Di minore interesse i nuraghi individuati nelle zone di Santa Luxeria (Coordinate Gauss-Boaga fuso Ovest: E=1491428 N=4361588), Su Muntonali (Coordinate Gauss-Boaga fuso Ovest: E=1491732 N=4365184) e Bruncu Gattus (Coordinate Gauss-Boaga fuso Ovest: E=1494726 N=4368152).

Periodo romano

Durante la dominazione romana anche il territorio di Serramanna fu intensamente abitato, numerosi erano i villaggi e testimonianze dei loro insediamenti sono sparse ovunque nel territorio. Tutti i reperti rinvenuti, sono al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari .

Periodo giudicale e medievale

Intorno al 1000 d.C. la Sardegna fu divisa in 4 Giudicati a loro volta divisi in Curatorie; Serramanna faceva parte della Curatoria di Gippi (o Parte Ippis) del Giudicato di Cagliari. Nel periodo medioevale Serramanna non aveva un unico nucleo abitato ma era diviso in numerose ville; le principali erano Bangiuludu, Saboddus – San Pietro, Saboddus – Santa Giuliana, Saboddus – Santu Deus, Santa Maria di Monserrato (già nel 1584 questi villaggi erano ormai da tempo spopolati e si andava verso un unico centro abitato). Nel 1257 Serramanna venne annessa al Regno di Arborea al quale rimase sino al 1297, anno in cui venne ceduta alla Repubblica Pisana. Nel 1323 con lo sbarco delle truppe dell’Infante Alfonso a Palma del Sulcis anche Serramanna passò sotto il dominio catalano. Nel 1363 Pietro IV di Aragona (detto “il Cerimonioso”) la diede in feudo a Giovanni Civiller. Più tardi passò alla famiglia dei De Besora e nel 1455 Aldonsa De Besora riconobbe al paese libertà e franchigie. Fu un atto di eccezionale importanza che anticipò di molto le concessioni che solo nel XVIII secolo i signori concedettero ai loro sudditi nel resto dell’Italia e della Francia. Per la prima volta i rurali erano definiti popolo o abitante e non vassallo. Nel 1460 Aldonsa Siviller de Besora rimasta vedova vendette il feudo a Emanuele Ribelles. Emanuele Ribelles a sua volta vendette il feudo a Raimondo Boter nel 1461. Nel 1465 Galcerando De Besora, con la dote della moglie Angela Beltran, riscattò il feudo. Con l’estinzione della famiglia De Gerp, il feudo tornò al Fisco con Atto Notarile del 14 gennaio 1583 del Demanio della Regia Corona. Il Fisco lo vendette per 100.000 Lire Aragonesi a Giovanni Gerolamo Brondo il 24 settembre 1594. Giovanni Gerolamo Brondo reso Cavaliere Ereditario il 27.5.1586 diventerà il primo Signore Feudale di Villacidro e Serramanna, in Parte Hyppis, per investitura del 4.6.1594. Il 29 novembre 1617, Antonio Brondo y de Ruecas, ottenne il titolo di Conte di Serramanna da Re Filippo III di Spagna, divenendo quindi il I Conte di Serramanna (il suo emblema a strisce argento-nere, è ora riportato nello stemma del Comune di Serramanna).

Età contemporanea

Nel XIX secolo l’economia fu concentrata quasi esclusivamente sull’attività agricola, eccezion fatta per il tentativo di industrializzare il paese con la costruzione della Cantina Sociale del Campidano di Serramanna (che fino al 1988, anno in cui è stata chiusa, produceva degli ottimi vini ed era una delle Cantine più grandi d’Europa) e della CASAR (industria conserviera), ancora attiva nonostante in passato abbia avuto notevoli problemi.

Chiese

San Leonardo – La chiesa parrocchiale di San Leonardo, patrono del comune, fu costruita in due epoche differenti e perciò presenta una fusione di forme gotico-catalane, aragonesi e tardo-barocche; la navata longitudinale e il campanile furono costruiti tra il XV e XVI secolo, mentre la cupola e l’abside tra il XVII e XVIII. È caratterizzata dalla pianta a croce latina e dal campanile a canna ottagonale di notevole altezza, opera dell’architetto Antonio Calabrès. L’interno della Chiesa si presenta numerose decorazioni (realizzate tra il 1954 e il 1956) dal pittore serramannese Giuseppe Carcangiu.

Sant’Ignazio – La parrocchia di Sant’Ignazio fu fondata dal parroco Don Bruno Pittau nel 1971 in onore di Sant’Ignazio da Laconi.

Santa Maria – La chiesetta campestre di Santa Maria risale all’anno 1000 d.C.; risulta citata già nel 1089 in una donazione fatta dal Giudice Costantino ai monaci benedettini dell’Ordine di San Vittore. È stata restaurata negli anni successivi alla seconda guerra mondiale e nel 1999 è stata dichiarata santuario da Monsignor Ottorino Pietro Alberti, divenendo meta di pellegrinaggio per il Giubileo del 2000.

Sant’Angelo – La chiesetta di Sant’Angelo risale al XVI secolo d.C. ed è dedicata all’Angelo Custode di cui conserva una statua lignea del XVII d.C.

San Sebastiano – La chiesa di San Sebastiano venne eretta per un voto dopo una pestilenza. Dal 1631 ospitò i frati domenicani fino al 1854, anno in cui per effetto del regio decreto che imponeva la riduzione di tutti gli ordini religiosi minori e la conseguente confisca dei loro beni, fu abbandonata e in seguito sconsacrata. Il caseggiato attiguo, che ospitava il convento divenne sede del municipio, mentre la chiesetta che rimase sotto la giurisdizione della parrocchia di San Leonardo passò alla Confraternita del Rosario (frati bianchi). Per alcuni anni dopo un primo restauro ha ospitato rappresentazioni teatrali, musicali e mostre di pittura.

Museo

Museo delle memorie e delle tradizioni religiose di Serramanna – Il museo è allestito all’interno della chiesa Sant’Angelo, e vanta varie sezioni tematiche che comprendono una serie di arredi preziosi, non più utilizzati nelle funzioni liturgiche, sculture, statue, suppellettili, arredi sacri, oggetti d’argento di arte sacra ed ex-voto.


Is Animeddas e Su Mortu Mortu. Halloween in sardo.



La Sardegna ha conservato una festa che per tanti versi ricorda quella americana. E' la festa de Is Animeddas o de Su Mortu Mortu.



Halloween è certamente la festa dei morti più famosa al mondo che ha conquistato milioni di persone in tutto il mondo.

Si tratta di una ricorrenza tipica della cultura dei popoli del Nord Europa che ha prima invaso l’America Settentrionale per diffondersi di nuovo in Europa e negli altri continenti, assumendo spesso il carattere di un “carnevale” notturno slegato completamente dai riti religiosi.

Ma Halloween non è certamente l’unica manifestazione dell’antico culto delle anime dei morti. In Sardegna infatti esiste e si è conservata una tradizione che ha molti aspetti in comune con quella americana e anglossassone.

Si tratta della ricorrenza che in Lingua Sarda viene indicata con diversi nomi: is Animeddas e is Panixeddas nel sud dell’isola, Su ‘ene ‘e sas ànimas o su Mortu Mortunel nuorese, su Prugadòriu in Ogliastra, etc…

Il nome cambia a seconda della zona ma la sostanza, pur mutando in alcuni particolari, rimane la stessa. Abbiamo a che fare infatti con un evento che viene festeggiato tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre.

Proprio come accade nella più famosa ricorrenza americana, anche nei villaggi della Sardegna sono i bambini che vestiti da fantasmi vanno a chiedere, di porta in porta, qualche dono per le “piccole anime”.

Le formule utilizzate in Lingua Sarda per chiedere e dire “dolcetto o scherzetto?”sono: seus benius po is animeddas, mi dhas fait po praxeri is animeddas, seu su mortu mortu, calchi cosa po sas ànimas, petza cocoi, e altre ancora a seconda del paese e della variante linguistica utilizzata.

Mentre oggi i fantasmi e le piccole anime ritornano a casa con cioccolatini, lecca-lecca e merendine, una volta era più comune che alle richieste dei piccoli gli adulti preparassero e regalassero i dolci tipici del periodo: pabassinas, ossus de mortu, pani de sapa, etc… A questi venivano aggiunti poi altri doni come le melagrane, le castagne e la frutta secca.

Un altro elemento simile tra la festa sarda e quella anglossassone era, soprattutto nel passato, il lavoro certosino sulle zucche che venivano trasformate in facce spiritate ed utilizzate per fare scherzi e far spaventare i più piccoli.

sabato 27 ottobre 2012

La lingua sarda nella scuola di ogni ordine e grado.


Qualche decennio fa, gran parte della popolazione della Sardegna parlava la lingua sarda, principalmente in privato, cioè con gli amici e con la famiglia. Tuttavia, nel corso del tempo, la lingua italiana è diventata sempre più importante, sicché si è potuto registrare un notevole incremento dell'uso di quest’ultima.

Il problema è che il sardo viene parlato da una percentuale sempre più ridotta della popolazione, probabilmente anche perché non viene insegnato né a scuola né all’università. 

I bambini non imparano più a parlare il sardo da piccoli (figuriamoci a scriverlo). Ormai, molto spesso sono solo gli adulti che parlano questa lingua, ma anche fra questi ultimi è piuttosto la generazione anziana che parla il sardo. In genere il sardo viene utilizzato solo in famiglia e alcune volte nemmeno in famiglia, perché è considerato "maleducato" parlarlo al di fuori di essa.

Dunque, molto spesso non lo si parla più neppure in famiglia, perciò la lingua viene dimenticata e non viene affatto tramandata oralmente.

Alcune volte si scopre che non si parla in famiglia perché uno o persino entrambi i genitori sono contro l’apprendimento del sardo. Di conseguenza, la lingua sarda è a rischio di estinzione perché i giovani non ne hanno una conoscenza sufficiente o perché non sono interessati a preservarla perché non le riconoscono il prestigio. Per queste ragioni il numero di parlanti attivi decresce in continuazione.

Tuttavia, non solo le scuole e l'insegnamento accademico mancano di corsi adeguati, ma anche nell’ambito extrascolastico ci sono poche opportunità di imparare il sardo.

Come scritto precedentemente, in molte famiglie non lo si parla quasi più. Accade comunque che i sardi crescano bilingui, soprattutto nei casi in cui si parla prevalentemente il sardo in famiglia e in cui l’italiano s’impara solo a scuola. Siccome la lingua sarda è considerata da molti sardi un mezzo di comunicazione volgare, gli adolescenti tendono a comunicare con la lingua nazionale.

In genere capiscono il sardo solo se lo conoscono già dall'ambiente familiare. Il loro ruolo di parlanti attivi, tuttavia, è sempre meno importante.

Grazie alla legge regionale 26/1997 e alla legge nazionale del 482/1999, il sardo è stato riconosciuto come lingua minoritaria da tutelare e da promuovere. Tuttavia, non ha ancora lo stesso status dell’italiano. Anche per questo si deve  introdurlo nelle scuole e nelle università e dargli l prestigio di cui ha diritto.


Le varietà linguistiche della Sardegna

L’eterogeneità delle varietà linguistiche in Sardegna è particolarmente adatta ad avvicinare gli studenti ai contenuti didattici della storia delle lingue romanze e delle varietà linguistiche.
Oltre all’italiano, in Sardegna si parlano due lingue regionali, il sardo e il catalano.
Il contatto del sardo con l'italiano ha portato alla formazione dell’italiano regionale della Sardegna fortemente marcato dal punto di vista diatopico.
Anche i dialetti sardi che in generale vengono divisi in due o tre macrovarietà (il campidanese al sud, il logudorese al nord e il nuorese nella Sardegna centrale), divergono notevolmente tra loro. Nel nord dell'isola si parlano anche il sassarese e il gallurese, che oggi vengono comunemente classificati come varietà dell’italiano. Allo stesso modo al sud (isola di Carloforte e isola di Sant'Antioco) si parla il carlofortino, un dialetto di origine ligure (per una panoramica dettagliata delle varietà parlate in Sardegna, vedi, ad esempio, Bossong 2008 o Virdis 1988).





La situazione sociolinguistica del Sardo

Per lungo tempo, si è ipotizzato che su circa 1.600.000 di abitanti della Sardegna 1.500.000 (o circa l'80% della popolazione, vedi, ad esempio, Mensching, 32004: 13) parlasse in sardo. Che questi numeri oggi non siano più assolutamente attendibili, ce lo dimostrano anche i risultati di una recente indagine sociolinguistica della Regione Autonoma della Sardegna (Oppo 2007: 7) secondo la quale solo il 68,8% degli intervistati, parla, oltre all’italiano, anche una varietà locale delle altre lingue parlate in Sardegna (e quindi non necessariamente una varietà sarda). Il 29% degli intervistati dichiara di padroneggiare passivamente una delle varietà, e il 2,7% parla esclusivamente l'italiano. Bisogna considerare, inoltre, che l'uso e la vitalità del sardo variano notevolmente dal punto di vista diatopico e diafasico. Gaidolfi (2010), per esempio, ha costatato – per la Sardegna centrale – una netta differenza tra la meno sardofona città di Nuoro e il villaggio di Irgoli saldamente radicato alla lingua sarda.
Tuttavia, nel suo studio ha anche osservato che persino nel paese il sardo è meno presente di una volta (Gaidolfi 2010: 244). Inoltre, coloro che padroneggiano il sardo attivamente, lo utilizzano soprattutto nell’ambito dell’immediatezza linguistica (nel senso di Koch/Oesterreicher 1985). Nell’insieme Gaidolfi (2010:242) ha confermato la tendenza di un mutamento linguistico dal sardo all’italiano, che già negli anni 80 era stato osservato da Rindler Schjerve per i paesi di Ottava e Bonorva (vedi per esempio Rindler Schjerve 1987: 346-351).
Questo cambiamento linguistico imminente si rispecchia anche nei risultati di due studi dell’istituto nazionale di statistica (ISTAT) sull’uso della lingua in tutte le regioni italiane: l’uso della lingua italiana nelle famiglie sarde è aumentato di circa del 6% dal 2000 al 2006.






Chi volesse rispondere alle domande sottoelencate può mandare una e-mail qui

1. Siete d'accordo all'introduzione del sardo nelle scuole e nelle università sarde

2. Perché introdurre il sardo nelle scuole e nelle università sarde?


3. Sei d'accordo sulla diffusione dei mass media giornali, riviste, libri, cartelli, televisione, radio, internet) anche in sardo?


E' fondamentale sapere da voi come la pensate perché si vuole introdurre il sardo a scuola e questa scelta deve essere condivisa da famiglia scuola società.

L'introduzione del sardo nelle scuole e nelle università, è fattibile perché nel modo della scuola ci sono insegnanti qualificati.

giovedì 25 ottobre 2012

Seminario nazionale «LINGUE MINORITARIE E CURRICOLO PLURILINGUE

Seminario Nazionale “Lingue minoritarie e curricolo plurilingue: ipotesi ed esperienze a confronto

I Nuclei “Europa dell’Istruzione” degli UU.SS.RR. del Friuli Venezia Giulia, delle Marche, della Sardegna e del Veneto, che hanno elaborato il Piano di Azione Integrato (PAI) interregionale, promuovono e realizzano al CAESAR’S HOTEL a Cagliari nei giorni 25 e 26 ottobre 2012, con il coinvolgimento degli Assessorati regionali competenti delle suddette regioni, il Seminario Nazionale “Lingue minoritarie e curricolo plurilingue: ipotesi ed esperienze a confronto” della Sardegna, del Friuli Venezia Giulia e del Veneto, con il coordinamento dell’USR della Regione Marche.”

sabato 20 ottobre 2012

Il Tracciastorie


Ho utilizzato un bel programmino per l'italiano nella scuola primaria grazie ai colleghi che socializzano le proprie risorse e a mia volto lo "socializzo" nel mio blog.

Il Tracciastorie è un generatore di elementi casuali da usare come traccia per l'invenzione di storie fantastiche.






Si possono generare da 1 a 6 elementi, suddivisi nelle segenti categorie: personaggi ed oggetti, qualità, azioni, luoghi.

Il risultato, molto spesso buffo e non usuale, segue il filone del binomio fantastico di Rodari.

Il software didattico Il Tracciastorie si presta particolarmente per essere con la LIM ed è fruibile On line o scaricabile cliccando qui.



martedì 9 ottobre 2012

Iniziare con le abilità sociali.


In questi giorni siamo tornati a scuola e tutti noi, è trascorso quasi un mese, ci siamo i ritrovati alle prese con i soliti problemi: i bambini non ascoltano, sono rumorosi, non rispettano le regole... che fare allora?

Meglio cominciare a pensare a percorsi e lavori che se, all'inizio, possono portare via un po' di tempo con il tempo ce lo fanno recuperare. Insegnare le abilità sociali è importante perchè la competenza sociale è legata a doppio filo con la promozione dell'apprendimento e del successo formativo.

Per facilitare il nostro lavoro possiamo prendere spunto anche da percorsi già costruiti nel libro Abilità sociali a scuola edito da Edizioni Junior. Ecco un piccolo esempio di quello che possiamo trovare.



mercoledì 3 ottobre 2012

Tempo scuola: nota dolente.


In questi ultimi tempi le scuole primarie fanno i conti con i tagli di organico e con gli impegni che sanno di non poter mantenere rispetto al tempo scuola richiesto dalle famiglie.
Gran parte del dibattito si svolge sulle scarse risorse destinate al tempo pieno, nonostante i toni trionfalistici del MIUR che continua a sostenere di aver aumentato il numero di classi con tale modello organizzativo.
Sappiamo per certo, dalle notizie che giungono dalla maggior parte delle regioni italiane, che la richiesta di tempo pieno è rimasta in gran parte insoddisfatta e le proteste dei comitati dei genitori la dicono lunga in merito.
Tuttavia, concentrare l’attenzione su questa problematica rischia di far passare sotto gamba il taglio “vero”, quello più consistente e devastante sul piano organizzativo, a cui la scuola primaria è stata sottoposta.
Iniziamo con l’analisi della scheda di iscrizione alla scuola primaria , direttamente diffusa dal Ministero e che prevedeva ben quattro opzioni di orario settimanale per i genitori:
- 24 ore
- 27 ore
- 30 ore
- 40 ore
Diamo per scontato che le prime due opzioni siano state prescelte da un numero insignificante di utenti poiché inconsuete, concentrando la nostra attenzione sul modello a 30 ore che è quello maggiormente richiesto.
In molte regioni, a fronte di una massiccia adesione delle famiglie ai modelli a 30 e 40 ore, le scuole sono state fortemente penalizzate, non solo negando il tempo pieno alla gran parte oppure assegnandolo in molti casi senza un criterio visibile, ma “tagliando” le 30 ore a 27.
Il modello matematico di calcolo operato dal sistema per le classi a tempo normale, è stato utilizzato non come parametro di computo, come dovrebbe essere, ma come sistema di assegnazione delle risorse dell’organico.
Tuttavia, le opzioni prevedevano chiaramente il modello a 30 ore che non è stato garantito ai genitori che lo avevano prescelto, sappiamo per certo che in alcune scuole hanno ripiegato per le 27 ore settimanali.

Le ripercussioni sul piano organizzativo sono severe. Infatti, ogni sette classi, si perde una cattedra, le pochissime compresenze sono limitate e risicate.
Infine, ci sia trova di fronte ad un dilemma che nessuno chiarisce:
il sempre più opprimente parametro di calcolo è anche garanzia di livello minimo di servizio?

Non è una domanda da poco poiché molti genitori sono convinti che al figlio che frequenterà la terza, quarta o quinta il prossimo anno, “ spettano” 30 ore di lezione a settimana mentre gli alunni delle prime e delle seconde devono accontentarsi di 27. 
Ecco di nuovo il parametro di calcolo che diventa sistema, con danni notevoli sull'organizzazione e classi della stessa scuola che avranno orari di ingresso e di uscita diversi, con svantaggi notevoli per i genitori e per i servizi comunali di supporto ( trasporti, nonni vigile … ecc. )

Mentre l’opinione pubblica viene spostata sulle problematiche del tempo pieno, insignificanti o quasi dal punto di vista degli organici complessivi ( regionali e nazionali) delle scuole, si mette a tacere il ben più sostanzioso taglio che, moltiplicando le classi “tagliate a 27 ore”, sottrae tempo scuola in maniera molto più copiosa e non garantisce una scelta compiuta dai genitori.